Mission: Impossible – The Final Reckoning: missione (in)compiuta: la recensione del film
A Christopher McQuarrie e Tom Cruise riesce a malapena un atterraggio accidentato per quello che doveva, poteva essere un gran finale per la saga di Mission Impossible come la conosciamo.

Mission: Impossible – The Final Reckoning è uno di quei film che rischia di essere più interessante e avvincente per tutto quello che gli gira attorno, per come è stato realizzato e per cosa cerca di dire indirettamente, che per quello che poi si trova dentro le sue oltre due ore e mezza di durata. Pochissimo, verrebbe da dire, considerando che la prima mezzora abbondante è un gigantesco riassuntone di quanto successo in Dead Reckoning, prima che il film riesca finalmente a dire e fare qualcosa di suo.
Di qualcosa di caratterizzante, che lo renda distinto e unico rispetto a tutto quanto venuto prima, in effetti questo ottavo Mission Impossible con protagonista Tom Cruise ha davvero pochissimo. Essenzialmente per due motivi. Il primo è che quando è stato ideato, ovvero poco prima della pandemia, la tendenza imperante a Hollywood era quella più che post moderna di trattare ogni storia attraverso la metatestualità, cioè più che far succedere nuove cose, citare, omaggiare, parodiare quanto venuto prima fingendo fosse una novità vera e propria. Un’operazione che denota una crisi d’idee e che difficilmente riesce ad andare oltre al contentino per gli appassionati, accarezzati nel loro ego dall’aver capito questo o quel riferimento.
The Final Reckoning guarda a un passato molto remoto
Il secondo motivo è puramente anagrafico: pur essendo Tom Cruise quasi immortale, ha raggiunto un’età in cui il difficilissimo equilibrio su cui si regge Mission Impossible (ovvero vedere su schermo qualcosa di in teoria impossibile ma reso credibile, quasi verosimile dalla caratura del protagonista e di chi lo interpreta) è ancor più complicato da mantenere. L’arrivo e poi la stabilzzazione di McQuarrie come regista ufficiale della saga però ci avevano illuso che quel perfetto connubio tra spettacolarità e leggerezza, semplicità ed efficacia si potesse mantenere con facilità.
Non è così: Dead Reckoning era stato un passo falso, per quanto interessante. Un film che cascava nell’errore più ovvio di tutti: farsi prendere la mano da una storia troppo grande, troppo complicata, che lasciava per strada l’immediatezza propria del franchise. Era però anche un film con passaggi memorabili (tutta la chiusa nel vagone del treno), capace di vaticinare il l’atmosfera e i timori del nostro tempo con troppo anticipo.
Nel 2025 ecco finalmente che arriva la seconda parte, che invece può godere delle sue profezie auto-avveratasi. Ora un’entità tecnologica senziente non sembra una trovata da blockbuster e quel contrapporsi paranoico di superpotenze nucleari non così demodé. Corretto in corsa dopo il flop del precedente, The Final Reckoning guarda a un passato ancor più remoto di quello che cita e omaggia sé stesso, con un ritorno del militarismo, delle bandiere, del patriottismo ma soprattutto dell’immancabile retorica del prescelto.
Ethan, il prescelto
The Final Reckoning - incredibilmente - sceglie la trama più banale di tutte, quella del prescelto. Dalla sua ha il fatto che non esiste star più adatta a interpretare un eletto di Tom Cruise, a oggi l’unico uomo che pare in grado di salvare se non il futuro del mondo, almeno quello del cinema. La sceneggiatura di The Final Reckoning è un susseguirsi di momenti in cui Ethan Hunt viene via via riconosciuto e proclamato come “the chosen one”, l’eletto, il prescelto, l’unico uomo che può salvare sia la sua squadra, sia l’intera umanità.
Viene da fare un applauso alla faccia tosta di quello che è forse il membro più famoso di Scientology per interpretare un uomo chiamato a combattere una tecno-setta messianica che si sta infiltrando in tutti i governi del mondo, nella speranza di scatenare un conflitto nucleare e spazzare via il genere umano. Insomma, la più classica delle trame di un James Bond d’annata, anche se poi The Final Reckoning inciampa negli stessi difetti dell’addio al ruolo di Daniel Craig. Durante la visione ho pensato più volte a No Time to Die, a come entrambi i film siano una gigantesca summa di ciò che ha reso importante quell’interprete in quel ruolo. Final Reckoning però non ha davvero il coraggio di pigiare il grande bottone rosso con su scritto “the end”.
