Squid Game 3 ha il coraggio di continuare a essere pessimista: la recensione della stagione finale della serie Netflix

Una grande coerenza nella critica al capitalismo da sempre al centro di Squid Game dona alla stagione finale un solido finale, non senza qualche sbavatura.

Squid Game 3 ha il coraggio di continuare a essere pessimista: la recensione della stagione finale della serie Netflix

Siamo umani o siamo come cavalli da corsa, costretti a gareggiare selvaggiamente nell’ipercompetitività alla base stessa del sistema capitalistico, che fiacca ogni insubordinazione sul nascere costringendo quanti non riescono a sottrarvisi a investire ogni energia residua nella lotta per la sopravvivenza, spesso ai danni dei propri pari? Squid Game non ha mai avuto una risposta definitiva e per questo il suo protagonista Gi-hun (Lee Jung-jae) non è mai stato un eroe in senso lato, così come il suo avversario Front Man (Lee Byung-hun) non scivola mai nei confini di un semplice avversario distaccato e malvagio.

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La stagione che va a chiudere - almeno in teoria - Squid Game si limita a portare a conclusione tutto il discorso fatto in merito e quindi, per certi versi, il finale della serie è l’unico possibile. Questo perché sin dall’inizio ogni atto crudele e disumano viene controbilanciato in extremis da un gesto disinteressato e altruistico, ma non è detto che quest’ultimo abbia un effetto positivo. Ci sono persone grottescamente malvagie - come il numero 100, l’uomo più indebitato che guida la squadra del cerchio già dalla stagione due - e altre che nelle giuste condizioni sono in grado di essere solidali e buone. Dentro i giochi di Squid Game però, versione infantile, colorata e semplificata del mondo che li ha generati, non c’è mai la condizione ideale per sollecitare questo risultato. Anzi, lo showrunner Hwang Dong-hyuk, gioco dopo gioco, ci mostra proprio “la democrazia perfetta” che vige all’intero del dormitorio e nei giochi altro non sia che un sistema costruito solo per favorire chi grazie al proprio patrimonio vi si sottrae e poi lo sfrutta.

I problemi di Squid Game 3 derivano in larga parte dalle forzature di Netflix

Lo si capisce bene vedendo il nascondino, una delle prove più riuscite di questa terza e ultima stagione, che molto più onestamente potremmo chiamare seconda parte della seconda, dato che ne è diretto proseguo. Eppure, al contempo, ha la lunghezza di una stagione “regolare” e, per giunta, ripete le dinamiche della prima: Gi-Hun dentro al gioco, il fratello di Front Man fuori che cerca un modo per rintracciare l’isola dove si svolge lo Squid Game e denunciarlo pubblicamente. Da questa struttura - e dalla forzatura esercitata da Netflix nel trasformare una storia autoconclusiva in una saga più lunga - deriva buona parte dei problemi di questa terza stagione, che non può essere vista senza aver guardato e ricordarsi abbastanza bene la seconda, dato che comincia immediatamente dopo il drammatico epilogo della ribellione di Gi-Hun. Seguono i giochi rimanenti della seconda edizione, ma dato l’alto numero di episodi disponibili, la storia si dilata, cerca nuovi personaggi da raccontare e, nel farlo incappa nei suoi principali passi falsi.

Squid Game 3 ha il coraggio di continuare a essere pessimista: la recensione della stagione finale della serie Netflix

Il peggiore sono, indubbiamente, i VIP, i miliardari con il volto coperto da maschere dorate che si recano sull’isola per seguire le fasi finali del gioco. E davvero inspiegabile come una serie così acuta nel ritrarre la psicologia anche del personaggio più meschino e grottesco tra i giocatori e le guardie non riesca a indovinare una singola battuta dei ricchissimi spettatori. Sono insopportabili macchiette, a tratti stupidi, a tratti crudeli, più che altro utilizzati per reiterare l’ovvio. Squid Game compie lo stesso peccato mortale di Parasite di Bong Joon-ho, che a ben vedere ha gli esatti stessi presupposti: è del tutto incapace di una critica incisiva ai perpetratori, perché non li prende mai sul serio, non li “capisce” mai, non gli dà nemmeno la dignità dell’intelligenza.
Anche le parti riguardanti la ricerca dell’isola appesantiscono la storia, perché di fatto si tratta di informazioni che già abbiamo e hanno a che vedere con un personaggio messo in standby per il posto che gli si vuole dare nel finale.

