Il tono graffiante di Tom Wolfe resta nell’adattamento TV: Un uomo vero è il nuovo falò delle vanità di oggi

Una miniserie strepitosa, con un finale memorabile.

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Dal romanzo di Tom Wolfe, quello de Il falò delle vanità per intenderci, alla trasposizione televisiva creata e sceneggiata da David E. Kelley. (Big Little Lies, The Undoing, Anatomia di uno scandalo…).

Un uomo vero, dal 2 maggio su Netflix con uno straordinario Jeff Daniels protagonista (degno del migliore Will McAvoy, il suo personaggio in quel capolavoro televisivo che è The Newsroom) non è la storia di un uomo. No. È una dimostrazione di tutto ciò che nel mondo di oggi le persone, a prescindere dal loro livello lavorativo, devono affrontare. Una sorta di affresco sullo stress, la frustrazione, gli incidenti, la sfortuna, le disuguaglianze, senza dimenticare la strafottenza dei ricchi e dei potenti.

La trama di Un uomo vero

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Charlie Croker (Jeff Daniels) è un multimilionario. Il suo impero immobiliare ad Atlanta, con tanto di Torre dedicata in stile Trump Tower - il riferimento è chiaramente voluto -gli ha fatto guadagnare milioni di dollari che Charlie ha poi diversificato, investendo in tante altre realtà e aziende. La mattina successiva al weekend in cui ha festeggiato il suo 60º compleanno, con un mega party animato niente meno da Shania Twain, tanto per farci comprendere il suo livello, Charlie viene convocato a una riunione in cui gli viene detto chiaramente che i suoi sostanziosi debiti con una delle banche dalla quale ha ottenuto prestiti non sono più tollerati. Il mondo di Charlie, della moglie Serena (Sarah Jones), del suo avvocato Roger White (Aml Ameen) e di molte persone che lavorano per lui, trema.

Charlie dovrà trovare il modo di far fronte a oltre 1 miliardo di dollari di debiti, cercando di mantenere intatto il proprio impero e preservando tutti i posti di lavoro che coinvolge.

Reazione a catena

Il tono graffiante di Tom Wolfe resta nell’adattamento TV: Un uomo vero è il nuovo falò delle vanità di oggi

Come dicevamo, la storia di Charlie Croker è costellata di drammi. In puro stile Tom Wolfe, con quello sguardo grottesco che rende anche Un uomo vero una miniserie non adatta ai gusti di tutti.

L’atmosfera spazia dal dramma alla commedia, dal grottesco al surreale, dal verosimile all’intimista.

Esattamente come Il falò delle verità, Le ragioni del sangue, Io sono Charlotte Simmons.

David E. Kelley, come sempre quando adatta dei romanzi, ha mantenuto il tono graffiante di Wolfe.

Dal montaggio alternato della scena con il serpente - non dico altro per evitare spoiler - al tentativo di conciliare la caccia con gli animalisti, dal bancario invidioso ai retroscena.

Il cavallo di razza non nasce “in natura”. A 60 anni le ginocchia non sono più quelle di un ventenne. Quando crescono, i figli sono anche fonte di critiche, non solo di ammirazione. Tutto, insomma, ha un rovescio della medaglia e questa storia è stata pensata per mostrarcelo.

La reazione a catena che colpisce tutti coloro che sono legati a Charlie, in modo più o meno indiretto, è l’esempio di come quando le cose vanno male al vertice, a risentirne siano tutti piani che stanno sotto. Ma quando le cose vanno bene, a godersi veramente la vita sono solamente coloro che si trovano al vertice, mentre tutti gli altri conducono vite normali, senza momenti eccezionali e senza disgrazie. Ma quando le disgrazie arrivano, ciascuno si ritrova solo.

Dall’arresto di Conrad (Jon Michael Hill), marito della segretaria di Charlie, Jill (Chanté Adams), all’incontro di Roger con il sindaco Jordan (William Jackson Harper), fino alla vicenda che coinvolge Joyce (Lucy Liu).

