Eddington racconta un presente che non piace davvero a nessuno: la recensione del western social di Ari Aster

Ari Aster ha tanti difetti, che ti porta dietro in Eddington, ma gli va riconosciuto il coraggio di essere l’unico a tentare di raccontare il nostro sgradevole presente.

Eddington racconta un presente che non piace davvero a nessuno la recensione del western social di Ari Aster

Eddington è la summa di tutti i difetti che finora hanno impedito ad Ari Aster di sfornare il suo capolavoro, unita però a un coraggio che in pochissimi dimostrano: quello di parlare dei problemi di oggi stando in un contesto prettamente contemporaneo. È molto evidente quanto il cinema di commento sociale e impegno fatichi a guardare al presente, preferendo rifugiarsi nel passato remoto o comunque abbastanza lontano da creare una sorta di nostalgia e da lì fare le considerazioni del caso.

Affrontare il presente vischioso, oscuro, di difficile interpretazione che viviamo è molto più complesso e Aster non si tira indietro, anzi: decide di costruirci sopra un’enorme satira sociale statunitense. Eddington ha il pregio di provare e talvolta riuscire a essere un western dei nostri tempi, dove i cowboy girano armai di fucili automatici e dell’immancabile smartphone. Anzi, il difetto maggiore del film è che risulta sgradevole proprio perché racconta un presente che non ci piace, per giunta usando gli stessi codici attraverso cui lo fruiamo

Il personaggio di Joaquin Phoenix per esempio si sveglia prestissimo la mattina e comincia a scrollare i social alla ricerca di cattive notizie con cui guastarsi l’umore, oppure gira in macchina reel e TikTok che vediamo direttamente dallo schermo del suo cellulare, con tanto di antiestetico riflesso sul vetro salvaschermo. Non ci piace perché è esteticamente lontano da ciò che associamo al bello su grande schermo, ma soprattutto perché a essere riflessi sono comportamenti che noi stessi abbiamo e, visti attraverso la lente dei personaggi, li riconosciamo in tutta la loro nociva vacuità. C’è persino una scena che fluisce normalmente finché Phoenix e Pascal si girano di botto verso la cinepresa, rompendo la quarta parere in maniera spiazzante, finché non ci viene mostrato che il punto di vista era quello di una passante che riprendeva la scena.

La pandemia diventa un western contemporaneo in Eddington

Ari Aster decide di raccontare forse l’ultimo grande punto di rottura della storia presente: la pandemia, raccontata come l’inizio di un modo di comunicare e raccontarsi polemico e auto-assolutorio, che riesce nell’incredibile impresa di banalizzare e rendere insieme superficiali e odiose anche le cause più sacrosante: razzismo, pedofilia, salute pubblica, disagio mentale, privilegio bianco.

Ambientato in una fittizia cittadina del New Mexico da cui prendere nome, Eddington è la storia della contrapposizione tra il sceriffo Joe (Joaquin Phoenix) e il sindaco della città Ted Garcia (Pedro Pascal), già ai ferri corti perché il secondo ha avuto vent’anni prima una storia con Louisa (Emma Stone), la fragile moglie artista di Joe. Da western contemporaneo qual è, il casus belli è una questione di mascherine da indossare per evitare il diffondersi del COVID, alterco che finisce per diventare una questione di libertà d’espressione, complottismi e paranoie.

Sullo sfondo c’è il progetto di costruzione di un gigantesco datacenter che promette di depredare le già scarse risorse ambientali e idriche della zona, divisa tra competenze statali e riserve dei nativi. Gli indiani, le pistole dei cowboy, una donna per cui perdere la testa e persino un predicatore carismatico: ci sono tutti gli ingredienti del western, declinati però in un presente in cui non viene mai citato, ma l’influenza di Donald Trump è nettamente percepibile.

