Kevin Spacey: «Le persone si ricordano dei personaggi. Ed è proprio quello che ho sempre sognato»
Kevin Spacey torna protagonista al Lucca Film Festival: tra ricordi, nuove sfide e il film 1780, l’attore riflette sulle seconde possibilità.

«Non ci facciamo trasportare dal potere, l’unica cosa è come invece possiamo rispondere da attori».
La “rinascita” artistica (e pubblica) di Kevin Spacey prosegue su binari e progetti diversi, incontri, momenti.
Il due volte Premio Oscar (per American Beauty e I soliti sospetti), oggi è un uomo probabilmente più consapevole del nuovo percorso che sta facendo, prova a lasciarsi alle spalle il recente passato scandito dalle accuse di molestie, donandosi al pubblico che lo ama e lo aspetta da ore, restituendo a loro ricordi, aneddoti, riflessioni personali. Averlo in presenza non è cosa da poco. C’è riuscito il Lucca Film Festival, dove per due giorni l’attore americano, oltre a ricevere il Premio alla Carriera della manifestazione, ha regalato una Masterclass nello scenario suggestivo della Chiesa di San Francesco, presentando in anteprima mondiale la sera prima il suo ultimo film in costume, 1780, diretto da Dustin Fairbanks. Un thriller storico, ambientato durante la guerra d’indipendenza americana, e «una grande sfida emotiva».
Le origini di Kevin Spacey
«Ricordo che è stata mia madre a introdurmi al cinema mostrandomi in tv le grandi star di Hollywood Cary Grant, Katherine Hepburn, Spencer Tracy, James Stewart, Humprey Bogart. Poi ho scoperto di avere orecchio per imitarli e far ridere così mia madre, che ha vissuto una vita difficile. Scoprire che potevo riuscirci per me è stato un grande dono».
House of Cards, la serie che ha cambiato tutto
«La serie si è rivelata un successo globale», racconta Spacey, «ha rivoluzionato le abitudini della televisione e mi ha regalato il personaggio più incredibile che abbia mai interpretato. Mia madre amava l’originale britannica.
Così quando io e David Fincher abbiamo proposto a Netflix l'idea del reboot sapevamo già la direzione che volevamo intraprendere. Il protagonista originale si chiamava Francis Urquhart, l'abbiamo cambiato in Frank Underwood perché non suonava americano, ma ci ha permesso di mantenere le iniziali FU. Se la facessimo oggi forse le idee sarebbero diverse, non so se Frank abbia bisogno di restare a Washington DC. All'inizio della sesta stagione vi hanno detto di aver messo fine alla vita di Frank Underwood, ma non avete mai visto il corpo.Quando House of Cards è stata sospesa ho visto però sparire il mio mondo. Sono rimasto fermo a guardare il mondo andare avanti, le produzioni, i film, le interviste, e non ero sicuro di riuscire a tornare.
Devo ringraziare l'incoraggiamento di Ewan Lowenstein, mio manager e amico più caro, che è rimasto sempre al mio fianco. Ewan mi ha sostenuto e mi ha spinto verso un futuro che non sapevo se sarebbe esistito. Ringrazio amici, famiglia e colleghi che si sono presi del tempo per sostenermi», ha detto dal palco.
«Grazie per avermi insegnato che le seconde possibilità esistono. Sono felice di trovarmi qui e sono felice che questo riconoscimento arrivi proprio dall'Italia, un paese che amo e in cui ho trascorso molto tempo»,
Tra “buoni” e “cattivi”
«Non credo che i cattivi siano più interessanti dei buoni. Il male non è interpretabile, posso solo interpretare ciò che personaggio sente, sperimenta e ciò che è in grado di fare. Il mio personaggio in Margin Call è più complesso di ogni cattivo che vi venga in mente, perché è afflitto da dilemmi umani. Io mi diverto a interpretare commedie, ma amo anche i personaggi oscuri. Ma non esiste una regola, dipende dai registi, dai ruoli che mi offrono e dai progetti. C'è stato un periodo in cui la cosa che volevo maggiormente era arrivare a essere il miglior attore possibile.
Adesso il mio obiettivo è dimostrare di essere una brava persona.
Ogni giorno tutti noi possiamo essere buoni o cattivi, egoisti o generosi, gentili o maleducati, abbiamo la possibilità di portare il sorriso sul volto di qualcuno, voglio che la gente si diverta grazie al mio lavoro».
Kevin Spacey, il cinema italiano nel cuore
«Avrà sempre una grandissima influenza. Ho avuto un'esperienza personale incredibile quando mi sono ritrovato sul ponte dove era passato il corteo del funerale di Fellini e da lì ho deciso di andare a visitare la sua tomba. Ero veramente emozionato anche nello scoprire che l'architetto che aveva progettato la tomba era morto il giorno prima del suo funerale e che Fellini volesse essere proprio sepolto in quel cimitero perché da lì si vede il treno. Sono molto grato che l'industria cinematografica italiana mi abbia coinvolto a più riprese, a partire recentementeda Franco Nero in “L’uomo che disegnò Dio”, che non smetterò mai di ringraziare.
Mi piacciono registi come Sorrentino, Guadagnino, Alice Rohrwacher».
Scommettere sul talento
«Una delle cose che ho sempre amato fare nella mia carriera è aiutare i giovani talenti. Ho iniziato a fare l'attore perché qualcuno ha scommesso su di me e sono felice di dare la stessa possibilità ai registi emergenti. In 1780 sono stato chiamato a imparare un nuovo linguaggio antico. Il mio modello? Ho pensato tutto il tempo a Mark Twain».
A tal proposito su RaiPlay arriverà presto la comedy Minimarket, dove invece interpreterà una sorta di "mentore" narrativo. «Vestirò i panni di un personaggio che supporta un'altra persona nella realizzazione dei propri sogni.
E questa è una cosa che mi piace fare molto anche nella vita di tutti i giorni».
La curiosità su American Beauty
«Non c'è modo di recitare in modo iconico, ma ce n'è solo l'intenzione. Solo dopo il personaggio diventa iconico da solo. La cosa che dà più soddisfazione è che le persone si ricordano dei personaggi e dei loro nomi ed è proprio quello che ho sempre sognato. Durante le riprese abbiamo filmato delle sequenze che non sono mai finite nel film.
Erano scene ispirate ai miei sogni, scene in cui volavo, anche sulla città, le ho registrate con me appeso».


