Reservatet – La riserva: sotto l’apparente perfezione, i segreti nella serie di Netflix
Reservatet, miniserie danese di Netflix, esplora l’ipocrisia del sistema delle ragazze alla pari. Bella confezione con un giallo prevedibile

La miniserie danese Reservatet – La riserva (titolo internazionale Secrets We Keep) è un giallo in 6 episodi disponibile su Netflix e arrivata rapidamente in testa alla classifica delle serie più viste in Italia.
La trama di Reservatet
Cecilie (Marie Bach Hansen, The Team) vive in un’enorme casa di lusso nella Zelanda del Nord, in una ricca zona della più grande isola della Danimarca. Cecilia è sposata con Mike (Simon Sears, Loro uccidono - Nel buio della mente), un avvocato che lavora sempre fino a tardi e si occupa, fra le altre cose, degli affari del vicino milionario, l’imprenditore Rasmus (Lars Ranthe, Badehotellet). Cecilia e la moglie di Rasmus, Katarina (Danica Curcic, L’uomo delle castagne) sono amiche, così come lo sono il figlio di Katarina, Oscar (Frode Bilde Rønsholt), e il figlio maggiore di Cecilia, Viggo (Lucas Zuperka). Anche le due ragazze alla pari, entrambe filippine, che lavorano per le due famiglie sono amiche. Da Cecilia c’è Angel (Excel Busano), che viene trattata come una di famiglia, e da Katarina invece lavora Ruby (Donna Levkovski), che sembra avere problemi con la famiglia che la ospita. E quando, una sera, Ruby scompare, i segreti delle due famiglie iniziano a emergere durante le indagini della detective Aicha (Sara Fanta Traore, Amore a Copenhagen) e le bugie dietro le facciate delle case perfette crollano una dopo l’altra…
“Ragazze alla pari”? Un’ipocrisia linguistica
Il titolo internazionale Secrets We Keep (“I segreti che custodiamo”) è perfetto per una serie che si nutre di silenzi, omertà e verità scomode. Ma il titolo originale, Reservatet – “la riserva” – è ancora più evocativo. Perché quelle case lussuose e quei giardini curati, immersi in un paesaggio nordico da cartolina, sono in realtà delle riserve chiuse, protette, dove tutto ciò che è scomodo viene tenuto fuori dalla vista. O nascosto nei sotterranei.
Il vero cuore della serie non è il mistero poliziesco – che purtroppo si rivela fin troppo presto – ma la riflessione amara sul sistema delle “ragazze alla pari”, un termine ormai svuotato di senso. Come evidenziano anche alcuni media locali all’interno della storia, si tratta nella maggior parte dei casi di manodopera straniera sottopagata, con diritti limitati e spesso sfruttata da famiglie che si definiscono “ospitanti”, un eufemismo per mascherare un rapporto di potere profondamente squilibrato.
Cecilie è l’unica che comincia lentamente a mettere in discussione questa realtà, forse anche per senso di colpa, forse per una sincera inquietudine morale. Ma è una presa di coscienza tardiva e parziale, che mette in evidenza quanto il privilegio borghese sia difficile da scalfire.
Pregi e difetti: una confezione elegante per un contenuto prevedibile
Dal punto di vista tecnico e visivo, Reservatet è indubbiamente ben realizzata. La fotografia è curata, con toni freddi e minimalisti che rispecchiano il distacco emotivo dei personaggi. L’ambientazione, con le sue ville immerse nella natura e le strade silenziose, è suggestiva e funzionale alla creazione di un’atmosfera ambigua e tesa. Anche il cast offre interpretazioni solide e misurate, con un’ottima chimica fra i personaggi femminili.
Tuttavia, la trama investigativa è l’anello debole dell’intera operazione. Chiunque abbia un minimo di familiarità con il genere giallo capisce troppo presto dove si vuole andare a parare. Le dinamiche narrative sembrano seguire un copione già visto: la scomparsa, i sospetti incrociati, la figura ambigua dell’imprenditore, la madre sempre più inquieta, la detective empatica ma determinata. I primi due episodi procedono con lentezza, quasi trattenendo l’azione per creare tensione, ma il risultato rischia di annoiare più che incuriosire. Solo dal terzo episodio in poi si comincia a intravvedere un ritmo narrativo più efficace, anche se la direzione rimane sempre prevedibile.
Una denuncia sociale soffocata dal genere
La miniserie ha il merito di affrontare un tema importante: quello del lavoro domestico straniero e dello sfruttamento nascosto dietro le facciate della ricca Europa del Nord. Purtroppo questo elemento - pur centrale - viene sacrificato in parte sull’altare del thriller, che non riesce a reggere il peso della denuncia. La serie sembra indecisa: vuole essere un giallo? Una critica sociale? Un dramma borghese? Prova a essere tutto, e rischia di non essere davvero niente in profondità.
Il linguaggio utilizzato per descrivere il rapporto con le ragazze alla pari – con termini come “madre ospitante” e “padre ospitante” che appartengono al linguaggio comune danese – è emblematico di un’ipocrisia sistemica. Si costruisce una narrazione di accoglienza e integrazione laddove esiste un rapporto di subordinazione, spesso economica, etnica e culturale. E Reservatet, almeno in parte, riesce a rendere visibile questa tensione.
Molto interessante tutta l’esplorazione della comunità filippina, che si riunisce e frequenta una chiesa locale, condividendo fede, speranze e segreti.
Voto
Redazione

Reservatet – La riserva: sotto l’apparente perfezione, i segreti nella serie di Netflix
Reservatet - La riserva, miniserie danese in 6 episodi si lascia guardare, soprattutto grazie alla cura estetica e all’interessante sguardo sociale. Ma non sorprende, non inquieta davvero, e non riesce a lasciare un segno profondo. È una miniserie elegante, ben confezionata, con una tematica attuale, ma che finisce per restare in superficie, prigioniera della sua stessa patinatura.
Una visione consigliata per chi cerca un giallo “da salotto”, con implicazioni morali non sufficientemente approfondite e una narrazione facile da seguire. Ma chi spera in un’indagine psicologica complessa o in una denuncia sociale davvero incisiva, potrebbe restare deluso. Soprattutto perché s’intuisce immediatamente, già nel primo episodio, cosa succederà e chi sia stato a causare il dramma della scomparsa di Ruby, la giovanissima ragazza alla pari al centro del giallo.
Ciononostante, concentrandosi sul concetto espresso dal titolo internazionale (Secrets we keep), i segreti scabrosi dietro le ricche facciate, la parte finale è davvero coinvolgente dal punto di vista emotivo
e arriva finalmente al vero cuore della faccenda: l’ipocrisia che divide le responsabilità morali, quelle sociali e quelle penali…