The Last Case of John Morley: un noir investigativo elegante, lento e imperfetto - La Recensione
Un walking simulator investigativo che punta su atmosfera, ricostruzione ambientale e coerenza visiva, ma che fatica a creare un vero legame emotivo con il suo protagonista.

The Last Case of John Morley è un walking simulator investigativo in prima persona che punta tutto sul ritmo lento, sull’osservazione e sull’atmosfera. Non cerca la complessità meccanica né sequenze d’azione, ma costruisce un’esperienza in cui ogni dettaglio visivo diventa parte del racconto e ogni stanza funziona come una pagina di un diario criminale lasciato aperto. Il gameplay è ridotto all’essenziale, sostenuto da enigmi molto semplici, e usa questa semplicità per guidare lo sguardo del giocatore invece delle sue mani, trasformando l’indagine in una forma di investigazione ambientale.
Per orientarsi all’interno della sua proposta è utile pensare ai titoli che hanno definito questo approccio narrativo. Come Everybody’s Gone to the Rapture o What Remains of Edith Finch, anche Morley costruisce un percorso lineare e contemplativo, ma sposta il baricentro su un’indagine più classica, fatta di indizi e ricostruzioni. L’atmosfera richiama in parte The Vanishing of Ethan Carter, soprattutto nella cura per gli spazi e per la loro capacità di comunicare, ma lo fa con un’impostazione più guidata e accessibile, pensata per chi cerca un’esperienza story-driven più che una sfida logica complessa.
Il risultato è un’opera che non punta sull’impatto immediato, bensì sulla capacità di costruire lentamente un senso di inquietudine silenziosa. Chi apprezza i giochi che avanzano per sottrazione troverà qui una narrazione che respira con i suoi ambienti e che invita a un coinvolgimento graduale, fatto di piccoli dettagli che si sommano nel tempo.
Chi ha ucciso la povera Elody? John Morley può risolvere il caso
La narrazione di The Last Case of John Morley si apre con un prologo che chiarisce subito l’orientamento dell’opera: non è un thriller frenetico, ma un’indagine che parte dal corpo e dalla mente del protagonista. Il risveglio in ospedale introduce un detective segnato dagli eventi, ancora intrappolato tra incubi ricorrenti e frammenti di un passato professionale che non gli dà tregua. È una sequenza che non pretende centralità, ma crea la giusta predisposizione emotiva prima dell’ingresso nel caso principale.
La storia prende forma quando Lady Margaret chiede di riaprire un omicidio vecchio di vent’anni, un cold-case apparentemente chiuso ma pieno di omissioni in cui non si capisce se è stato acciuffato o meno l'assassino della povera Elody. È qui che la trama stabilisce le sue priorità: un mistero che non punta al colpo di scena spettacolare, ma a una costruzione lenta della tensione, in cui la minaccia non è la violenza, bensì ciò che è stato taciuto. La logica narrativa è quasi chirurgica: tutto procede con calma, ma ogni dettaglio sembra sussurrare che la verità sia stata compressa fino a deformarsi.
L’arrivo di Morley a Bloomsbury Manor rappresenta il cuore concettuale del gioco. Le stanze non sono solo ambienti, ma capitoli di una testimonianza frammentata: il tè lasciato a metà, una sedia rovesciata, il rossetto sul bordo della tazza, un biglietto abbandonato. Il gioco affida gran parte della narrazione al contesto, chiedendo al giocatore di agire più come un lettore di tracce che come un protagonista attivo. Non c’è esposizione ridondante: sono gli oggetti, i silenzi e le assenze a raccontare la verità.
Man mano che Morley avanza, il giocatore si ritrova a dubitare con lui. Ogni memoria, ogni dettaglio, ogni testimonianza è una versione possibile degli eventi, e il gioco insiste volutamente sulla verità distorta dal tempo. La giustizia viene rappresentata come un processo fragile, permeabile, a volte incapace di cogliere ciò che si trova sotto gli occhi di tutti.
Il concept trova coerenza anche nella durata contenuta dell’opera: The Last Case of John Morley può essere completato in circa quattro ore, una scelta che evita dispersioni e mantiene la narrazione tesa e compatta. Questo formato breve rafforza l’intenzione degli autori di costruire un noir in grado di essere vissuto tutto d’un fiato, senza pause superflue.
Bello il colpo di scena ma a nostro avviso, non basta...
Il gameplay di The Last Case of John Morley segue una struttura rigidamente lineare, con aree che si aprono solo dopo aver trovato ogni indizio, un approccio che accompagna il giocatore in modo molto controllato. L’interazione è ridotta all’analisi di oggetti evidenziati da un alone verde, che attivano ricostruzioni in prima persona utili a comprendere cosa sia accaduto in quella stanza. È una soluzione elegante, più cinematografica che interattiva, pensata per mantenere coesione narrativa, ma che restituisce un coinvolgimento principalmente osservativo.
