Quando il mito incontra il loop - La recensione di Achilles: Survivor
Costruzione, caos e progressione si fondono in un roguelite mitologico che ha idee solide ma contenuti ancora limitati. Potrà diventare un classico?

Il successo dei survivors-like non è più una sorpresa: da fenomeno di nicchia nato quasi per caso, si è trasformato in una grammatica condivisa, una sfida alla creatività degli sviluppatori e alla tenacia dei giocatori. Il cuore del genere non è la semplicità, ma la sua capacità di generare variazioni continue all’interno di un modello a tutti gli effetti chiuso. Ogni partita è uguale eppure diversa, ogni run è un nuovo laboratorio tattico, ogni build è una sfida a ciò che il giocatore pensa di sapere.
È questo meccanismo di micro-sperimentazione che crea dipendenza: un flusso costante di tensione, scoperta e, se vogliamo, persino adattamento. E quando questo linguaggio si unisce alla potenza simbolica della mitologia greca, come accade in Achilles: Survivor, l’effetto è sorprendentemente più affascinante (soprattutto per chi, come me, ama la mitologia greca!).
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Sviluppato da Dark Point Games come spin-off standalone di Achilles: Legends Untold, il titolo getta il semidio acheo in un’arena senza fine, fatta di mostri mitologici, barricate da costruire e orde da respingere. Ma non è solo un altro clone ad ambientazione epica. Achilles: Survivor è un gioco che usa il mito non come estetica, ma come logica: il campo di battaglia diventa un palcoscenico ricorsivo, dove il giocatore è chiamato a ripetere il ciclo della guerra non per vincerla, ma per dominarne le variabili. È una forma nuova di eroismo digitale, che non punta alla gloria, ma all'efficienza.
Dal punto di vista meccanico, Achilles: Survivor prende la struttura di Vampire Survivors, movimento automatico, potenziamenti randomici, progressione a loop, e la stratifica con elementi da action RPG isometrico e costruzione strategica. Non si tratta solo di accumulare esperienza e generare build sempre più letali: qui il giocatore deve anche decidere dove fermarsi, cosa costruire, come distribuire le poche risorse a disposizione. Miniere, torrette, barracks e centri di guarigione non sono semplici gadget, ma veri strumenti di controllo territoriale, in una danza continua tra mobilità e presidio.
Ed è proprio in questa tensione tra movimento e stasi che Achilles: Survivor trova la sua identità. Dove altri titoli simili puntano tutto sull’aggressività e sulla densità visiva, Dark Point Games sceglie la via della gestione intelligente del ritmo: alterna picchi frenetici a momenti di scelta, impone priorità, propone strategie. Ogni struttura costruita è una decisione irreversibile. Ogni posizione difesa è tempo guadagnato. E in fondo, non è molto diverso da quello che facevano gli eroi omerici, anche se con meno frame drop e più effetti particellari.
Lungi dall’essere una semplice skin mitologica applicata su una formula di successo, Achilles: Survivor è un titolo che conosce bene il proprio genere, ma non ha paura di piegarne le regole per creare una voce personale. E quando riesce, non solo intrattiene: interroga il giocatore sul suo modo di reagire al caos, alla pressione, alla ripetizione. Come se fosse proprio la mitologia — ancora una volta — a offrirci uno specchio, ma stavolta in chiave digitale.