Decisamente più interessante è quanto accade nell’arena, come accennavo prima. Dopo la ribellione fallita infatti la storia si concentra sulla reazione di Gi-Hun, continuando ad approfondire il percorso di un personaggio che ormai ha compiuto una parabola lunghissima, è traumatizzato da una serie infinita di vicende, non è esente da fallimenti anche in questa terza stagione (emblematico il suo momento astensionista), ma nei momenti cruciali sa istintivamente su quale terreno morale vale la pena vivere e morire. Tanto da risultare incomprensibile o venire completamente travisato da quanti hanno interiorizzato del tutto le logiche e le scale di valori del capitale e del denaro, ricco o povero che sia. La serie inoltre è riuscita a scrivere tre personaggi femminili davvero importanti - la ex soldatessa trans, l’anziana madre, la giovane incinta - ed è grazie alla loro relazione con Gi-Hun se la terza stagione vale la pena di essere vista, oltre ovviamente che il sottile piacere di scoprire le perverse dinamiche dei giochi da cortile presentati dallo show.

Squid Game 3 ha il coraggio di continuare a essere pessimista: la recensione della stagione finale della serie Netflix

La fine di Squid Game è per larga parte inevitabile, ma comunque colpisce come un pugno

Già non perdere la rotta, non rassegnarsi a uno status quo e trovare un modo coerente per proseguire la serie entro i paletti non sempre ideali imposti da Netflix è un risultato ragguardevole per Squid Game 3, che va incontro a un finale inevitabile per una serie coerente, ma che può sfruttare la forza dei un grande interprete per ricavarne spessore emotivo. In un certo senso la conclusione di questi secondi Squid Game è talmente epocale da cambiare per sempre anche Front Man, come comprendiamo nel finale: Gi-Hun non è riuscito nella sua ribellione, o forse sì, fornendo al suo opponente la prova incontrovertibile che ancora qualcuno degno della sua umanità c’è.

Per questo è particolarmente mortificante assistere all’ultimissima scena, che con un colpo di sorpresa già vanificato da stampa e social sembra quasi voler derubricare l’intera serie come un prologo a qualcosa che, dopo il successo planetario della prima stagione, Netflix ha tanto voluto da innestarlo in chiusura di Squid Game. Incurante di come questa stia un’idea che chiunque viva in una società capitalista può ovviamente comprendere, ma anche con una specificità tale rispetto alla società coreana che trasfigura nei suoi giochi e personaggi che sembra una forzatura estemporanea e che rischia di essere ulteriore metafora della storia: la ricca e grande corporazione che piega le regole del gioco per farlo andare nella direzione voluta, forzando la mano. Quel che quel finale - che tinge di una nota aspra una chiusa altrimenti all’altezza - ricorda è quanto successo appena qualche episodio prima con la concorrente 222: forzare qualcuno dentro Squid Game per il proprio diletto, senza vedere quanto è grottesco e quanto certe cose, una volta concluse (serie televisive e vite umane) dovrebbero rimanere tali.

Squid Game 3 ha il coraggio di continuare a essere pessimista: la recensione della stagione finale della serie Netflix

Squid Game

Rating: V.M. 14

Nazione: Corea del Sud

7

Voto

Redazione

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Squid Game

Meglio della stagione precedente, di cui di fatto è la seconda parte, capace di trovare un finale abbastanza all’altezza della prima, folgorante stagione: lo showrunner Hwang Dong-hyuk ha ben di che essere soddisfatto per come è riuscito a portare a compimento la sua creatura con Squid Game 3. Soprattutto considerando quanto i difetti di questa terza stagione siano spesso collegati alla volontà di Netflix di forzare Squid Game a diventare ciò che non è mai stata, mettendo lo sfruttamento commerciale presente e futuro delle sue idee di fronte alla priorità di permettere alla serie di trovare il proprio passo verso la sua naturale conclusione.

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