Testa o croce: come si gira un western con Buffalo Bill a Roma? Il racconto di Alessandro Borghi e dei registi
Da un racconto leggendario sulle due visite a Roma di Buffalo Bill a un film con un cast internazionale e un’incredibile esperienza sul set: l’incredibile genesi di Testa o croce.

Un anno fa, sui finire della scorsa edizione del Festival di Cannes, intervistato la giovane star del cinema francese Nadia Tereszkiewicz, che mi raccontava di come stesse studiando italiano per un ruolo in un film italiano che avrebbe cominciato a girare a breve, al fianco di un interprete nostrano straordinario. Un progetto ancora top secret, di cui non poteva dirmi nulla, ma rispetto a cui era molto eccitata.
Un anno dopo, allo stesso Festival, Nadia Tereszkiewicz è al fianco di Alessandro Borghi per parlare di quel progetto. Il suo italiano nel frattempo è diventato molto buono e l'entusiasmo per il progetto, se possibile, è ancora maggiore. Si respira aria di rilassatezza e divertimento durante la conferenza di presentazione di Testa o croce, il western non solo italiano ma ambientato in Italia in cui i registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis hanno espanso una curiosa leggenda sentita molte volte da bambini: quella dei viaggi di Buffalo Bill a Roma, per presentare il celebre spettacolo itinerante con i cowboy venuti dall'America.
Come è nata l’idea di girare un western ambientato nell’agropontino?
Alessio Rigo de Righi - L'intenzione era realizzare un western italiano con un'ambientazione autenticamente nazionale, a differenza di molte pellicole di genere girate in Italia ma solitamente ambientate negli Stati Uniti, spesso al confine con il Messico. Ci siamo quindi ispirati alla storica tournée europea di Buffalo Bill, che tra il 1890 e il 1906 visitò l'Italia in due occasioni, facendo tappa anche a Roma. Proprio durante uno di questi soggiorni italiani nacque la leggenda della sfida tra i cowboy americani e i butteri locali.
Questa storia ci era nota fin dalla nostra infanzia, rappresentava per noi il punto di partenza ideale per il film, offrendo un'ambientazione perfetta. L'idea centrale era prendere le mosse dal western classico, qui incarnato dalla rappresentazione già di per sé romanzata degli spettacoli di Buffalo Bill importati in Italia. Tali show, che hanno contribuito a diffondere l'immaginario dei cosiddetti “cooperini" (i romanzi d'appendice a tema western NdA), possono essere considerati una sorta di proto-western. Da questo spunto iniziale, il focus narrativo si sarebbe poi spostato sulla vicenda di Santino e sul percorso di Rosa.
Matteo Zoppis - La nostra idea è sempre stata quella di giocare un po' con il genere western. Quindi, costruire un film che parte con una premessa classica e quindi sembra all'inizio un western classico, per poi attraversare i vari sottogeneri del western. Abbiamo cercato di fare un western revisionista, un anti-western, un western che alla fine diventa quasi surreale, anzi: decisamente surreale.
Un aspetto molto revisionista è la centralità del personaggio femminile, Rosa.
Alessio Rigo de Righi - L’idea è sempre stata quella di sovvertire un po’ il genere, di costruire un film che parte da una nostra passione personale per il genere. Nel caso specifico della trama, volevamo partire da un personaggio classico, eroico - Santino che vince la gara contro i cowboy americani e salva il personaggio di Rosa - e lentamente sgretolarlo, in un certo senso, o metterlo in discussione, per lasciare spazio invece al percorso di liberazione del personaggio di Rosa.
Come presenteresti il tuo buttero Santino, Alessandro? Come sei arrivato al personaggio lavorandoci con Alessio e Matteo?
Alessandro Borghi - A un certo punto ci siamo guardati e ci siamo detti: "Ogni volta che lui sembra figo, vuol dire che stiamo facendo una cavolata". C'era una grandissima necessità... magari in un altro film, in un'altra storia, rispetto a un suo background, magari gli sarebbe anche piaciuto essere macho, ma non ci pensa proprio, perché sa perfettamente che l'unica cosa che sa fare è andare a cavallo. Non si sa innamorare, non sa prendere l'amore delle persone, non sa come gestirlo, non sa sparare, non sa fare a cazzotti. E appena uno gli mette gli occhi addosso, perde la testa e diventa mitomane.
Santino è un uomo che non ha gli strumenti per provare ad essere qualcos'altro. Semplicemente, mette davanti a tutto le sue fragilità e i suoi limiti, e di questo fa il personaggio. Tanto che, nel senso, io dico, è vero che poi succede quello che succede nel film, ma lui viene quasi salvato da Rosa, no? Nel senso che comunque vive l'amore che non avrebbe mai vissuto così profondamente, in maniera così libera, grazie a questa donna che lo prende e gli dice: "Tu adesso mi porti via da qua". Viene preso a schiaffi dagli eventi del film per tutto il film, e non si rende assolutamente conto di quello che sta succedendo. Mi piaceva tantissimo l'idea di mettere in scena questo meraviglioso scemo, che doveva essere un po' anche l'emblema di quello che in fondo siamo un po' tutti noi maschi. È una cosa che trovo meravigliosa.