Manuale dei giovani eroi per sopravvivere ai survivors!
Ogni run si apre con il tuo eroe, inizialmente Achille, gettato in una mappa ostile e bersagliato da ondate crescenti di nemici mitologici: scheletri, ciclopi, ragni velenosi, arpie, ombre e ibridi mostruosi. Il sistema base è quello del survivors: movimento continuo, attacchi automatici, raccolta di gemme d’esperienza e potenziamenti semi-randomici. Ma già dai primi minuti, Achilles: Survivor dimostra di voler andare oltre.
Il gioco offre due modalità principali: quella classica da venti minuti, e una modalità speciale da dieci, più intensa e serrata, pensata per sessioni rapide ma strategicamente impegnative. Entrambe possono essere affrontate scegliendo tra tre difficoltà: Facile, Normale e Difficile. Ogni livello modifica la struttura della partita: cambia il danno inflitto dai nemici, la velocità con cui si guadagna esperienza, il valore delle ricompense e perfino la durata effettiva della sessione. Non si tratta quindi di semplice “scalata di difficoltà”, ma di veri e propri assetti regolativi per modificare l’interazione tra build, gestione risorse e sopravvivenza.
Durante la partita, a ogni livello raggiunto si sblocca un nuovo potere o un miglioramento di quelli già acquisiti. Le abilità, come Shield Throw, Chimera Spikes, Cyclops Eye o Athena’s Wrath, offrono effetti ad area, attacchi direzionali, esplosioni, evocazioni o danni passivi. La costruzione della build è il primo livello di strategia: ogni potere può essere evoluto, potenziato, reso sinergico con altri oppure semplicemente ignorato, e ogni scelta ha effetto immediato.
Ma Achilles: Survivor si distingue davvero grazie alla meccanica di costruzione sul campo. Sparsi sulla mappa ci sono punti strategici in cui è possibile edificare torrette, case di guarigione, guarnigioni che evocano Mirmidoni, miniere di pietra e molto altro. Ogni struttura si attiva dopo una breve stazionamento nella sua area, e consuma risorse, in particolare pietra, accumulata tramite le miniere o uccidendo particolari tipologie di nemici. Una volta costruite, le strutture offrono bonus passivi (incrementi di danno, rigenerazione, difesa) e contribuiscono a creare un vero e proprio sistema di controllo del territorio. Alcune sono permanenti, altre possono essere distrutte, e ogni posizionamento diventa parte di un puzzle più grande: difendersi, ma senza troppo fermi nello stesso posto.

A rendere ogni run ancora più variabile ci pensano eventi opzionali e attività dinamiche. I Rift si aprono in punti casuali e vanno chiusi presidiandoli sotto assalto, mentre spawnano nemici esplosivi. Le Chest, normali o sacrificali, offrono potenziamenti o risorse preziose; i Basement aprono accessi temporanei a zone segrete, e non mancano portali che evocano miniboss o creature rare. Questi elementi ampliano il ritmo della run, aggiungendo obiettivi a rischio/reward che vanno valutati sul momento.
Ogni personaggio sbloccabile (da Ettore a Paride, tanto per fare qualche esempio) introduce una configurazione radicalmente diversa: variabili di danno, velocità, difesa, ma anche abilità passive, attacchi primari unici e sinergie migliori con certi potenziamenti. Questo incoraggia il giocatore a cambiare approccio, costruire nuove strategie e adattare la gestione del campo al proprio stile.
Tutto questo si intreccia con un sistema di progressione persistente. Al termine di ogni run, riuscita o fallita, si ottengono risorse (come Oboli, Adamant e Divine Crystals) da spendere nel santuario centrale per acquistare Favori, ovvero bonus permanenti applicabili a ogni personaggio. I favori possono essere riassegnati liberamente, e includono miglioramenti alla salute, velocità, danno, quantità di ricompense, ma anche bonus più raffinati legati alla frequenza di spawn dei nemici o all’efficacia delle costruzioni. Ogni corsa contribuisce a costruire qualcosa che resta, alimentando una sensazione concreta di avanzamento, senza mai scadere nel grinding forzato.
Nel caos crescente dell’arena mitologica, Achilles: Survivor riesce così a mantenere un equilibrio raro tra immediatezza e controllo. Non si sopravvive soltanto: si pianifica, si costruisce, si sperimenta, e quando si muore (perché prima o poi si muore eh?!) si torna in campo con più informazioni, più risorse e più strumenti. Come se ogni sconfitta fosse solo un frammento in più nel mosaico di una guerra antica e infinita.
Non solo mostri e divinità: Achilles Survivors è tecnicamente piacevole
Visivamente, Achilles: Survivor non cerca di ridefinire il genere a cui appartiene, ma di nobilitarne l’aspetto. E lo fa con una scelta che è tutto fuorché scontata: invece di rifugiarsi nella pixel art minimalista che ha reso celebri titoli come Vampire Survivors, dove il fascino deriva proprio dal contrasto tra il caos del gameplay e l’essenzialità grafica, Dark Point Games decide di mantenere la stessa impronta visiva di Achilles: Legends Untold, trasportando la struttura di un roguelite in un contesto più ricco, tridimensionale, e tecnicamente ambizioso.
Questa continuità stilistica non è un semplice riutilizzo di asset, ma un modo per dare unità identitaria a due giochi molto diversi per genere e ritmo. La telecamera isometrica, le animazioni fluide, l’illuminazione drammatica e le texture mitologiche ben rifinite trasmettono immediatamente la sensazione di trovarsi all’interno di un gioco più “grande” di quanto le meccaniche di base lascino intendere. E, sorprendentemente, funziona. Funziona perché Achilles: Survivor non pretende mai di stupire con effetti speciali gratuiti, ma costruisce una coreografia visiva coerente con l’intensità delle sue regole. Quando sullo schermo si affollano dozzine di nemici, abilità ad area, esplosioni e fuochi sacri, l’arena non diventa solo un luogo da superare: diventa un’esperienza visiva densa, viva, in cui ogni secondo va decifrato con lo sguardo.
Certo, questa scelta comporta dei compromessi. Nelle fasi finali delle partite, quando gli eventi opzionali, come la chiusura dei rift o l’attivazione degli altari, si sovrappongono alla normale pressione del gameplay, il gioco può soffrire di cali di frame rate e stuttering. Non sono costanti, ma diventano più evidenti proprio quando la tensione ludica è al suo massimo. Il motore regge, ma si percepisce che l’ottimizzazione non è ancora definitiva: un aspetto che si spera venga migliorato nel corso dell’accesso anticipato.

