L’uomo nel bosco, la recensione del thriller che ha fatto innamorare i cinefili francesi
Più di Emilia Pérez, più di The Substance: L’uomo nel bosco è il film più amato dai cinefili francesi degli ultimi 2024. Per ottime ragioni.

Più di The Substance, più di Emilia Pérez: il film di Alain Guiraudie L’uomo nel bosco è quello che più ha conquistato il cuore dei cinefili francesi. A partire dalla loro rivista di riferimento, nota a livello internazionale per il suo approccio molto radical, molto chic.
Les Cahiers du cinéma sono un’istituzione francese e internazionale per quanti vivono il cinema in maniera totalizzante: la classifica di fine anno da loro stilata è un appuntamento e un rito, per via delle scelte poco istituzionali che ogni anno compie. Nel 2024 al primo posto c’è proprio Misericorde, un film che si era intuito fosse molto speciale dai borbottii che hanno seguito la sua presentazione fuori concorso al Festival di Cannes. In molti (inclusa chi scrive) l’avrebbero voluto vedere in gara per la Palma d’Oro, insieme ad Anora, Emilia Pérez e The Substance. Allora, forse, si sarebbe scritta una storia diversa.
Quietamente radicale: L’uomo nel bosco è stata a vera sorpresa della scorsa Cannes
Forse L’uomo nel bosco è stato un po’ punito da Thierry Frémaux - ovvero il direttore della kermesse, quello che decide chi è dentro, chi e fuori e in quale sezione - perché è un film che naviga in direzione esattamente opposta ai trend dell’annata. I film che sono usciti vincitori dal Festival francese, di cui si parla in chiave Oscar, sono tutti accomunati dal fatto di essere calcati, così entusiasti dal non andare mai troppo per il sottile. Sono schietti, diretti, efficaci al punto talvolta dal sconfinare nel semplicistico.
L’uomo nel bosco è esattamente l’opposto, anche se forse, in fin dei conti, è il film più radicale ed estremo tra quanti visti a Cannes. Chi conosce il suo realizzatore, Alain Guiraudie, non ne rimarrà troppo sorpreso. Si tratta infatti di un regista e autore dalle scelte e dalle tinte forti, i cui personaggi non hanno mai paura d’esplorare fino in fondo i loro sentimenti contraddittori, le loro pulsioni più distruttive.
Anche il pubblico abituale di Guiraudie rimarrà però sorpreso, perché il regista ha deciso di giocare con le aspettative, ribaltandole. Da sempre noto per i suoi film scarni, estremi nell’antiestetica e nei contenuti, dichiaratamente queer (e senza mai ingentilimenti o glissature), Guiraudie va volutamente in direzione opposta. Un paio di nudi integrali e niente sesso, per cogliere di sorpresa quanti pensano di sapere già cosa li aspetti. Eppure L’uomo nel bosco non è un film casto: è spirituale sì, riflessivo, ma finisce per interrogarsi su ogni tipo d’amore, da quello per Dio a quello per Caino. Lo fa però per gradi, con un approccio sottile: difficile capire da principio dove si vada a parare.
L’uomo nel bosco è anche il film perfetto per avvicinarsi a questo regista, perché appunto, parte all’esplorazione di questo paesino ricco di segreti portando con sé la tensione del thriller, ma anche inaspettate svolte nella commedia, con un’umanità enorme che fa apparire molti altri film manieristici, calcolati.
Da Hitchcok a Dolan, Guiraudie riflette sulla colpa e sul perdono
Sarebbe un delitto, espressione che non uso a caso, anticipare troppo della trama, perciò vi basti sapere che L’uomo nel bosco è ambientato in un remoto paesino della campagna francese, circondato da boschi magnifici, ma in cui i rapporti tra vicini sono tutto tranne che idilliaci. Il protagonista della pellicola, Jérémie (Félix Kysyl) torna al paese per un funerale, esattamente come accadeva in Tom At the Farm del canadese Xavier Dolan. I due film si somigliano, perché di fondo tra i tanti modelli che hanno spicca quello del cinema di Alfred Hitchcock. Esattamente come in Tom at the Farm Jérémie era legato al defunto da sentimenti mai esplicitati ma decisamente profondi ed esattamente come in quella pellicola, questo complica di molti le relazioni con il resto della famiglia del morto all’indomani delle esequie.
