Salem’s Lot: su Sky il ritorno dei vampiri, ma senza l’anima di King
Un film visivamente curato ma narrativamente debole

Una nuova versione: Salem’s Lot, dal romanzo di Stephen King del 1975, torna sullo schermo dopo l’adattamento del 1979 firmato dal grande Tobe Hooper (qui trovate uno speciale con tutto ciò che dovete sapere a riguardo) e dopo la miniserie del 2004 con Rob Lowe.
Dal 22 maggio su Sky e NOW arriva il nuovo adattamento con il film Salem’s Lot (Le notti di Salem) firmato da Gary Dauberman - già sceneggiatore di It, The Nun e Annabelle 3.
La trama di Salem’s Lot - Le notti di Salem
Jerusalem’s Lot, Maine, 1975. Lo scrittore di successo Ben Mears (Lewis Pullman, già visto in Outer Range e Lezioni di chimica, figlio di Bill Pullman e si vede perché gli somiglia in modo impressionante), nato e cresciuto in città, fa ritorno a casa. Ben ha vissuto da ragazzino un’esperienza traumatica legata a Casa Marsten, la villa che domina la città dalla collina. Ora la villa ha un nuovo proprietario, il misterioso signor Kurt Barlow (Alexander Ward, Westworld), rappresentato dall’antiquario R.T. Straker (Pilou Asbæk, Euron Greyjoy ne Il trono di spade). Barlow non si vede mai, ma poco dopo l’acquisto della villa - e il ritorno di Ben - a Salem’s Lot la gente inizia a morire. La prima vittima è un ragazzino, ma presto i cadaveri aumentano. Mentre lo sceriffo locale Gillespie (William Sadler, The Mist, Le ali della libertà) sembra lavarsene le mani, a indagare ci sono Ben, l’undicenne Mark Petrie (Jordan Preston Carter, Shaft) e il medico della città, la dottoressa Cody (Alfre Woodard, Primo contatto e candidata agli Oscar per La foresta silenziosa) insieme all’insegnante Matt Burke (Bill Camp, 12 anni schiavo, Il sacrifico del cervo sacro). Mentre le vittime aumentano e la città diventa sempre più pericolosa, tutti coloro che si occupano del caso non possono che giungere alla stessa conclusione: Jerusalem’s Lot è infestata dai vampiri…
Una versione nuova, le incongruenze col romanzo
La prima cosa da dire è che, dopo aver visto questa nuova versione di una storia che conosciamo molto bene, sebbene tutto sommato il film funzioni, non si capisce la necessità di raccontare proprio questa storia nello specifico. Mi spiego: non capisco il motivo di pagare i diritti a Stephen King per fare qualcosa che poi, con le atmosfere del romanzo, ci azzecca veramente poco.
Bastava cambiare il nome alla città, alla villa sulla collina e ai personaggi e il gioco era fatto. Perché questo è più un film con un inizio che rende omaggio alle atmosfere del nuovo Nosferatu all’inizio (come il vampiro della versione del ’79, che qui invece sembra la suora di The Nun senza velo…) e al classico del 1985 Ammazzavampiri da metà film. Ma de Le notti di Salem di King tradisce proprio la premessa narrativa.
Il punto di vista principale, la nostra guida nel mondo della narrazione.
Ben Mears
Il Ben Mears adulto e scrittore, tormentato dall’evento traumatico vissuto a casa Marsten da ragazzino, non può essere Lewis Pullman, che è nato nel ’93. Il Ben che abbiamo conosciuto e seguito torna in città 25 anni dopo essere di fatto scappato a gambe levate da Salem’s Lot appena l’età gliel’ha consentito.
David Soul - il mitico Hutch di Starsky & Hutch in TV - nel 1979 quando vestiva i panni di Ben andava verso i 40 anni. Rob Lowe nella miniserie - in cui aveva per altro un ruolo limitato per scelte narrative - aveva compiuto 40 anni. Lewis Pullman ne ha 32 quando indossa i panni dello scrittore: è un Ben Mears troppo giovane, e si vede. Secondo la trama, Ben torna a Salem’s Lot dopo 25 anni. Capite bene che se lo interpreta Pullman significa che a 7 anni se n’è andato dalla città… E la cosa non sta in piedi.
Bisognava dargli un ruolo più marginale, cosa che accade solo nella prima parte del film.
Il cambio di ritmo
Forse anche per questo, e per quell’atmosfera da horror in costume dell’inizio, il film ci mette più di un’ora a ingranare: è troppo tempo. Andava rimontato, perché la differenza nel ritmo narrativo fra la prima e la seconda parte è davvero eccessiva.
La già citata “svolta ammazzavampiri” che arriva a metà finalmente fa accadere qualcosa e il film inizia a intrattenere, ma se vi aspettate di ritrovare le atmosfere della miniserie del ’79 vi sbagliate: qui si gioca molto sull’atmosfera e molto poco sulla credibilità del tutto. Se poi, per consolarvi, pensate al romanzo, ancora una volta rimarrete delusi: lo svolgimento si discosta da quello raccontato da King.
Insomma: se non conoscete la storia e non avete letto il romanzo, il film probabilmente vi piacerà. Ma se “provenite” da una passione per questi personaggi e questi eventi, vi chiederete solo una cosa: perché?
Non c’è nulla di nuovo, innovativo o peculiare in questo adattamento. C’è semplicemente un esercizio di stile che prende - dal punto di vista della regia e degli effetti - un po’ di qua e un po’ di là, senza contribuire in modo originale. Bene che sia ambientata nel 1975, l’anno del romanzo, la vicenda. Ma a maggior ragione non tornano i conti con l’età di Ben.
Gli aspetti tecnici
Regia scarsamente originale a parte, la fotografia è davvero curata e la produzione anche. Il cast - età del protagonista a parte - funziona bene, ma non si sentiva proprio il bisogno di rimaneggiare qualcosa che rimane migliore e funziona molto meglio nella sua forma originaria, quella del primo adattamento.
Mike il becchino è interpretato da Spencer Treat Clark, l’attore che avevamo conosciuto bambino in Unbreakable di M. Night Shyamalan accanto a Bruce Willis. Anche quello di padre Callahan è un volto noto: gli dà vita il sempre bravo John Benjamin Hickey (The Good Wife), qui sfruttato poco rispetto a quanto avrebbe potuto esserlo il suo personaggio. Tutta la fondamentale questione sulla fede, infatti, viene gettata al vento. Appena accennata.
Rating: Tutti
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Salem's Lot (2024)
Il nuovo Salem’s Lot, scritto e diretto da Gary Dauberman, prova a riportare sullo schermo la potenza narrativa di Stephen King, ma finisce per smarrirne l’essenza. L’ambientazione nel 1975 è lodevole, il cast funziona (al netto di un protagonista anagraficamente fuori posto), la fotografia è curata, ma la regia si limita a omaggiare – senza mai superare – altre opere. Non c’è tensione narrativa sufficiente nella prima parte, non c’è spessore nei personaggi chiave (vedi padre Callahan), e soprattutto manca una ragione vera per riesumare questa storia senza un punto di vista nuovo. Se non conoscete il romanzo o i precedenti adattamenti, potrebbe anche intrattenervi. Ma se siete cresciuti con Tobe Hooper o con le pagine di King, probabilmente vi chiederete: perché farlo, se poi ci si dimentica proprio ciò che contava davvero?