Diabolik - Chi sei?, recensione: addio Diabolik, a mai più rivederci

Un po’ meglio del secondo film, ma comunque infinitamente lontano dall’essere un film riuscito, Diabolik - Chi sei? sembra la domanda che pone lo spettatore sgomento a chi ha realizzato questi film.

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Diventa persino tedioso ripetersi, perché il verdetto che si può dare ora, dopo tre film e più di sei lunghe ore in compagnia del Diabolik dei Manetti Bros, è quello già espresso al primo lungometraggio, anzi, forse all’annuncio del progetto. Diabolik - Chi sei? conferma la sentenza senza appello già emessa in precedenza, senza fare miracoli, se mai qualcuno ci avesse sperato.

Questo non è il modo giusto o quantomeno funzionante di riportare Diabolik al cinema in maniera avvincente o almeno un po’ intrigante, questo non è nemmeno il modo di fare un film dignitoso da guardare una sera sul divano mentre si scorrono distrattamente le notifiche sul cellulare. Per la terza e ultima volta dunque: in Diabolik - Chi sei? non c’è davvero nulla che convinca davvero dal punto di vista narrativo e cinematografico. Riesce a essere un pizzico più avvincente del precedente Diabolik - Ginko l’attacco, ma quel tanto che può esserlo un fosso rispetto a un baratro.

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In Diabolik - Chi sei? funzionano solo le idee delle sorelle Giussani

Il merito sta più che altro nella storia di partenza da cui è tratta la pellicola, nell'uscita a fumetti numero 107 in cui le sorelle Giussani mettono Ginko e il Re del Terrore dalla stessa parte- Nel 1968, al quinto anno di pubblicazione dei tanto contestati albi a fumetti sul Re del Terrore, le Giussani finalmente rivelano infine la genesi, il passato del loro algido protagonista senza nome. Diabolik - Chi sei? è una storia di partenza perfetta, perché racconta ciò che Diabolik è per assenze: non ha mai avuto un nome, non ha mai avuto una famiglia. Il suo è un passato vuoto, senza vere identità o radici: la genesi di una pantera nera, una belva senza pietà che intimorirebbe anche Francesca Fagnani se seduta sullo sgabellino di Belve.

Il film riprende la storia e racconta le origini del suo Diabolik, scegliendo per l’occasione un bianco e nero stiloso, in un’atmosfera da fumetti anni ‘60 con gli scienziati pazzi asiatici o in odor di nazismo. Solo che l'assenza, la mancanza che caratterizza la storia del Diabolik del film è negativa. Scoprire finalmente da dove nasce Diabolik come criminale e come persona (quasi) senza sentimenti dovrebbe generarci un’emozione, ma in tre film i Manetti non sono riusciti nemmeno a raggiungere il traguardo più vicino, più semplice, fondamentale alla riuscita di questo colpo di scena: fare in modo che ci importi qualcosa del loro Diabolik.

Si torna dunque a ripetere quanto già detto: la passione dei Mainetti per i film di genere a basso budget degli anni '60 e '70, del periodo in cui venne realizzato il primo lungometraggio di Diabolik, l’ironia partenope con cui stemperano le situazioni più drammatiche mal si sposano con la genesi borghese, algida, milanese, distaccata, glaciale di quest’opera. Ne esce un guazzabuglio di un film che scimmiotta il cinema di un tempo nei suoi aspetti peggiori, non si capisce se per mancanza di budget, di perizia o per genuina volontà d’infliggere al suo pubblico quei tremendi parrucconi, le ciglia finte chilometriche, il montaggio fallace e le scene d’azione con poca azione e poca perizia. Diabolik - Chi sei? risulta gradevole per gli appassionati di design d'interni d'antan, di architetture geometriche, di cancelli in ferro battuto girevoli e tappezzerie a pattern arancioni e marroni.

Diabolik - Chi sei?, recensione: addio Diabolik, a mai più rivederci

 

D’altronde chi ha perseverato finora nella visione e si presenterà una terza volta al cinema dopo aver visto i primi due film o apprezza questo approccio o è animato da un’inestinguibile slancio masochista o sposa un’operazione che ha provato solo quanto i Manetti fossero lontani per sensibilità, approccio, carattere e capacità dall’essere i registi giusti per l’operazione. 

Cosa ci mancherà di questo Diabolik?

Ci mancherà qualcosa di questo Diabolik che ha fatto scappare a gambe levate Luca Marinelli (sembrava così pentito durante la promozione del primo film), che ha poi trovato in Giacomo Gianniotti un sostituto di statuaria presenza ma così inconsistente a livello di carisma da essere una mera comparsa nel trailer promozionale del suo stesso film? Ci mancherà la recitazione affettata e con accento straniero pedantissimo di una Monica Bellucci resa quasi brutta dal parruccone da Altea e dal guardaroba da sciuretta, ci mancherà una Miriam Leone utilizzata meramente come bella presenza e di cui si mettono in luce solo i limiti recitativi, ci mancheranno nomi musicali di rilievo e interesse come Diodato, Alan Sorrenti, i Calibro 35 i cui talenti sono utilizzati in maniera così fastidiosa e didascalica dalla colonna sonora?

La risposta è no. Come non essere d’accordo con la battuta dell’ispettore Ginko nel film: “Senza il re del terrore il mondo sarà migliore". Sicuramente lo sarà quello cinematografico italiano, che ha bisogno (tanto bisogno) di puntare sul cinema di genere, di esplorare il mondo del fumetto e di allontanarsi dal dualismo cinema d'autore passatista vs commedia leggera. Manca la voglia di svecchiarsi, che Diabolik con questo approccio passatista senza remore non dimostra di avere, né dà l'impressione di voler cercare un suo pubblico oltre a quello i cui gusti si sovrappongono perfettamente a quello dei registi. Sono altri i film italiani di genere che, pur non riuscitissimi, quantomeno inducono cauta curiosità: esperimenti come il bonelliano Dampyr o il recente e disturbante Mimì. Il principe delle tenebre.

Diabolik - Chi sei?, recensione: addio Diabolik, a mai più rivederci

L’unico aspetto dunque che davvero rimpiangeremo - oltre all’occasione scandalosamente buttata alle ortiche di portare al cinema un personaggio disturbante nel suo non essere antieroe ma autentico cattivo - è il Ginko di Valerio Mastandrea. Un vero eroe malinconico il personaggio, un martire il suo interprete, che si è preso sin da subito i destini invero miseri della trilogia sulle spalle e ha trovato la quadra impossibile nel dare sentimento, spessore e malinconia al suo ispettore d’altri tempi sì, ma non a due dimensioni.

Questo Ginko ha dato l’unico senso d’esistere al film, a questa Clerville, a questo progetto. Un ispettore solo, pur circondato da amanti e arcinemici, malinconico ma vivo.

Diabolik - Chi sei?

Durata: 124'

Nazione: Italia

5

Voto

Redazione

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Diabolik - Chi sei?

Il terzo film di Diabolik è forse il migliore visto finora, anche se sarebbe più corretto dire il meno peggio. Non essere ancora riusciti a trovare una quadra per far funzionare il personaggio e il suo universo dopo tre film sancisce il fallimento di questo progetto, di cui ricorderemo con piacere solo l'investigatore malinconico e solitario di Valerio Mastandrea. La trilogia di Diabolik si conferma, nel suo capitolo finale, uno spreco enorme di personaggi, storia e risorse.