Genie recensione: la commedia natalizia Netflix con Melissa McCarthy
La commedia fantastica di Richard Curtis delude: trama prevedibile e gag poco ispirate

Bernard è un uomo sopraffatto dal lavoro e dalle tensioni familiari che non riesce più a gestire. Un giorno si dimentica di comprare il regalo per il compleanno della figlia e la moglie, esasperata, decide di prendersi una pausa, portando via con sé la bambina. Poco dopo, Bernard viene anche licenziato dal suo capo senza scrupoli, ritrovandosi improvvisamente solo e senza punti di riferimento.
Ma il destino gli offre un'inaspettata seconda occasione: l'uomo risveglia infatti accidentalmente Flora, un genio imprigionato da oltre duemila anni in una scatola, che può esaudire non soltanto i canonici tre, ma infiniti desideri. Con l’aiuto di questa nuova e stravagante alleata, una creatura antica e spaesata nel mondo moderno, Bernard cercherà di rimettere insieme la sua vita e, soprattutto, di riconquistare le persone a cui tiene di più.
Trama di Genie: la storia del genio di Melissa McCarthy
L'ambientazione natalizia chiarisce subito il tono del film, così come la presenza di Melissa McCarthy nei vistosi panni di un genio al femminile, sopra le righe quanto basta. Su una premessa che inizialmente ricorda una versione a generi invertiti del sottovalutato Tremila anni di attesa (2022) di George Miller, prende forma una commedia fatta di gag esagerate e buoni sentimenti, che però inciampa nel riproporre cliché privi di verve e originalità.
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In realtà Genie si ispira liberamente a una poco nota produzione britannica per la televisione dei primi anni Novanta, Bernard and the Genie (1991), rielaborata sia nella trama che nella caratterizzazione dei personaggi principali. L’originale, che vedeva protagonisti Alan Cumming e Rowan Atkinson, conserva ancora oggi un fascino che mette in ombra questo rifacimento a stelle e strisce ambientato a New York.
Cast e regia: Richard Curtis dietro la commedia Netflix
Fa impressione che la sceneggiatura porti la firma di Richard Curtis, autore o soltanto in fase di scrittura o anche nel doppio ruolo di regista, di cult romantici come Love Actually - L’amore davvero (2003), Questione di tempo (2013), Quattro matrimoni e un funerale (1994) e Notting Hill (1999). Eppure qui la narrazione si affida a una sequenza di luoghi comuni rielaborati per un pubblico poco esigente, inanellando gag che si rincorrono a ritmo serrato ma che lasciano di rado il segno.
I "vorrei" pronunciati con troppa disinvoltura diventano un’arma a doppio taglio, anche se la possibilità di annullare ogni desiderio serve da comodo espediente per evitare guai troppo grandi da poter risolvere; guai che comunque non mancano, come dimostra l’assurdo coinvolgimento della Gioconda in una surreale sottotrama "crime" nell’ultima parte del film.
La forza dell'amore sopra ogni cosa?
Il limite etico di non poter alterare i sentimenti altrui spinge infine la storia verso un prevedibile cammino catartico, in cui il protagonista è chiamato a fare i conti con sé stesso e con ciò che davvero conta nella vita. Ma Paapa Essiedu non è James Stewart, e Genie resta lontano anni luce dall'incanto autentico e senza tempo di La vita è meravigliosa (1946).
Restano alcune risate sparse, affidate al carisma esplosivo della bionda protagonista, il cui umorismo, spesso sopra le righe, alterna momenti riusciti ad altri meno ispirati. Qualche gag più istintiva colpisce, tra capelli asciugati nel gabinetto e incontri mistico-comici con Gesù, sfruttando il contrasto tra la sua natura estranea al mondo moderno che la circonda. E se persino i geni di altri secoli restano incantati dalle acrobazie di Tom Cruise al cinema, allora davvero l’attore ha compiuto un'altra Mission: Impossible.
Decisamente più possibile e terreno è invece lo scontato lieto-fine e quel sentimentalismo di routine, che indirizza il film principalmente ad un pubblico di famiglie, con un occhio di riguardo sia per i più piccoli nella "magia" del veder esaudita qualsiasi voglia di sorta - inclusi giocattoli e fuochi d'artificio - che per i grandi in un humour fintamente cinico. Un'operazione quindi molto furba a livello di soluzioni e considerazioni, ma che lascia a desiderare nella reinterpretazione del canovaccio archetipico usato e usato più volte dai tempi dell'immortale, quello sì, racconto di Aladino e la lampada meravigliosa.
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Redazione

Genie recensione: la commedia natalizia Netflix con Melissa McCarthy
Genie vorrebbe accendere scintille di magia qua e là, solo per poi spegnerle rapidamente per via di gag strillate e sogni preconfezionati. Sotto i lustrini natalizi e i desideri di riconciliazione, si compie il percorso di un personaggio che cerca di evolvere e migliorarsi, ma la cui maturazione sottostà alle logiche di una sceneggiatura che procede su forzature e facili scorciatoie. La lampada dalla quale esce il genio sui generis di Melissa McCarthy, esplosiva e irrefrenabile come sempre con tutti i suoi pro e - soprattutto - con tutti i suoi contro, apre la strada ad una serie di eventi e gag sempre più assurdi, che guardano ai classici senza capirli sperando di trovare qualche guizzo giusto qua e là, in un copione dove tutto è già scritto.