Cannes 2025, è tempo di toto Palma: e se la Palma d’Oro andasse a Teheran?
È tempo di toto Palma: l’impressione è che il premio più importante del Festival di Cannes possa prendere un volo per Oslo o un o per Teheran.

È tempo di toto Palma: l’impressione è che il premio più importante del Festival di Cannes possa prendere un volo per Oslo o un o per Teheran.
Un’altra edizione del Festival di Cannes volge al termine, una che ha davvero deluso le aspettative della vigilia rispetto alla qualità dei film in gara. Stasera, intorno alle 20:00, verrà assegnata la Palma d’Oro dell’edizione 2025, che pochi film sembrano avere le carte in regola per vincere.
Dopo un avvio molto forte il Festival ha riservato grosse delusioni, motivo per cui sono pochi i nomi accreditati a una possibile vittoria dalla stampa nel tradizionale esercizio del Toto Palma. Sono solo una manciata, per mancanza di contendenti di grande qualità nel concorso principale. Quest’anno dunque più che individuare i favoriti, si tratta di piazzare ogni film nella corretta casella, tra la scelta limitata che il concorso propone, a meno di grosse, impreviste sorprese da parte della giuria capitanata dall’attrice francese Juliette Binoche.
Vestendo i panni un po’ degli indovini, un po’ degli allibratori, proviamo anche questa volta a indovinare chi vedremo tra poco ore tornare sul tappeto rosso, sapendo di essere nel palmares, in attesa di scoprire per quale premio.
Come sempre due premesse. C’è sempre il rischio che sia una di quelle annate in cui niente va come da pronostico e da desiderata della stampa: spesso infatti le giurie hanno percezioni completamente diverse rispetto alla critica, lasciando spiazzati con le proprie decisioni, opposte rispetto ai favoriti della vigilia. Bisogna poi capire che se la giuria ha trovato da subito un titolo ecumenico su cui convergere o palmares e vincitore saranno frutto di una soluzione di compromesso e mediazione.
L’impressione, scorrendo i nomi dei giurati e tenendo presente le loro personalità e la loro carriera, è che questa giuria non cercherà di titoli sperimentali e di grande rottura, ma solidi film con un’attenzione al sociale, ma non troppo politici. Con per la prima volta volta una maggioranza di donne tra i giurati, è plausibile pensare che si farà particolare attenzione a veder rappresentate le cineaste nel palmares finale, magari con un occhio di riguardo a film incentrati su tematiche “femminili” (definizione ahimé odiosa ma ancora necessaria), solitamente svantaggiati per un certo snobbismo di fondo verso le stesse.
I favoriti alla corsa alla Palma d’oro: occhio agli iraniani
Un vero e proprio front runner da battere quest’anno non sembra esserci, quindi conviene partire dai film che hanno convinto tutti e che hanno ben fatto. In questo senso bisogna partire dall’Iran, che ha piazzato una grande doppietta in concorso. Cannes esclusa, Jafar Panahi ha già vinto orso d’oro, leone d’oro e pardo d’oro e con il suo It was just an accident - piccolo dramma di grandissimo spessore umano e ardita critica a un regime che continua a mettergli i bastoni tra le ruote - è difficile immaginarlo in toto fuori dal Palmares e non sarebbe così una grande sorpresa vederlo con una Palma in mano, specie nell’annata in cui il governo gli ha consentito di essere in presenza al Festival. Il cliente più pericoloso è però Woman and Child, a parere di chi scrive molto sottovalutato dalla critica. Non solo è un perfetto esempio di film scritto e girano in maniera ineccepibile, ma per giunta mette al centro un grande racconto corale e femminile in cui riecheggia sia una sottile critica al regime, sia un racconto doloroso di cosa significhi essere una donna in Iran. Attenzione dunque a Saeed Roustayi, regista figlio del vivaio festivaliero per cui potrebbe arrivare una consacrazione.
Il grande favorito delle ultime ore parla però norvegese e la sua consacrazione l’ha già avuta con 19 minuti di applausi: Joachim Trier con Sentimental Value ha diretto il film della sua maturità artistica, che finirà quasi di certo in Palmares. Non è il film più ineccepibile del concorso, ma sicuramente quello dall’impatto emozionale maggiore e con una delle scritture più complesse: sarebbe una grande Palma d’Oro, ma attenzione anche al trio gigantesco di interpreti protagonisti, tra cui svetta un immenso Stellan Skarsgård, come vi raccontavo nella recensione di Sentimental Value.
Da regolamento il film che contiene le interpretazioni maschile e femminile premiate con la Palma attoriale non può vincere il premio principale, quindi a parere di chi scrive uno dei grandi favoriti alla vittoria finale non porterà a casa il premio più importante per questo motivo. Il brasiliano The Secret Agent di Kleber Mendonça Filho è sicuramente da premio, ma il protagonista Wagner Moura sembra il candidato più forte per il premio attoriale. Attenzione però a Josh O’Connor, che sia in The History of Sound sia in The Mastermind sarebbe da premio.
Sul fronte femminile potrebbe arrivare un premio di sapore hollywoodiano per la splendida madre folle di Jennifer Lawrence in Die My Love, che però si deve guardare le spalle da una madre altrettanto disperata: quella appunto di Woman and Child interpretata da Parinaz Izadya.
Per capire la Palma bisogna poi tener conto di altri tre premi cruciali: Gran Prix della giuria, ovvero il secondo premio più prestigioso e i riconoscimenti alla sceneggiatura e alla regia. Per quest’ultima il visionario cinese Bi Gan si è dato sicuramente più da fare con l’impressionante Resurrection, ma occhio anche alla bravissima regista tedesca Mascha Schilinski per Sound of Falling e a Kelly Richards per The Mastermind, specie se i premi principali andranno tutti a cineasti maschili. L’unico problema è che in questo scenario la Francia rimarrebbe completamente senza riconoscimenti, il che è davvero difficilmente immaginabile, quindi Alpha di Julia Ducournau potrebbe spuntare qualcosa.
Personalmente trovo che il film di Jafar Panahi con la sua scrittura che guarda a Brecht e a Dostoevsky sia il candidato ideale per la sceneggiatura, ma lo stesso vale anche per Two Prosecutors del regista ucraino Sergei Loznitsa, che tra l’altro affronta come il collega iraniano e quello brasiliano il tema dell’impatto del regime sulla vita di chi ci vive dentro, rifacendosi però alla paranoia di epoca staliniana.
Sbilanciandomi in un pronostico, credo che a spuntarla saranno o il norvegese Trier o il sottovalutatissimo iraniano Saeed Roustayi, nella speranza che una giuria che io immagino molto tradizionalista non si dimentichi del film più bello dell’edizione: lo spagnolo Sirât di Óliver Laxe, che sarebbe un perfetto Grand Prix radicale. Con un premio a Moura che non faccia troppo indispettire i brasiliani e una cineasta premiata in regia o sceneggiatura (o entrambe) il Palmares potrebbe raggiungere quel delicato equilibrio geopolitico che presto o tardi quasi tutte le giurie si trovano a cercare.