La mancanza di decisioni nette e tagli precisi è il grande limite di un film. Sarebbe giovato il coraggio di non buttarsi nell’azione e lasciare che il pubblico mettesse insieme i pezzi di quanto successo prima, senza una prima mezz’ora più che espositiva. E dire che Mission Impossible ha sempre fatto delle sue aperture spettacolari il suo biglietto da visita: non c’è niente di memorabile prima dei titoli di testa di The Final Reckoning. Ci viene pigramente propinato un montaggio dei personaggi e delle sequenze iconiche dei capitoli precedenti.
Manca anche il coraggio di sacrificare qualcosa per strada (in termini di tagli al minutaggio, di morti eccellenti, di celebrazioni per tutto e tutti) per rendere il film più incisivo. Non è che manchi di passaggi all’altezza delle aspettative, anzi. Anche se la regia di McQuarrie è meno precisa e pulita del solito, stunt come quello con i due biplani valgono da soli il prezzo del biglietto. Non sempre però l’enorme lavoro dietro queste sequenze funziona su schermo: la lunga scena del sottomarino per esempio è lontana dal far sospettare allo spettatore l’incredibile difficoltà tecnica che nasconde. McQuarrie e Cruise tentano di rifare la scena del corridoio rotante di Inception, ma sott’acqua: incredibilmente, vince Nolan per semplicità, impatto e pulizia visiva nella narrazione, che di solito sono proprio la cifra stilistica di McQuarrie.
Ciò che è buono insomma (un pugno di stunt bellissimi, il lavoro di concerto della squadra di Ethan sparsa ai quattro angoli del globo, un paio di camei che si trasformano in contribuiti di peso) è controbilanciato da tanti passaggi atterrati molto malamente. È come se a conti fatti The Final Reckoning fosse un film fatto di grandi scene d’azione a cui manca il raccordo di una storia immediata e avvincente da seguire. Qua e là ci sono persino dei buchi di trama (vedi il passaggio sull’altra chiave, buttato lì e poi lasciato cadere nel vuoto).
The Final Reckoning è più interessante per quello che suggerisce che per quello che dice
Sono i messaggi dunque la parte interessante. Il fatto che il film insista per esempio con una certa testardaggine a essere la celebrazione di un affidabile, rassicurante mondo analogico, fatto di VHS, televisori catodici, coltelli, aereoplani d’epoca, sottomarini disconnessi dalla Rete, messaggi scritti a mano e chiusi con sigilli di ceralacca. C’è persino Ethan che prima di disarmare un nemico gli dice “Passi troppo tempo su internet!”
The Final Reckoning unc convinto ritorno a un mondo più semplice e semplicistico, dove basta un eletto a salvare tutta l’umanità, dove “nulla è già scritto” e possiamo essere “the master of our destinies”. In un momento in cui il cinema tende a tenersi alla larga dal contemporaneo, Mission Impossible è calato nell’oscura complessità del nostro presente,nell’angosciante ambiguità morale e nei timori tecnologici che viviamo. Sceglie però come via d’uscita la tentazione dell’uomo forte che sistema tutto, dimostrando forse di avere il pugno della situazione come nessun’altro. Per sua fortuna ha a disposizione Ethan Hunt e non i nomi che troviamo noi sulle schede elettorali.
Lo scotto da pagare per essere rassicurati da Ethan Hunt è un Mission Impossible lontano anni luce dalla freschezza di Fallout, dalla complessità paranoide dei primi capitoli, così ficcanti sotto la scintillante superficie di blockbuster anni ‘90. Un po’ come era avvenuto nell’ultimo John Wick, Ethan trascende i confini della mortalità, regalando sguardi intensi e convincendo la presidente degli Stati Uniti a cedergli il comando di un sottomarino, cedendo alla retorica dell’action poco ispirato nella storia, tutto bandiere e uomini e donne in divisa che ti augurano buona fortuna.
Mission Impossible insomma vuole disperatamente farci credere che Tom Cruise, con l’aiuto di Paramount, McQuarrie e dei suoi fedelissimi, possa ancora salvare da solo il cinema mainstream. Si è dimenticato però che non si scappa mai dall’obiettivo più importante: quello di fare un film divertente, spettacolare, riuscito, che si guarda e magari riguarda volentieri, che renda tangibile la magia del cinema, fondendo idee nuove e ricette collaudate.
Rating: Tutti
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Mission: Impossible - The Final Reckoning
L’idea di fondo in questo film è che il nostro desiderio sia solo quello di essere rassicurati dall’infallibilità di Tom Cruise, personaggio e star. Non capendo che da Cruise non vogliamo facili risposte al nostro complesso presente, ma innanzitutto che ci regali un grande spettacolo in sala. Lo spettacolo a livello tecnico in The Final Reckoning c’è, ma è tutto così gigantesco, così appesantito dal pathos narrativo e da una bella dose di confusione che rischia persino di annoiare un po’. Una brutta caduta, forse, ma lungi da essere letale per la star più immortale di Hollywood.