Bring Her Back più che terrorizzante è straziante (ed è un complimento): la recensione del film dei fratelli Philippou
Danny Philippou e Michael Philippou sorprendono con un horror che spaventa con la drammaticità del reale più che con i minimi interventi del sovrannaturale.

Il punto di partenza di Bring Her Back, opera seconda dei gemelli australiani Philippou, è il medesimo del loro esordio cinematografico Talk to Me: il lutto e la sua elaborazione. In entrambe le pellicole infatti c’è una donna che viene spinta all’estremo dal bisogno di riconnettersi con qualcuno che ha perso ed è disposta a fare di tutto, anche a rivolgersi a pratiche esoteriche e sinistre, distruggendo la propria vita, pur di riaprire una comunicazione interrotta dalla morte con il caro estinto.
In realtà il lutto raddoppia e si complica in Bring Her Back, dove a piangere qualcuno sono tutti e quattro i protagonisti. La madre interpretata da Sally Hawkins, con alle spalle un lungo passato da assistente sociale, accoglie nella sua casa orfani in difficoltà per placare il dolore della perdita dell’amata figlia, mentre Andy (Billy Barratt) e Piper (Sora Wang) devono fare i conti con la perdita improvvisa e traumatica del padre che hanno in comune, pur essendo nati da matrimoni differenti. Oliver (Jonah Wren Phillips) non può parlare, è aggressivo e sinistro, ma dai suoi movimenti nei dintorni della piscina si capisce chiaramente che piange anche lui la figlia della proprietaria.

Bring Her Back è dimetralmente opposto a Talk To Me, pur. avendo premesse identiche
Le analogie tra i due film però finiscono qui, perché le pellicole hanno tonalità molto differenti ed esiti opposti, tanto che chi ha apprezzato la prima tende a non amare la seconda e viceversa. La sottoscritta, sia per gusti personali sia per evoluzione narrativa, ha di gran lunga preferito Bring Her Back, che ha forse come unico limite quello di tornare a narrare qualcosa da cui l’horror non sembra riuscire a stare mai troppo lontano. Il film è incentrato sul lutto devastante che spezza un rapporto tra genitore e figlio e sulla possibilità che il sovrannaturale dà di riallacciarlo, pagando ovviamente un prezzo molto alto. Non è una trama nuova insomma e sicuramente ci sono film che indagano su questo sentimento in maniera più acuta, ma la maturazione degli ex youtuber Philippou è evidente per come diano priorità e rendano molto più interessante tutto il discorso para-orrorifico che la pellicola fa. Come giustamente ha commentato qualcuno, uno entra in sala aspettandosi si essere spaventato dai sinistri rituali immortalati da una vecchia VHS che consentono di riportare indietro un’anima e invece si rimane ben più inquietati dal risvolto realistico della vicenda.
C’è un qualcosa di Flanagan e una spruzzata di King nella storia dei due orfani protagonisti, che poi è il versante più bello nella sua drammaticità del film. Se l’altro filone narrativo non viene del tutto eclissato è solo perché Sally Hawkins fenomenale non tanto e non solo nel portare su schermo il dolore della donna che interpreta, ma per la finezza con cui mette in atto il lento, inesorabile, crudelissimo processo gaslighting ai danni degli orfani che accoglie e in particolare del povero adolescente Andy.

È il rapporto tra i due fratellastri Andy e Piper a essere il cuore pulsante del film, nobilitato da due performance emotivamente toccanti e dalla capacità del film di disattendere del tutto le aspettative dello spettatore. I due hanno vissuto insieme e si sono affezionati l’un l’altra pur avendo storie molto differenti: lui è il protettore della sorella quasi del tutto cieca, che ha una verve e una dolcezza che conquistano immediatamente. Il film si apre con la morte del padre che è il loro unico legame di sangue, decesso che avviene per caso, dopo che l'uomo ha sconfitto un cancro, lasciando i figli soli al mondo. Il dolore per questa perdita però è differente tra sorella e fratello, in questo rapporto in cui istintivamente cercano di essere onesti in un mondo di adulti che mentono loro, ma poi entrambi omettono certe verità per proteggere l’altro.
La realtà degli affidi è più inquietante dei sinistri rituali su VHS in Bring Her Back
È solo a fine film che capiamo l’amara antifona della storia, che affronta il tema non semplice delle adozioni e del sistema di case famiglia provvisorie senza morali e lezioncine, ma immergendo lo spettatore in questa realtà. Lo fa senza commentario verbale, solo attraverso i dettagli dei set: dei giovanissimi, sradicati dalla loro quotidianità e dalle loro certezze, devono adattarsi a vivere in case in cui non sono né figli né ospiti, in spazi che erano chiaramente di qualcun’altro, facendo i conti con adulti che possono essere intrusivi, manipolatori, distruttivi e comunque hanno l’ultima parola sulle decisioni da prendere.
Pur avendo un pugno di location e un cast ridottissimo, Bring Her Back riesce a costruire una sua atmosfera sulla base di pochissimi elementi: la casa dove finiscono Andy e Piper, vissuta e ricca di storie passate, in cui alcuni dettagli raccontano di chi c’era e non c’è più, la bizzarra piscina triangolare sul patio, il gatto tormentato dall’altro bambino ospite della casa, sguardo inquietante, capelli rasati a zero e una strana forma di mutismo. Bring Her Back gioca su elementi (atmosferici) semplicissimi, come un tempo che è perennemente nuvoloso, rendendo la pioggia un presagio funesto, richiamando la doccia che è un elemento che, scopriamo nel film, è traumatico per Andy in più di un’accezione. Al contempo con Sally Hawkins crea un personaggio che riesce a essere insieme tenero, eccessivo, manipolatore, sinistro, lasciando lo spettatore spaesato tanto quando i due ragazzini protagonisti.

Certo nella trama qualche buco c’è e anche il racconto è molto sbilanciato tra le sue componenti: il tentativo di “riportarla indietro” del titolo è quasi una componente di contorno di quella che capiamo essere la storia di Piper e di come la sua dolce innocenza sia stata protetta a sua insaputa, permettendole di diventare una persona magnetica e indipendente a dispetto della sua disabilità e di una vita già costellata di abbandoni e lutti. Il film ovviamente sfrutta il fatto che sia ipovedente per accrescere la tensione nelle fasi finali, riconoscendo grandi risorse ai suoi giovani protagonisti ma calandoli in un mondo in cui, per età, mancanza di risorse e ingenuità, poco o nulla possono contro i soprusi, di natura sovrannaturale o drammaticamente quotidiana, che infliggono loro gli adulti.
Rating: TBA
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Bring her back
Bring Her Back è un solido horror che, a dispetto delle premesse, punta meno sul sovrannaturale e sulla componente esoterica della sua storia e più sull’orrore insito in una realtà in cui i più giovani non possono che rimettersi alle decisioni e al potere degli adulti che governano le loro vite. Le solidissime performance dei protagonisti adolescenti e la presenza di un’ottima Sally Hawkins fanno il resto in un film capace di creare con un pugno di location e un sapiente uso del tempo atmosferico un’atmosfera inquietante. È molto diverso, più maturo del precedente Talk To Me, anche se è più tradizionale rispetto a quanto siamo abituati a vedere nel horror. È più attento all’evoluzione emotiva dei suoi protagonisti che all’esoterismo usato per far spavento anche perché, sembra suggerire, il dolore di una perdita o il sistema che gestisce le vite dei più giovani che perdono i loro cari possono essere già abbastanza terrorizzanti.