E poi ci sono i fatti che riguardano il rancoroso e frustrato bancario Raymond (Tom Pelphrey), agli ordini del suo capo Harry Zale (il grande Bill Camp), che sembra aver intrapreso una vera e propria crociata contro Charlie e tutti gli uomini come lui. L’ex moglie di Charlie, Martha (Diane Lane), alla presa con l’ennesima sospensione del figlio. E tanti altri. Tante vite, tutte collegate, si influenzano a vicenda. Mentre l’avvocato ripete il tormentone che tutti i detenuti si sentono dire (“Ti farò uscire”), l’incensurato che finisce in carcere ci mostra il vero inferno. Le regole diverse. Il centro del potere spostato rispetto al mondo che conosciamo.

Una riflessione sui luoghi del potere

Il tono graffiante di Tom Wolfe resta nell’adattamento TV: Un uomo vero è il nuovo falò delle vanità di oggi

I luoghi del potere - che il sindaco Jordan (William Jackson Harper) s’illude solamente di poter gestire - non sono il municipio o l’ufficio del governatore. I veri luoghi del potere, si sa, sono le banche. I veri luoghi del potere sono i tribunali, in cui il giudice che ha dei pregiudizi contro di te dispone della tua vita e di quella della tua famiglia.

I luoghi del potere sono i ranch in cui i milionari si accordano con altri milionari per fare affari, lontano dai riflettori e dagli uffici in cui i loro impiegati possono vederli.

I luoghi del potere sono la memoria, gli archivi, qualsiasi cosa conservi le informazioni. Opportunamente esibite al momento giusto.

Ciò che Succession - ma anche Yellowstone - ci avevano già insegnato viene ribadito con forza da Un uomo vero.

Aggiungendo, naturalmente quel falò delle vanità - l’evento di beneficenza, nello specifico - in cui si concentra il potere della reputazione, dell’apparenza, del pettegolezzo, che fa capo a quel potere dell’informazione di cui tutti riconosciamo la forza.

I luoghi del potere sono i crimini degli uomini potenti, in vista, che la fanno franca perché le loro vittime non hanno la forza - sociale, economica, emotiva - di opporsi.

Ci sono tante questioni delicate, in Un uomo vero. Tante. La regia indugia sui volti, stringendo le inquadrature progressivamente per leggere i sentimenti non detti.

Ci sono avvincenti dibattimenti in puro stile legal drama, confessioni dolorose di vittime di violenza e il tema della violenza della polizia come nei migliori drama, tante sequenze tipiche dei film e delle serie del filone carcerario e naturalmente tutto l’aspetto famigliare e relazionale sullo sfondo di una società che ancora non tratta tutti nello stesso modo.

Un uomo vero ci parla della differenza fra la giustizia e la legge. Dell’abisso che separa il fare la cosa giusta dal farla rispettando le regole. Della delicatezza di un equilibrio sociale retto esclusivamente dalle dinamiche di potere: chi è più ricco, chi è più forte, chi è più potente ha la meglio. E schiaccia tutti gli altri.

Con un cast straordinario, la miniserie di Netflix racconta tanti momenti così realistici - come il disagio di Raymond per i suoi vicini - da farci guardare certe sequenze come se stessimo guardando dalla finestra.

Un uomo vero

Rating: TBA

Nazione: USA

8.5

Voto

Redazione

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Un uomo vero

Lo stile graffiante di Tom Wolfe, autore del romanzo da cui Un uomo vero è tratto, viene mantenuto da David E. Kelley nell’adattamento in 6 episodi su Netflix. La miniserie con un grande Jeff Daniels, e con lui un intero cast sopra la media, mescola legal drama, filone carcerario e ambiente finanziario per parlarci dei veri luoghi del potere. Tanti personaggi intrecciano le loro storie, in una reazione a catena derivata dalla minaccia all’impero di Charlie Croker e incentrata su tutto ciò che di storto può succedere nel mondo di oggi. In un attimo. A causa di pregiudizi, aggressioni, prevaricazioni, ingiustizie, abusi di potere… La sostanziale differenza che esiste fra la legge e la giustizia è ciò che fa andare avanti il mondo. Il nostro mondo. Quindi almeno stavolta, almeno in TV, la cosa giusta può essere fatta, anche nel modo corretto.

Senza calpestare ancora qualcuno che è già stato calpestato, umiliato, sfruttato.

Un uomo vero inizia con la messinscena di un microcosmo grottesco per poi sfociare in una serie di storie che appassionano, ottimamente scritte e recitate, e che sono state concepite per farci tornare esattamente al punto di partenza: a una situazione grottesca escogitata per dimostrarci che, in una guerra, non esiste nessun vincitore.