Anche se non ha motivo di restare infatti il protagonista finisce per installarsi a casa della vedova, che sembra molto interessata alla sua compagnia, mandando su tutte le furie il figlio di lei, che a sua volta nutre sentimenti contrastanti per il giovane.
La scena cardine che si consuma nel bosco: è vertiginosa, la scelta registica e di montaggio più graffiante della pellicola, l’unica in cui Guiraudie dà pieno sfogo alla forza non mediata del suo fare cinema. Da lì a seguire L’uomo del bosco lascia alle spalle Hichcock, Fassbinder e Bergman, è diventa sé stesso. Il film si gioca tutto su un continuo rinegoziare le relazioni tra Jérémie e gli altri personaggi, alla luce di una sparizione sulle cui circostanze indaga la polizia. Sparizione che per lo spettatore non ha segreti, ma come Jérémie si troverà a dover decifrare i sentimenti di una serie di personaggi che sembrano irresistibilmente attratti dal protagonista, anche se forse non è davvero la migliore delle persone.
Le strane conseguenze dell’amore secondo Guiraudie
C’è dichiaratamente molto Fyodor Dostoevsky in L’uomo nel bosco, che tra le brume bellissime della foresta in cui spesso la storia ha svolte vertiginose s’interroga sulla colpa e sulla pena di chi sbaglia. Il personaggio più straordinario del film è un prete sui generis, grande raccoglitore di funghi, che mosso dall’amore per il divino in una folta schiera di sentimenti assai mortali, fornisce a Jérémie e allo spettatore passaggi che incrinano il veloce qualunquismo con cui siamo portati a giudicare il Caino della situazione. L’uomo nel bosco è una pellicola il cui traguardo naturale è una visione piuttosto radicale di cosa servano davvero polizia, prigioni, pene, punizioni, ma che tiene miracolosamente insieme uno sguardo talvolta scomodo su cosa si è disposti a fare, a vedere e tacere mossi dall’amore.
L’amore in L’uomo nel bosco è la forza più potente e irrazionale di tutte, talvolta con manifestazioni sinistre. Il suo emissario è Jérémie, una sorta di angelo della morte talvolta debole, talvolta crudele, molto ruvido, che ci accompagna in un microcosmo francese in cui il tempo e i sentimenti hanno scavato dentro i personaggi in modi imprevisti. Guiraudie ci invita a guardare dentro le loro anime e a fare attenzione ai funghi che cogliamo, spingendoci a chiederci cosa sia velenoso, cosa sia salvifico, oltre le apparenze. Il medesimo gesto può essere estremamente caritatevole o infinitamente calcolato: il prete di cui sopra sembra il più in grado di vedere oltre le apparenze.
Rispetto ai suoi standard poi, L’uomo nel bosco è un film che non si crogiola in una sorta di estetica così scarna dall’essere respingente. Come in ogni film di Guiraudie i volti sono non idealizzati, gli interpreti freschi e poco noti, gli interni delle case realistici nel loro disordine, nella loro incongruenza. Rispetto ai precedenti Rester Vertical e Lo sconosciuto del lago però c’è chiaramente uno sforzo produttivo ben più rilevante, grazie al sostegno di nomi importanti in ambito francese come il produttore Charles Gillibert e il regista Albert Serra.
Durata: 102'
Nazione: Francia
Voto
Redazione

L'uomo nel bosco
Ispirato da un fatto di cronaca sentito distrattamente in un TG, Alain Guiraudie scrive e dirige una storia che spinge i temi che da sempre lo interessano (l’amore, l’attrazione, la dimensione salvifica e distruttiva del desiderio, l’amicizia platonica e quella carnale) verso nuove vette, tirando dentro nella sua visione dell’umanità e delle sue colpe l’Altissimo ma anche il terreno. L’incipit della storia è un sottobosco fertile da cui spuntano frutti che stupiscono in tutta la loro complessità. Difficile dire se sia una visione ottimista o pessimista della natura umana: sicuramente L’uomo del bosco dimostra che il suo realizzatore ha saputo guardarvi dentro, a fondo, non lasciandosi influenzare o rallentare dalle convenzioni, senza farsi spaventare da ciò che fa male e fa paura.