Dostoveskij a Berlino, i D’Innocenzo raccontano la serie Sky: “vogliamo che lo spettatore faccia attenzione, ma non diamo giudizi”

I fratelli D’Innocenzo, Filippo Timi e Carlotta Gamba racconta al Festival di Berlino Dostoevskij, la serie Sky sul cui set si sono presi tutti molti pericoli, affrontando le proprie paure.

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Berlino è nel destino dei fratelli D’Innocenzo. I registi di Favolacce e America Latina mossero qui i primi passi nel panorama internazionale e vennero avvicinati in una precedente edizione della Berlinale dai vertici Sky.

L’idea era di proporre loro, registi cinematografici di razza, di girare una serie noir, un poliziesco. Fabio e Damiano ci pensano su e, in 10 minuti, raccontano ai vertici Sky quella che poi è diventata Dostoevkij, miniserie in cui un poliziotto dà la caccia a un efferato e imprendibile serial killer mentre naviga un rapporto difficilissimo con la figlia.

Presentata fuori concorso al Festival di Berlino in edizione integrale, così come approderà nei cinema italiani, Dostoevkij viene raccontata dai suoi protagonisti con il consueto approccio gentile e senza filtri. Ecco cosa ci hanno rivelato sulle genesi di Doestoevkij e l’esperienza sul set i fratelli D’Innocenzo e i protagonisti Filippo Timi e Carlotta Gamba.

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Alla presentazione erano presenti:

  • Fabio D’Innocenzo - showrunner e regista
  • Damiano D’Innocenzo - showrunner e regista
  • Filippo Timi - attore
  • Carlotta Gamba - attrice

Dostoevskij: la nostra intervista al cast

Dostoevskij è una miniserie in sei episodi che vedremo su Sky, ma arriverà anche al cinema. Quindi è un film o una serie? Come la considerate voi?

Fabio D’Innocenzo - Io la chiamo romanzo più che serie o film, anche se è divisa in puntate in TV e poi esce al cinema. La collaborazione con Sky è cominciata proprio qui a Berlino, sei anni fa. Ci siamo trovati, sono stati convinti dalla nostra voce distintiva, originali. Dostoevskij poteva nascere solo con loro, perché ha richiesto grande libertà creativa rispetto a schemi precostituiti della serialità di oggi.

Quando ci siamo incontrati con Sky loro ci hanno chiesto un noir e noi, in 10 minuti, abbiamo pensato il plot e il finale: Dostoevskij è nata così, di getto, spontanea. Sono seguiti mesi di lavoro fittissimo di scrittura, ma anche di pensiero: alle volte si lavora così, pensando a lungo, riflettendo sul progetto.

Come descrivereste Dostoevskij?

Fabio D’Innocenzo - L’idea alla base era quella di raccontare l’inverno di un uomo calato nella cornice del genere della detective story. Volevamo aderire a questo genere, ma rendendolo costantemente scarnificato, ridotto al minimo.

Con la nostra location manager Elena Balestrieri poi abbiamo cercato dei non luoghi altrettanto scarni per girare. Il casale che si vede nelle ultime puntate sta a Taormina, in un posto desolato, sconosciuto ai più.

Girare in questi luoghi remoti, ameni, deve essere impegnativo.

Fabio D’Innocenzo - Il lavoro sul set è stato molto faticoso, intenso, ma posso dire che è sono innamorato del risultato finale, è la cosa che al momento  mi piace di più, visivamente parlando, tra quelle che abbiamo girato fino a oggi.

Come avete scelto Filippo Timi per il ruolo del poliziotto protagonista, Enzo Vitiello?

Damiano D’Innocenzo - Noi come modus operandi non prendiamo mai attori a scatola chiusa, facciamo sempre dei provini. Avevamo già visto Filippo in altre cose, ci piaceva la sua sensibilità, segretamente speravamo fosse lui a spuntarla. Lui il primo giorno di provini ha fatto una prova fantastica, poi all’uscita l’abbiamo visto dalla finestra che, sceso in strada, abbracciava un albero e abbiamo capito che Enzo era lui.

Filippo, qual è stata la tua prima impressione invece? Cosa ti ha convinto del copione, del personaggio di questo poliziotto vecchio, stanco?

Filippo Timi - A me piace Carmelo Bene, il teatro. Mi ha spiazzato e poi appassionato scoprire che loro due, quando mandano il materiale per un provino, non danno indicazioni, non spiegano assolutamente il contesto. Mi sono ritrovato allora a fare io il detective per capire chi era il detective che volevano interpretassi.

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Raccontateci com’è lavorare su un set con i fratelli D’Innocenzo.

Filippo Timi - Sul set arrivavano ogni giorno due ore prima della convocazione, cioè alle 5 di mattina, per controllare fino all’ultimo dettaglio, dalle scenografie alle battute. Fabio e Damiano sono anche sempre gli ultimi ad andare via a fine giornata. Non è comune trovare persone così appassionate. Mi sono affidato totalmente a loro, sapevo che 296 scene erano tante da affrontare, ma tanto più che dare tutto me stesso cosa potevo fare?

Carlotta Gamba - È stato bellissimo stare su questo set ma ammetto che quanto abbiamo attraversato io e Filippo come figlia e padre nella finzione è stato davvero molto faticoso e sfidante dal punto di vista umano. Inizialmente mi sono sentita distante da Ambra, per cui la sfida è stata trovare qualcosa che me la facesse sentire vicina e adesso posso dire che la sento più vicina a me, sento ora che abbiamo qualcosa in comune.