Il protagonista è un Joaquim Phoenix che parla, twitta e ragiona come l’attuale presidente degli Stati Uniti, con un enfasi da capslock che spesso si traduce in una lettura della realtà personalistica. A modo suo Joe tenta anche di essere un marito, un capo, un poliziotto presente e attento verso la sua comunità, ma basta pochissimo per notare come in ognuno di questi ruoli manchi di un impegno e un’empatia autentici. Come già avvenuto per Beau ha paura, il film lo costringe e ci costringe insieme a lui a un estenuante tour de force attraverso una realtà fatta d’isterie grottesche. Quelle dei ragazzi bianchi che sono ossessionati dal Black Lives Matter, quella dei loro genitori e nonni per i complotti antivaccinisti a base di numerologia.

In un cortocircuito voluto e sgradevole, il film da western diventa una sorta d’investigazione in cui si cerca di nascondere la verità, mentre ai margini dell’azione forze ancora più oscure assediano Eddington, un tempo fiorente città mineraria, oggi epicentro di un racconto social in cui ognuno offre la sua insindacabile realtà e si aspetta di essere creduto e apprezzato.

Il personaggio di Butler per esempio racconta di aver ricordato un’incredibile episodio traumatico della sua infanzia nel corso di una cena in cui è auto-invitato, riuscendo nella non facile impresa di banalizzare l’argomento delicatissimo che va a toccare.C’è persino l’insegna del negozio che cigola al vento prima del confronto finale, che essendo però nell’America di oggi è quella di un armeria e conduce a un’efferata sparatoria in cui ad avere la meglio è ancora una volta la retorica dei social e l’ossessione morbosa di Aster per figure materne ipercritiche, castranti, eccessive, quasi incestuose.

Ari Aster si porta dietro i difetti che azzoppano da tempo il suo genio

Rispetto al dispersivo e poco incisivo Beau ha paura qui Aster esercita un controllo maggiore sul suo racconto, che appare però ancora volta davvero poco equilibrato. In particolare il one man show di Joaquin Phoenix - il volto giusto per incarnare le stanche nevrosi e le pulsioni mai sfogate del cinema di Aster - finisce per fagocitare il resto del cast, a cui non viene mai dato niente di davvero interessante da fare. È vero per il sindaco di Pedro Pascal (che aveva un problema simile in Il gladiatore II) e ancor di più per Emma Stone e Austin Butler, alle prese con personaggi sulla carta molto stuzzicanti ma criminalmente sottoutilizzati.

La debolezza maggiore di Eddington però è di dire poco con la sua satira solo a tratti brillante pur richiedendo uno sforzo spaventoso da parte dello spettatore, tenuto ostaggio per quasi tre ore in un cittadina in cui a ben vedere non si vorrebbe rimanere per più di 3 minuti. I suoi passaggi di commentario sociale poi fotografano una realtà senza darne commento o soluzione oltre l’immediato, oltre quello che, appunto, anche noi potremmo scrivere e forse abbiamo già scritto a mo' di commentario sui social. Viene da chiedersi se riferimenti come l’account Twitter di Pop Crave o la scrollata di Instagram tutta a quadratoni neri all’indomani dell’uccisione di George Floyd avranno lo stesso impatto che hanno oggi anche solo tra un paio d'anni. Tanto che sorge il dubbio che Ari Aster abbia fatto un insta-movie che ha senso solo nell’epoca che racconta.

Eddington

Durata: 145'

Nazione: Stati Uniti

6

Voto

Redazione

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Eddington

Eddington fa scelte coraggiose, come quella di tentare d'attualizzare uno dei generi cinematografici più demodé per commentare il presente, mostrando le ferite indelebili alla nostra percezione della realtà che la pandemia e il lockdown hanno lasciato dietro di sé. Purtroppo però si porta dietro tutti i peggiori difetti del cinema del regista, a partire da una sceneggiatura dispersiva e che non sa mettere davvero in risalto interpreti e personaggi migliori, alternando guizzi davvero brillanti a lungaggini che, se tagliate, apporterebbero gran beneficio alla pellicola stessa. Joaquin Phoenix si sottopone volentieri al tour di force di Eddington, che gli regala un personaggio nelle sue corde, ma che non mancherà invece d’irritare quanti non hanno amato finora il suo sodalizio con il regista. A quest'ultimo si riconosce volentieri il coraggio e l'ardire, ma Eddington è tutt’altro che un film impeccabile e, per sua sua stessa premessa, risulta spesso sgradevole.

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