Per costruire Santino Alessio e Matteo mi hanno dato dei riferimenti basati su altri film, abbiamo parlato molto degli spaghetti western, del cinema di Sergio Leone, di un sacco di altri film. Mi hanno portato un film straordinario che era proprio pensato per sovvertire tutta una serie di equilibri, insomma. È stato molto divertente.
Nadia, cosa ci puoi dire invece di Rosa? Come hai lavorato a questa donna che lotta contro gli stereotipi della sua realtà?
Nadia Tereszkiewicz - Sono stata molto fortunata perché sono venuta molte, molte volte in Italia per lavorare al personaggio di Rosa. Abbiamo avuto molto tempo con i registi, con Alessandro, per cercare. E tutto questo tempo di ricerca ha fatto sì che costruissimo tutto un immaginario. E sì, avevamo tutta un'idea di quello che volevamo fare, senza sapere però per niente come sarebbe venuto. Quindi c'era questo rischio di provare. Io non pensavo che, girando un film in pellicola, potessimo provare delle cose e avere la sensazione di avere tutto il tempo necessario a disposizione. Quindi il mio è un grazie ai produttori, che hanno dato la sensazione che potessimo fare quello che volevamo. E quindi una sensazione di libertà, come quella che vuole Rosa.
John, com'è stato per te interpretare Buffalo Bill a Roma ? Tu non sei al primo rodeo nel West, diciamo così.
John C. Reilly - Calarmi nei panni di Buffalo Bill è stato piuttosto intimidatorio, perché è una figura talmente leggendaria. Da bambino pensavo fosse un personaggio inventato, per poi scoprire che era una persona vera, che ha davvero creato quel tipo di spettacolo.
Per fortuna, la grande sintonia e il senso dell'umorismo che ho condiviso con i registi, Matteo e Alessio, hanno reso divertentissimo esplorare i suoi diversi punti di vista. Anzi, a volte nel film sembra quasi un personaggio immaginario, tanto che ti chiedi se quello che vedi stia accadendo davvero, se lui sia realmente lì.
Inoltre, adoro i cavalli e stare a cavallo, quindi l'atmosfera del set western è perfetta per me. Discutere con i registi su come portare sullo schermo un personaggio così iconico è stato reso ancora più bello da un approccio ironico e da una grande collaborazione. Girare in Italia, in così tanti posti meravigliosi, ha aggiunto un tocco surreale all'esperienza, rendendola davvero speciale e, onestamente, un'avventura bellissima. Spero che questo chiarisca il mio pensiero.
Alessandro, com’è stato lavorare sul set con Nadia?
Alessandro Borghi - Nadia mi ricorda tantissimo me quando ho cominciato a fare questo lavoro. Lei ha ancora una visione veramente incantata del lavoro dell'attore, e l'ho trovato meraviglioso. A volte mi ha molto emozionato. Pretende giustamente un ordine, che era una cosa che a me ha fatto diventare pazzo quando ero più giovane. Dicevo: "Ragazzi, io devo sapere cosa si fa, quello che diciamo, devo sapere dove giriamo". E quindi ha avuto delle crisi esistenziali nei miei primi film di fronte a tante incertezze. È capitato che dovessimo girare una scena a cavallo, invece è diventata un combattimento con trenta persone sul treno. Io le dicevo: “Guarda, questi son matti, fidiamoci e vedrai che succederanno delle cose super divertenti".
Ed è stato esattamente così. Quindi è nata una grande amicizia tra noi, ma tra tutti noi, devo dire, è stata una delle cose più belle del film. L'ho detto spesso: il cinema si fa per raccontare una storia, ma poi, se uno è abbastanza fortunato, ti porti anche dietro tutte delle nuove persone per la tua vita, e questo è il regalo più importante. Ci siamo spalleggiati tantissimo. E a volte, quando io non ero sul set, dicevo: "Chissà quanto staranno facendo incazzare Nadia oggi". E infatti era quasi sempre così. Puntualmente, dopo due ore mi arrivava un messaggio di Nadia che mi diceva: "Ah, allora oggi è successa questa cosa, dobbiamo fare questo, è successo questo". E poi i registi mi scrivevano la stessa cosa. Diventava sempre una comunicazione a quattro, ovunque noi fossimo. E io l'ho trovata una cosa straordinaria, perché mi ha riportato un po' indietro in quel disordine che io amavo molto nel cinema quando ho iniziato. Quindi, a volte bisogna fare un po' un giro per poi rinnamorarsi delle cose che abbiamo lasciato prima.
A me, ogni tanto, questo mestiere mi ha fatto incazzare in una maniera... poi però mi rinnamoro. È un po' così. Cioè, basta che vedi adesso la situazione del cinema italiano, no? È un casino. Non si sa quali film partono, se partono, è tutto molto difficile. Quindi ogni tanto ti devi fermare e dire: "Ok, il motivo per il quale ho iniziato a fare questa cosa qual era?". Perfetto. Allora ripartiamo da là, per raccontare delle storie, farlo in una maniera con tutta la passione che hai, ispirandoti a dei modelli che hai avuto quando eri ragazzino, di quanto ti piacerebbe fare un film come questo. Quindi ricominciare da capo.