Dal punto di vista della produzione generale, il gioco riesce a bilanciare bene il suo stato di early access con una sensazione di solidità. I contenuti sono ancora limitati: due campagne principali, ciascuna suddivisa in cinque livelli, con personaggi, biomi e nemici che si sbloccano progressivamente. Ma è chiaro che il team sta lavorando per espandere l’esperienza. E il design stesso è pensato per incoraggiare il ritorno: ogni run offre una combinazione nuova, ogni sconfitta lascia risorse da investire, e gli achievement, ben integrati nel gameplay, spingono il giocatore a sperimentare con classi, poteri e approcci diversi. Sbloccare un personaggio, raggiungere un obiettivo secondario o semplicemente tentare una build non ortodossa diventa parte del piacere del gioco, che non vive solo di performance, ma di esplorazione ludica.
Anche l’aspetto sonoro segue la filosofia della funzionalità. La colonna sonora accompagna l’azione senza sovrastarla, con tracce che puntano più alla tensione crescente che all’epica eroica. Gli effetti audio sono ben calibrati: ogni abilità ha un suo timbro riconoscibile, ogni colpo restituisce un feedback distinto, e anche nei momenti di maggior confusione il mix resta comprensibile. Il doppiaggio è assente, ma non se ne sente il bisogno: Achilles: Survivor parla con i suoi sistemi, non con le parole.
Nel complesso, il comparto tecnico riflette la visione autoriale che guida il gioco. Non è perfetto, ma è onesto, coerente, funzionale alla struttura ludica, e questo basta -per ora- a renderlo un'esperienza solida. Il rischio di strafare graficamente è evitato con intelligenza: Achilles: Survivor non vuole sembrare un gioco tripla A, ma un roguelite con un’identità forte. E quella, al netto di qualche inciampo, ce l’ha.
Versione Testata: PC
Voto
Redazione

Quando il mito incontra il loop - La recensione di Achilles: Survivor
Achilles: Survivor parte da basi solide e dimostra di saper reinterpretare il genere con qualche intuizione interessante. Il sistema di gioco funziona, la componente strategica è ben integrata e il loop è coinvolgente, ma l’offerta attuale resta contenuta. Se Dark Point Games saprà arricchirla con costanza, potrebbe diventare un titolo di riferimento.






