The Last of Us, la recensione della serie TV: Druckmann confeziona un nuovo capolavoro

Tra riscritture e maggiori dettagli, il videogioco di Naughty Dog ridà lustro alle trasposizioni televisive

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Lo scorso anno Sky Atlantic ci aveva proposto, sotto l’etichetta Paramount, la serie televisiva di Halo: uno show che con la sua prima stagione ha sofferto decisioni provenienti da improvvisi cambi di direzione causati dal Covid-19 e che ha claudicato nel suo incedere verso la conclusione del primo arco narrativo. Nel frattempo, su Netflix l’ennesima iterazione di Resident Evil veniva bersagliata da critiche impietose da parte dei fan e degli addetti ai lavori. Insomma, sintomo del fatto che trasporre sul grande o sul piccolo schermo un videogioco non è proprio semplice. Eppure, sembra che il 2023 voglia intervenire questa direzione convincendoci che prodotti come Super Mario da un lato e The Last of Us dall’altro possono davvero intrattenere e raccontare qualcosa di intenso, di vero. HBO, ad esempio, con la serie creata da Neil Druckmann ce l’ha fatta.

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La Trama di The Last Of Us

Gli Stati Uniti stanno vivendo la tragica diffusione di una pandemia causata da Cordyceps, un fungo parassita che attacca insetti, regni e tartufi. Diversamente da quello che accade di solito in natura, stavolta il Cordyceps è riuscito a infettare anche gli umani, che nell’arco di due giorni si trasformano in esseri simili a zombie. Sono trascorsi 20 anni da quando la pandemia ha iniziato a diffondersi nella parte centrale dell’America e il cinquantenne Joel (Pedro Pascal) è chiamato a un viaggio attraverso tutti gli Stati Uniti per portare in salvo una bambina, Ellie (Bella Ramsey), che nasconde un importante segreto. L’uomo soffre un trauma che il Cordyceps gli ha provocato e nel suo essere diventato un cinico contrabbandiere nasconde una scomoda verità che dev’essere gestita nel rapporto con la quattordicenne, che dal suo canto non ha mai vissuto al di fuori di una zona di quarantena.

The Last of Us è l’adattamento del videogioco di successo prodotto da Naughty Dog (Crash Bandicoot, Jak & Daxter, Uncharted) e scritto da Neil Druckmann, che si è occupato della scrittura della serie televisiva per HBO (la serie sarà esclusiva Sky e in streaming su NOW dal prossimo 16 gennaio) . In nove episodi, l’intero prodotto si preoccupa di raccontare una storia che lascia solo sullo scenario la vicenda riguardante gli zombie: The Last of Us, d’altronde, non è un The Walking Dead, non è un Resident Evil; è una storia di genitori, di padri, di figlie, di rapporti umani, che lascia sullo scenario la diffusione di un virus e la lotta con gli zombie. Se, quindi, il videogioco nel 2013 rappresentò una svolta epocale nel modo di concepire la narrativa videoludica, lasciandoci ancora oggi, a distanza di dieci anni, delle reference immortali sulla costruzione di un concept, la serie punta a rendere ancora più intenso l’incedere verso la conclusione della vicenda.

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Più dettagli, più intensità, meno violenza 

Non lasciatevi intorpidire dal desiderio di vedere sul piccolo schermo una pedissequa riproposizione di ciò che è stato The Last of Us sulla vostra PlayStation, perché Druckmann, a distanza di dieci anni, aveva il pieno diritto di andare a rivedere alcuni passaggi, ricostruire certe relazioni e intensificare determinati avvenimenti. Dare maggior spazio al Cordyceps, raccontarci il modo in cui la pandemia è nata e si è diffusa, spiegare per quale motivo l’esercito è stato dispiegato con tale forza fa parte della necessaria evoluzione di un medium che vuole andare a ripensare certe scelte compiute in quella che era la sua forma videoludica. Ed ecco, quindi, che già nei primi episodi ci sarà occasione di notare come The Last of Us manterrà la spina dorsale nota, ma punterà a ritoccare i propri angoli, a smussare alcuni dettagli.

Ciò che viene intensificato nella serie televisiva sono le emozioni che traspaiono nei personaggi: tutti i protagonisti della vicenda, comprimari compresi, hanno dei rapporti da gestire, hanno dei trascorsi, hanno un passato che li condiziona. Joel rivede dinanzi ai propri occhi quel trauma che l’ha segnato vent’anni prima lo scoppio della vicenda che lo vede protagonista, Tess ha modo di raccontare più dettagli della propria vita e dei propri sacrifici, Ellie è un personaggio più sfaccettato e completo, non più una ragazzina spaesata in un mondo che sta cadendo in malora. Persino Bill, forse il personaggio meglio riuscito nell’opera di riscrittura da parte di Druckmann, finirà per spogliarsi di quella veste a tratti sprucida e scontrosa accettando di poter diventare molto più di ciò che è stato per i videogiocatori. Avere nove episodi a disposizione, di durata che varia dai 55 agli 85 minuti l’uno, ha permesso al team di creatori, che comprende Craig Mazin (Chernobyl), di gestire meglio i flashback e di giocare con il tempo nel miglior modo possibile, ricordandoci che vent’anni prima degli eventi raccontati tutta la popolazione americana ha dovuto vivere un trauma che non sarà equiparabile a quello di Joel, ma che ha condizionato l’esistenza di tutti quanti.

