Carême, come si gira una serie sull’alta cucina? Per Benjamin Voisin, i grandi chef che fanno da coach non servono
Dietro i fornelli di Carême ci sono lezioni con grandi chef in scuole prestigiose e la voglia di rendere il cibo il persoanggio centrale della serie, un boccone alla volta.
Non è semplice far sembrare un piatto bello e buono su piccolo o grande schermo. Specie se la cucina è così centrale nella storia da diventare un personaggio a sé, raccontando tantissimo di chi sta dietro i fornelli e di chi assaggia e mangia.
Siamo abituati a set da cui trapelano storie di cibo dal sapore pessimo e interpreti che si stancano di mangiare sempre lo stesso piatto, take dopo take. Non è il caso di Carême, le cui star sono “voraci” (definizione loro) e che hanno frequentato scuole specializzate a Parigi e preso lezioni da un grande chef per interpretare in modo credibile quello che è considerato il primo grande chef della storia.
Ho avuto l'opportunità di chiedere pareri in merito al regista e ai protagonisti della serie Benjamin Voisin e Jérémie Renier, insieme all'interprete di Agathe Alice Da Luz, per scoprire i segreti di questa produzione che racconta la nascita della cucina stellata francese.
Mi hanno raccontato le sfide e le peculiarità di una serie in cui l'alta cucina ricopre un ruolo così centrale, calata in un contesto storico così ricco e affascinante come l’epoca napoleonica. Cosa significa portare in scena piatti e tecniche culinarie di un'epoca passata? Come ci si prepara a interpretare chef e figure legate al mondo della gastronomia? Le risposte a queste e altre domande ci svelano il dietro le quinte di Carême, una serie che celebra la passione per la cucina e la sua storia.
Carême raccontata da dietro i fornelli
Jérémie, per prima cosa vorrei chiederti com'è stato creare la tua versione di una figura storica famosa come Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, uno dei politici più potenti dell’Europa napoleonica.
Jérémie Renier - È stato un processo molto interessante. Ovviamente ho dovuto rispettare i codici dell'epoca, il fatto che Talleyrand-Périgord fosse un nobile, un diplomatico e un politico, quindi il personaggio si comporta come tale. Tuttavia, affrontando la preparazione al ruolo, ho deciso molto rapidamente di adottare una visione più moderna di questo uomo straordinario, anche perché era ciò di cui andava in cerca anche il regista, Martin, che voleva dare uno sguardo più contemporaneo alla serie. Quindi ho provato a essere un po' più moderno, senza perdere per strada il galateo e gli usi dell'epoca, ma trovando una svolta per farli sembrare più moderni. Non ho guardato altre serie o altri progetti in cui era già apparso Talleyrand-Périgord, volevo reinventare l'uomo o il personaggio senza modelli o termini di paragone. Dato che era notoriamente zoppo, ho usato il mio linguaggio del corpo, insieme ai costumi, poi però mi sono focalizzato sul linguaggio. Era un vero maestro delle parole, tanto che ho potuto giocare con i momenti di silenzio tanto quanto con le parole. Lui ha un modo di usare ciò che dice per creare un legame con gli altri personaggi che, ovviamente, cambia nel corso dei vari episodi.
Martin, questa serie è una produzione di grandi dimensioni. Un dettaglio su tutti: l'ultimo episodio, con tutte quelle comparse che affollano il banchetto. Qual è stata la parte più impegnativa da girare di un titolo di così grandi ambizioni?
Martin Bourboulon -Spesso pensiamo che la scena più importante e difficile da girare sia quella con tante comparse da coordinare, materiali muovere e telecamere da posizionare, ma a volte le scene più difficili sono quelle più intime, con solo due persone nella stessa stanza. A volte è più difficile trovare la giusta intesa nelle scene intime che nelle scene più grandi, come la fine del primo o dell'ultimo episodio. E in un certo senso, anche la prima scena del primo episodio è stata davvero difficile da girare, forse più di altre scene con cavalli ed extra.
Sai, questa è la mia prima esperienza per la televisione, ma da tempo volevo scrivere e girare in termini seriali. Cinque anni fa avevo già lavorato con la produttrice di Carême, che mi aveva accennato a questo progetto mentre stavamo girando un film. Ero rimasto affascinato da questo “sesso, cibo e politica”, da quante cose riuscisse a essere in contemporanea. Quando ho finito di girare I tre moschettieri, mi sono messo all’opera su questa serie, conscio che girando con Apple TV+ avremmo potuto mantenere chiara la nostra visione d’insieme, anche a fronte di ambizioni importanti in termini produttivi.
Benjamin, sei uno chef di talento naturale? Come ti sei preparato per essere credibile nel ruolo di questo cuoco eccezionale che è poi diventato il primo chef della storia?
Benjamin Voisin - Mi hanno dato un coach di cucina, ma alla fine non è stato necessario. Ero già un cuoco eccezionale, ma avevo bisogno di una guida per aiutarmi a interpretare il ruolo di un cuoco di quel livello, non per cucinare in sé e per sé. Quindi ho dovuto lavorare sotto quella luce... la cucina potevo fronteggiarla già con le mie abilità, ma per recitare in maniera credibile i ruolo avevo bisogno di essere guidato da chi fa quello stesso lavoro.
Oltre che a cucinare in Carême mangi molto. Alcuni tuoi colleghi di questa serialità “culinaria” lamentano spesso di come il cibo sui set non sia poi così buono come sembri…sei d’accordo? Benjamin Voisin - Sono così goloso che posso mangiare la stessa cosa tonnellate di volte, senza mai stancarmi. Comunque non mi piacciono gli attori che assaggiano appena i piatti che gli vengono messi davanti, non mi sembra l’approccio giusto. Come attore, devi uscire dall’impasse e mangiare il cibo nel piatto.
La cosa grandiosa del cibo in questa serie è come un personaggio. Hanno prestato molta attenzione per assicurarsi che le cose fossero a posto, che l'illuminazione fosse buona, che i piatti avessero un bell'aspetto, che la luce e tutto il resto li rendessero appetitosi, invitanti. Mi piaceva guardare il modo in cui il cibo stesso veniva trattato come un personaggio, fino a diventare il cuore della storia stessa.
Alice come ti sei preparata per simulare questo alto livello di competenza in cucina, visto che Benjamin ci ha detto prima di essere già molto bravo? Sei anche tu così talentuosa?
Alice Da Luz - Non voglio paragonarmi a Benjamin, ovviamente, e non voglio nemmeno essere presuntuosa, ma penso di essere un ottima cuoca. Sul set molte persone facevano a gara per venire al mio banco di lavoro.
Ho sempre amato cucinare. Lo facevo sempre con mia madre, dicevo di aver finito i compiti e così potevo cucinare con lei per tutta la famiglia, grazie a quella bugia. Ma questo è qualcosa di un po' diverso, ho dovuto acquisire competenze più tecniche, quelle che servono per i ristoranti stellati. E anche il fatto di essere sufficientemente esperti e navigatiper mantenere il tuo posto in una cucina culla della haute cuisibe…una sfida. Io e Bajemin abbiamo studiato con Christophe Margaine, un famoso chef in Francia, per acquisire queste competenze. È come nello sport di livello professionistico: avevamo vari strumenti che dovevamo usare ogni giorno per diventare davvero capaci nell’usarli sul set. E abbiamo anche seguito corsi alla scuola Ferrandi con gli studenti veri e propri. Eravamo considerati come gli altri allievi della scuola.