The Madness: la recensione della serie di Netflix con Colman Domingo
Una trama legata all'attualità, ma tirata per le lunghe
Colman Domingo è noto ai fan delle serie TV principalmente per il ruolo di Victor Strand in Fear The Walking Dead. In The Madness, la miniserie di Netflix disponibile dal 28 novembre si reinventa come anchorman in TV e scrittore e s’imbatte in qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere…
La trama di The Madness
Opinionista della CNN, sostituto anchorman di tanto in tanto quando ce n’è bisogno, padre e scrittore, Muncie Daniels (Colman Domingo) affitta una baita isolata in mezzo ai boschi per lavorare al suo romanzo. Quando si imbatte per caso nella scena di un brutale omicidio, gli assassini - ancora sul posto - iniziano a inseguirlo. Ma quando Muncie, riuscito a fuggire, chiama la polizia, non c’è traccia di quanto Muncie afferma di aver visto…
In fuga da tutto e tutti
Non è un caso che il protagonista sia un volto noto, un personaggio pubblico: è proprio il suo essere famoso a renderlo perfetto come capro espiatorio.
L’intera trama di The Madness ruota attorno alla costruzione di un nemico pubblico che in realtà non esiste.
Muncie ha due grandi sfortune: trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato ed essere nero.
Capirete perché seguendo la trama, di un’attualità scottante: nel mondo della narrazione, così come nel mondo reale, i social network, internet e i media - in quest’ordine - decidono cosa sia vero e cosa no.
Se qualcuno scrive su internet che sei un assassino, prima di qualsiasi processo, prova o condanna, tu lo diventi.
È questo il vero centro nevralgico della narrazione, la facilità con cui una reputazione immacolata si distrugge con una frase.
La gente crede a tutto ciò che finisce in rete. L’abbiamo ampiamente sperimentato, soprattutto negli ultimi anni. Sappiamo che è così, punto e basta. E quando a fomentare le folle e ciò a cui credono c’è l’odio, tutto diventa in qualche modo persino “più vero”. Più credibile. Più verosimile. Perché il mondo in cui viviamo noi, e in cui vive Muncie Daniels - con la sua famiglia e i suoi amici - è il nostro.
Sbatti il mostro in prima pagina
Difficile non pensare a Nemico pubblico, il film con Will Smith e Gene Hackman in cui complottiamo, paranoia e disinformazione convivevano con i mass media e la capacità di condizionare l’opinione publica. Qui ci troviamo esattamente nello stesso orizzonte del racconto. La stessa storia, declinata in un’epoca e con tematiche diverse, molto più attuali.
Sbattere il (presunto) mostro in prima pagina è un’abitudine che abbiamo da sempre. Il problema, però, oggi è molto cambiato. Non solo si fanno processi mediatici la cui eventuale smentita, poi, passa sostanzialmente inosservata (macchiare la reputazione è un attimo, ripulirla è quasi impossibile). C’è di più. Nella nostra società, si decide anche di “demostrificare”, passatemi il termine inventato perché rende bene l’idea, i mostri veri - mettendo al loro posto persone senza colpe.
E così, nella stessa società, antisemitismo e neonazismo non sono poi così gravi, mentre un uomo nero che ammazza un bianco corrisponde a un crimine imperdonabile. In America, almeno.
Questa è la follia del titolo. La possibilità di decidere chi - oltre a cosa - sia giusto o sbagliato. L’abilità di creare alibi a gente che non ne ha e non ne merita mentre si spara a zero su qualcuno che non ha fatto nulla di male.
La storia di Muncie, di Mark Simon (Tahmoh Penikett, Dollhouse, Battlestar Galactica), di Lucie Snipes (Tamsin Topolski, Slow Hores) e delle loro famiglie si svolge nel nostro mondo, in cui i mostri si creano e si disfano a seconda della convenienza del momento. Il modo in cui si manipola la verità è sotto gli occhi di tutti, con due guerre in corso e un’infinità di situazioni per cui il termine “narrazione” è calzante molto più di “fatti”. Con l’assurdità che spesso la verità viene tacciata di essere una “narrazione”.
Il gioco di specchi della società contemporanea è ciò che fa da sfondo alla storia di un uomo finito nei guai per pura sfortuna. A quanto sembra, almeno.
Tanto, troppo
L’aspetto più interessante di questa storia classica in cui un innocente lotta contro i “poteri forti” per scagionarsi da accuse ingiuste è la sottolineatura di quanto sia facile finire nelle mani sbagliate.
Sette, associazioni apparentemente innocue, complottisti, truffatori di vario genere: ci sono migliaia di trappole nel mondo reale e in quello virtuale in cui persone in un momento di difficoltà finiscono per cadere.
Persone intelligenti o legate addirittura a membri delle forze dell’ordine, madri di famiglia e professionisti: può capitare a chiunque. Questo è il messaggio più potente della serie, che però esagera.
La catena che porta a chi ha ordito la trappola è troppo lunga. Esageratamente lunga. Infinita. 8 episodi per una trama come questa sono davvero eccessivi. Nonostante la bravura del cast, tutto a cominciare da Domingo, a un certo punto ci si stufa. Per quanto sia ben fatta, The Madness andava accorciata. 5 o 6 episodi sarebbero stati perfetti. Alla fine, si prolunga all’infinito lo stesso schema: Muncie pensa di essere riuscito nel proprio intento e si prepara alla vita normale, ma qualcuno o qualcosa si mette di mezzo.
Non si può tirare così tanto la corda, con lo spettatore. Ti segue fino a un tot di difficoltà e corruzione. Dopodiché, inizia a chiedersi se e quando finirà questa storia…
Rating: TBA
Nazione: USA
Voto
Redazione
The Madness
The Madness è la miniserie disponibile su Netflix dal 28 novembre in cui Colman Domingo (Fear The Walking Dead) si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Da opinionista rispettato della CNN viene trasformato nel nemico pubblico numero 1, braccato da persone potenti e con le spalle coperte. Una classica storia in cui un uomo innocente finisce per fare da capro espiatorio per coprire crimini sempre più complessi e ramificati. Il cast è ottimo, la realizzazione è curata ma 8 episodi sono davvero troppi per una storia in gran parte già vista. Reggiamo fino a un certo punto, dopodiché lo schema - sembra che sia finita, no: viene tradito di nuovo - inizia a stancare. Peccato. Accorciando a 5 o 6 episodi, eliminando tutte le digressioni inutili, il risultato sarebbe stato ottimo.