Ciò che maggiormente sorprende, però, durante la visione della serie è che Druckmann abbia voluto ridurre la violenza rispetto al videogioco. The Last of Us nasceva per essere anche un TPS, uno sparatutto in terza persona, mentre nella trasposizione televisiva si cerca di censurare quasi gli atti di violenza di Joel, che dinanzi alle armi preferisce sempre evitare e soprassederne l’utilizzo e l’appropriazione. Già nelle primissime fasi della fuga alcune scene, riprodotte fedelmente dal videogioco, vengono edulcorate: ecco quindi che uno sparo viene sostituito da un pugno, che un’uccisione con un’arma da fuoco viene scambiata con una scazzottata. Una scelta che forse punta a rendere più accessibile una storia che non vuole essere, d’altronde, di violenza, ma che punta a essere drammatica e a immedesimare lo spettatore non tanto nello sparare, come poteva essere utile fare nel videogioco, ma nelle emozioni che Joel prova in ogni suo incedere.

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Un cast che sovrasta le critiche

In questo susseguirsi di scelte è importante soffermarsi anche sulla scelta degli attori: Pedro Pascal, che in molti avevano imparato ad apprezzare nei suoi sette episodi di Game of Thrones nei panni di Oberyn Martell, è un Joel perfetto, in grado di lasciar trasparire tutto il cinismo e lo sconforto che l’uomo sta vivendo nell’affrontare la propria vita. Quella del cinquantenne contrabbandiere è un’esistenza svuotata, che mira esclusivamente al trascinarsi fino alla morte, cercando di adempiere ai propri doveri in una comunità che si mantiene in vita grazie a un ritorno allo stato brado; l’arrivo di Ellie gli permetterà, a lungo andare, di recuperare parte della propria vitalità e del proprio desiderio di rinascita, di ripartenza. Convincente è anche Bella Ramsey nei panni della quattordicenne fulcro dell’intera vicenda, nonostante le numerose polemiche che l’hanno vista protagonista al momento della scelta. Affascinante e sorprendente è stata la scelta in fase di casting di Nick Offerman nei panni di Bill, che – ribadiamo – è forse tra le migliori riscritture offerte da The Last of Us, tanto da essersi meritato un intero episodio a lui dedicato, insieme a Frank, il compagno del quale nel videogioco si accenna solo.

E sebbene Druckmann abbia rivisto l’utilizzo delle maschere a gas al di fuori delle zone di quarantena, per evitare che la narrazione diventasse troppo pesante e pedante, nulla ci è sembrato fuori posto. Il ritmo è convincente, salvo in alcuni momenti degli episodi centrali in cui registicamente si incede su qualcosa che poteva essere snellito, così come dal punto di vista del make-up è stato fatto un lavoro molto valido sul Clickers, al di là del fatto che i VFX non fossero ancora completi negli episodi visti in anteprima e quindi un giudizio definitivo non è esprimibile al momento.

The Last of Us

Rating: tutti

Nazione: USA

9

Voto

Redazione

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The Last of Us

The Last of Us è una serie di cui c’era bisogno. Ne avevamo bisogno perché il videogioco meritava una trasposizione in grado di esaltarsi sul piccolo schermo, ma anche perché la storia stessa aveva, a distanza di dieci anni, la necessità di trovare una nuova primavera che potesse offrirci più dettagli, uno scenario più completo e complesso della pandemia che ha colpito gli Stati Uniti e allo stesso tempo riabilitare agli occhi del pubblico parte dei comprimari che erano stati relegati a una natura troppo accennata, per motivi videoludici. Allo stesso tempo la riduzione della violenza non ci è sembrato rappresentare un problema pregnante, soprattutto là dove quella riduzione ha permesso un intensificarsi del lavoro emotivo, appagante e avviluppante. Perché questo fa e ha fatto The Last of Us: ci dà un forte pugno in faccia per poi prenderci per mano e condurci attraverso un sistema desolato e putrido, raccontandoci la storia di un uomo la cui esistenza è stata spogliata da qualsiasi interesse, ma al quale la vita ha dato una nuova possibilità. Una redenzione, che ora Joel dovrà andare a guadagnarsi.