Sul set ci siamo un po’ lasciati andare, lo richiedevano il racconto e i personaggi. A ogni nuovo ciak di una scena rispettavamo la sceneggiatura certo, ma era un po’ come chiudere gli occhi e buttarsi. Sapevamo dove cominciava ma non come sarebbe finita, dal punto di vista attoriale. È stato molto importante spogliarci di noi stessi, dimenticarci di tutto per fare in modo che la sceneggiatura accada. Poi i D’Innocenzo curano davvero ogni dettaglio: sono i tipi di regista che si chiedono “ma il fazzoletto esce dalla tasca o no?”

Timi - Io dico sempre che la prima cosa che faccio sul lavoro è spogliarmi, di tutto, anche di me stesso. In questo caso grazie a loro sono stato attento ai dettagli. Tipo pensavo “ah ma non mi devo tagliare le unghie dei piedi, Enzo non è quel tipo di uomo”. Non toglievo i peli dalle spalle, a un certo punto mi sono rivisto in un’inquadratura in cui si vede il mio culo e ho pensato “cavolo, devo dire a mia sorella si passare davanti alla TV quando lo vedrà con mia madre”. Non è un progetto che finge, in cui stai a dirti “oddio si vede mezza palla nella scena di sesso, oh in questa scena sembro brutto”. Secondo me loro ci hanno scelti, Carlotta e io, perché siamo disposti ad essere veri. Nella scena in cui vomito, per dire, ho messo due dita in gola e bam! vomito vero. È un progetto in cui aveva senso farlo.

Fabio D’Innocenzo - Anche noi ci siamo spogliati. In questo progetto abbiamo cambiato anche tutta la squadra. Dopo tre film con lo stesso team eravamo tutti amici e secondo me in quell’atmosfera di fiducia mancava la paura, quella che ti tiene sulle spine e ti fa dare il meglio.

Un’altra componente di rischio è stata la pellicola, Dostoevskij è tutto girato in pellicola. I nostri primi film erano tutti in digitale, ma avevamo fatti dei provini in pellicola. Stavolta abbiamo deciso di rischiare, di scoprire come si lavora su pellicola giorno dopo giorno.

Quale rischio ti sei preso tu, in quanto attore protagonista presente in gran parte delle scene?

Filippo Timi - Io ho lavorato per tanti anni a teatro, con i personaggi di Shakespeare. Sono personaggi tra archetipi e funzioni che scardinano i giudizi. Già solo a vedermi come balbetto, come mi vesto, si capisce che il giudizio della gente io l’ho superato. Per me il giudizio più difficile è quello di me stesso. Per questo sul set non ho volutamente rivisto le mie scene sul combo, sul monitorino sul set. Tu sei convinto di avere la faccia giusta, ma non lo sai mai. Per questo progetto volevo avere questo tipo di coraggio, quello di non riguardarmi. Certo si ha paura, poi però capita anche di sentirsibravi, belli. Poi da quando mio padre mi ha detto che ero bellissimo a Sanremo, guarda, ho smesso di balbettare.

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Doestoevskij non è una serie costruita come siamo abituati oggi: si prende i suoi tempi per ingranare. È una scelta precisa da parte vostra?

Fabio D’Innocenzo - La predisposizione ad essere fuori moda era davvero una prerogativa di tutto il nostro team. Io come spettatore sul divano funziono così: prima di entrare in una trama devo entrare in un’atmosfera. Il mio bisogno è quello di creare un’atmosfera che funga da ossigeno per la storia. Lo spettatore lo respira, si ambienta e poi segue la storia.

Prima di raccontare al pubblico la storia volevamo che il pubblico si perdesse e poi ambientasse in questi luoghi dove è ambientata Dostoevskij. Non mi sento snob nei confronti del pubblico, non è che non mi interessa come viva la visione, però io voglio che lo spettatore abbia un approccio attivo. Non giriamo cose che si seguono mentre ci si scaccola sul divano, il coinvolgimento attivo è richiesto.

Cos’è la bellezza per voi che avete sempre raccontato gli ultimi, lo squallore e il degrado da cui spesso sono circondati?

Damiano D’innocenzo - Per me la bellezza è innanzitutto il processo di cercarla continuamente, anche nel rapporto con gli altri.

È vero, raccontare gli ultimi è al centro della nostra produzione. L’unica volta che non abbiamo raccontato un ultimo, abbiamo sbagliato. Nel nostro ultimo lavoro, il film America Latina, sento che abbiamo sbagliato perché il racconto è più vago, generico. Non sono vite che che ci appartengono quelle dei medio borghesi, non le conosciamo davvero e quindi il nostro raccontarle è stato un fallimento.

Come nei vostri altri film, Dostoevkij è un’opera che racconta gli ultimi, ma si astiene dal giudicarli.

Fabio D’Innocenzo - Perché dovremmo giudicare i nostri personaggi in un paese che è una dittatura di giudizi, di pensieri? Penso che come registi siamo molto democratici in questo senso, lasciamo che gli spettatori possano decidere chi sia simpatico e chi sia antipatico. Credo che il nostro cinema rispecchi molto chi siamo. Per esempio noi stessi amiamo molto Dostoevskij, l’autore dico.

In Dostoevskij c’è anche un utilizzo continuo, da parte di molti personaggi, di sostanze psicoattive. La periferia da voi immaginata è così legata a medicinali, droghe?

Fabio - C’è ancora un tabù sull’uso dei farmaci, quindi mostrarli è stato un modo per demistificarli. Io li uso per fronteggiare alcuni problemi, non mi faccio problemi a dirlo e secondo me c’è assenza di giudizio anche in questo nella serie.