Nadia Tereszkiewicz - Ho vissuto un percorso emozionale intenso, simile a quello di Rosa: ho iniziato con un approccio quasi scolastico per poi arrivare a improvvisare in italiano. Questo, inizialmente, è stato fonte di stress, perché sentivo la pressione di dover preparare le battute con largo anticipo, prima di potermi concedere la libertà dell'improvvisazione sul set. Alla fine, però, è stata una gioia immensa. Non credo di essere mai stata così felice su un set, perché si respirava un desiderio fortissimo di fare un film insieme, e questo ha generato molte idee e una grande libertà di proporre.
La generosità di Alessandro, il suo dare così tanto, cambia radicalmente l'approccio alla recitazione. Un attore può essere concentrato su di sé, ma la capacità di condividere è preziosa quando si lavora insieme a un film. Mi ha dato una spinta, mi ha aiutata a crescere. Anche l'atmosfera gioiosa sul set è stata molto importante; era un vero piacere venire al lavoro ogni giorno.
Se all'inizio conoscevamo esattamente le scene da girare, con il tempo abbiamo acquisito la libertà di essere pienamente nel presente ogni giorno, anche sapendo cosa avremmo dovuto fare, pronti ad accogliere ciò che accadeva sul momento, senza sapere con esattezza cosa sarebbe successo. All'inizio questo mi creava tensione, ma alla fine devo dire che per un attore è una gioia incredibile avere questa possibilità di essere autenticamente nel presente. E questo è stato possibile anche grazie ai registi, ovviamente, che sanno ascoltare il momento e gli attori. Entrambi amano 'giocare', sono attori che 'giocano' nel senso più puro del termine. Il verbo francese 'jouer' racchiude sia il recitare che il giocare, e per me implica proprio quella dimensione ludica, quasi infantile.
Western vuol dire inevitabilmente andare a cavallo, sparare. Come ve la siete cavata?
John C. Reilly - Avevo già fatto un western prima, intitolato I fratelli Sisters. Ho imparato ad andare a cavallo in quell'occasione. Ma la cosa divertente dei cavalli è che pensi di saper cavalcare, ma in realtà devi imparare a cavalcare questo cavallo. Ognuno di loro ha una personalità unica. Quindi, anche se hai esperienza, è una relazione che sviluppi con questi animali, ed è straordinario. Il mio cavallo in questo film si chiamava Brigantine e gli davo mele ogni giorno. Si è preso cura lui di me. Quindi gliene sono stato molto grato.
Oltre a questo, per la preparazione, ho bazzicato sul set per circa una settimana prima che iniziassero le mie scene. E mi incontravo con questi ragazzi in albergo e discutevamo, tipo: "Faremo questa scena che sta per arrivare, sai..." e rimaneggiavamo un po' i dialoghi, e cercavamo di capire quale sarebbe stata davvero la voce di Bill, non solo la sua vera voce parlata, ma quale fosse il suo punto di vista sulle cose.
Alessandro Borghi - Con le pistole, avevo già fatto un sacco di preparazione, diciamo così. Coi cavalli ho avuto accanto due persone fondamentali. Io ero in vacanza in Toscana e a un certo punto ho detto: "Per favore, trovatemi un maneggio". C'è questo maneggio vicino ad Arezzo di questa persona straordinaria che si chiama Marco Bartoli, che è... Io sono arrivato lì che non sapevo montare a cavallo e sono andato via dopo tre settimane che montavo a pelo. Quindi è successo tipo un miracolo.
E poi c'è stato Roberto Concezzi, invece, sul set, quello che ha gestito tutti i nostri cavalli, è stato veramente il mio maestro di cavallo. Loro sono i responsabili della riuscita di questa cosa. E anzi, poi a un certo punto dicevo: "Oh raga, voglio uscire a cavallo, voglio far vedere quanto sono diventato bravo!". No, invece niente, c'è poca roba. Però comunque... E per me la cosa più importante era trovare il modo di essere credibile anche nelle uniche due inquadrature in cui stavo sul cavallo, perché sennò avrei pensato tutto il tempo che quella cosa non era credibile e mi sarei suicidato.
Nadia Tereszkiewicz - Non posso dire che vado bene a cavallo, però non avevo mai toccato un cavallo prima, ma alla fine mi è piaciuto un sacco. Dato che sono venuta tante volte in Italia anche per imparare l'italiano, quindi facevo cavallo e italiano nello stesso corso.
E quindi, il fatto di avere tante cose che cambiano sul set è immenso per un attore. Nel senso che un cavallo non è un attore, quindi ha cambiato tante cose. Poi la pistola, boh, la prima volta che spari provi qualcosa, ti cambia. All'inizio avevo paura, alla fine volevo sparare tutto il tempo.