Con No Other Choice - Non c'è altra scelta Park Chan-wook si conferma uno dei più grandi registi viventi
Il regista coreano con No Other Choice regala al suo pubblico un film film strepitoso, spiazzante e acutissimo nel raccontare il mondo del lavoro oggi.

Nel 2005 il regista greco Costa-Gavras girò Cacciatore di teste (Le Couperet) adattamento del romanzo The Ax dello statunitense Donald E. Westlake. Vent’anni dopo il coreano Park Chan-wook riprende quel romanzo e dedica la sua versione dello stesso a Gavras, confermandosi uno dei più importanti e geniali cineasti viventi.
È capace di tenere insieme un umorismo spiccatamente coreano nel suo essere surreale e tagliente, muovendosi però con una sensibilità artistica occidentale e uno stile registico di abnorme eleganza, che nessuno al di fuori di lui è probabilmente in grado di replicare. A costo di risultare ripetitivi, tocca ripetere quanto già detto per il precedente No Other Choice - Non c'è altra scelta: l’unico limite di Park Chan-wook è che ormai si muove su livelli di complessità narrativa e visiva tali che in prima visione si fatica ad apprezzarne la profondità.

Park Chan-wook rende una storia statunitense intrinsecamente coreana e personale
Nel caso di No Other Choice tutto comincia con una storia statunitense su quanto sia disumanizzante e crudele il mondo del lavoro, specie quando lo perdi. Il regista però trasporta la storia del protagonista non solo in un contesto geografico coreano, ma applicando una specificità culturale tale da renderla una storia fortemente originale. Il protagonista della stessa Man-su (Lee Byung-hun) è il responsabile di una ditta della filiera del carta che produce carte speciali e di sicurezza. Rimasto senza lavoro, incapace di imporsi sulla concorrenza per l’unico nuovo lavoro all’altezza delle sue qualifiche disponibile, Man-su decide dunque di eliminare fisicamente i tre candidati più qualificati di lui per il posto, in modo da essere certo di venire richiamato.
La perdita di lavoro è ovviamente una tematica che risuona a livello universale, ma qui c’è una spiccata specificità coreana, amplificata dal fatto che il regista e sceneggiatore traccia un chiaro parallelo tra il protagonista aspirante killer e le sue vittime, su cui comincia a investigare per capire come toglierle di mezzo senza attirare l’attenzione della polizia. Scopre così le profonde affinità che lo uniscono alle future vittime e a milioni di uomini coreani senza lavoro, in una società che basa il valore umano sulla capacità di produrre e essere efficienti in ambito lavorativo, togliere a un uomo il lavoro significa incrinarne l’identità. Man-su non è insomma l’unico disperato nel film, che ne fa sottilmente anche una questione di genere: le mogli di vittima e aguzzino infatti si dimostrano più dinamiche nel immaginare un’alternativa, nel trovare una soluzione dura ma inevitabile per sopravvivere a un momento economico non facile, mentre gli uomini della loro vita annegano nel senso di inadeguatezza e nell’alcol, oltre che nell'incapacità di accettare una soluzione differente per contesto o modalità da quella che desiderano,
Più si pensa ai piccoli, diabolici dettagli di No Other Choice più s’intuisce la maestria del suo autore. Basta pensare al protagonista, che è al contempo l’eroe del film e una persona che fa cose terribili, è di fatto pronto a uccidere e prevaricare pur di imporsi su chi lui sa essere più qualificato e più meritevole. Gli omicidi però, prevedibilmente, non vanno mai come da programma, rivelando moltissimo delle personalizza complesse di questi ex ingegneri altamente specializzati rimasti d’improvviso senza lavoro.

No Other Choice ricorda Parasite e gli è forse superiore
In molti hanno tracciato un parallelo con Parasite e non è un pigro accostare due pellicole che provengono dallo stesso paese. Seppur incentrato sul mondo del lavoro contemporaneo infatti, di cui traccia un ritratto brutale, No Other Choice vede tra i protagonisti una villa che il protagonista rischia di perdere, ricca di stanze, dettagli architettonici e con una serra che si rivela al contempo un luogo dell’infanzia felice del protagonista ma anche il teatro del suicidio di suo nonno, oberato da questioni di lavoro. La villa insomma ha tante sfacettature architettoniche che diventano narrative.
Per giunta No Other Choice è anche il ritratto di una coppia e una famiglia unita da legami forti, che come può sostiene il capo famiglia, che ha un rapporto unico e molto complesso con la moglie e i figli. Man-su è stato in qualche modo “salvato” dal suo lavoro, ma anche dal legame con sua moglie, recuperando gli anni di studio mancato, superando un problema con l’alcolismo.
Rispetto a Parasite, sia a livello registico sia a livello di scrittura, No Other Choice risultain infinitamente più complesso nell’ambiguità morale a cui non rinuncia mai. Ridotta all’osso quella di Parasite è la storia di una famiglia povera furba che ne truffa una ricca, inconsapevole e dabbene. Le cattive azioni dei poveri sono giustificate dalla situazione in cui vivono, l’inconsavpevolezza dei ricchi li assolve. In No Other Choice invece una delle domande centrali è come valutare il protagonista che ha ingoiato orgoglio e dignità per ottenere un impiego, ma decide di ricorrere all’omicidio nella consapevolezza che, se dovesse vincere il migliore, non sarebbe lui. Inoltre Man-su era già un ricco con la villa da sogno: la lotta, non così nobile, deriva dalla sua voglia di non perdere lo status quo sociale, i piccoli lussi, i gesti che gli permettono di coccolare moglie e figli.

A livello formale è puro Park Chan-wook, immediatamente riconoscibile per le transizioni tra scene di grande qualità pittorica, una commedia dark che ha passaggi di lotta così complessi e coreografati, da sconfinare quasi nell’action. Girato in digitale, No Other Choice somiglia più a Decision to Leave che a The Handmaiden per come abbraccia ed estremizza il girato digitale, con variazioni di colore non realistiche che danno una cifra precisa alla storia.
Se nella sua essenza il film è una diesamina devastante della disumanizzazione del mondo del lavoro, nella sua esecuzione tocca i toni del thriller e della detective story, con il regista che costruisce una storia in cui da spettatori è impossibile indovinare dove si andrà a parare, rimanendo continuamente spiazzati da come tutto alla fine abbia un senso, una logica perversa e irresistibile. Onore al merito di Park Chan-wook, che sul gran finale trova anche il tempo d'inserire specificità del presente che né al momento della scrittura del romanzo né all’uscita del film di Costa-Gavras ancora esistevano e invece ora tengono banco nella angosce di chi ha un lavoro e teme di perderloo al contrario lo cerca e non lo trova.
Durata: 139'
Nazione: Corea
Voto
Redazione

No Other Choice - Non c'è altra scelta
Park Chan-wook si conferma uno dei migliori registi viventi con una brutale disamina del mondo del lavoro coreano, che però è anche la storia di una famiglia anti-convenzionale decisa a sopravvivere alla disoccupazione prolungata del capofamiglia che sta tramando un piano criminale pericoloso.
iIspetto al precedente Decision to Leave, No Other Choice è “solo” un gran film, meno seduttivo dal punto di vista estetico e tematico, ma ancora più incisivo e acuto in ciò che dice di una società in cui il lavoro definisce l’identità delle persone, che sempre più spesso però i datori di lavoro e padroni di capannoni e piccole aziende vorrebbero rimpiazzare con la piena automatizzazione.