Gli enigmi, basati su codici e combinazioni ricavati da documenti o dettagli ambientali, non rappresentano mai una sfida impegnativa. La loro funzione non è creare ostacoli, ma scandire il ritmo dell’indagine senza interrompere la narrazione. Tutto procede in modo chiaro e lineare, senza backtracking e senza momenti di stallo, ma anche senza quei picchi di sorpresa che potrebbero dare più mordente all’esperienza.
Un aspetto importante, e che esprimo consapevolmente come mia opinione personale, è la scarsa empatia nei confronti di Morley. Il protagonista analizza, osserva e deduce con professionalità impeccabile, ma raramente lascia trasparire un’emozione capace di trascinare davvero il giocatore dentro la sua storia. Ne risulta un legame più cerebrale che emotivo, coerente con l’impostazione noir, ma meno efficace nel creare un coinvolgimento profondo.
La scelta di un HUD minimale favorisce l’immersione, anche se l’assenza di una gerarchia visiva chiara fa sì che alcuni oggetti inutili somiglino a quelli significativi, creando brevi momenti di disorientamento. Lo stesso vale per i tentativi di infondere una vena “horror”: il gioco suggerisce ombre, inquietudini e rumori lontani, ma senza una minaccia reale o una tensione crescente. L’effetto, alla fine, resta poco incisivo, quasi un eco che non trova riscontro nel gameplay.
Dal punto di vista registico, la scelta della visuale in prima persona e delle inquadrature scriptate nei momenti chiave costruisce una messa in scena sobria, totalmente priva di cinematiche invadenti. L’estetica, dominata da una palette fredda e da ambienti che richiamano gli anni ’40, sostiene bene il tono malinconico dell’indagine, contribuendo a un’atmosfera coerente anche nei suoi limiti.
Nel complesso, Morley offre un’esperienza investigativa accessibile e compatta, pensata per chi apprezza i walking simulator narrativi e vuole seguire una storia senza ostacoli né complessità meccaniche. Non è invece adatto a chi cerca libertà d’azione, tensione forte o una componente emotiva più marcata. Ha idee valide, alcune soluzioni curate e un’estetica riconoscibile, ma l’esecuzione rimane controllata, quasi trattenuta, proprio come il suo protagonista.
Un noir ambizioso, elegante ma non sempre incisivo
Sul piano tecnico, The Last Case of John Morley riflette perfettamente l’identità di un progetto indipendente: curato nell’atmosfera, attento alla coerenza visiva, ma segnato da limiti produttivi evidenti. La resa grafica alterna scorci suggestivi a texture meno raffinate, con ambienti che, pur evocando bene gli anni ’40, mostrano una palette fredda e un’illuminazione morbida che premiano il tono malinconico più che la tensione. L’ottimizzazione tecnica è buona: caricamenti brevi, fluidità costante e nessun problema di stabilità, anche se la qualità degli asset non è sempre uniforme, soprattutto negli interni più complessi.
Questa disomogeneità visiva non compromette la fruibilità, ma crea un contrasto netto tra le sezioni più curate e quelle più essenziali. Ed è proprio da questa alternanza estetica che emerge una considerazione più ampia: la messa in scena, pur elegante, limita la capacità del gioco di sostenere la suspense. Gli spazi sono statici, le animazioni ridotte, e le suggestioni horror non riescono a evolversi in vere tensioni, rimanendo semplici accenni atmosferici. Questi limiti scenici, uniti alla regia volutamente minimale, hanno un impatto diretto sulla percezione narrativa, attenuando quel senso di incertezza percettiva che l’opera vorrebbe evocare.
Dal punto di vista autoriale, però, la direzione è chiara e merita attenzione. Gli sviluppatori scelgono una messa in scena sobria, introspettiva e coerente, senza cinematiche invasive, con una visuale in prima persona che invita il giocatore a camminare nelle stanze con lo stesso sguardo analitico di Morley. L’identità noir è costruita attraverso piccoli dettagli — oggetti, arredi, scelte cromatiche — che restituiscono un racconto più emotivo che spettacolare. Tuttavia, e qui esprimo la mia opinione personale, avrei desiderato più suspense, più colpi di scena, e soprattutto un maggiore trasporto emotivo, perché Morley vive un’indagine in cui non sa più distinguere tra ricordo e percezione, ma il gioco non riesce sempre a far provare questa ambiguità al giocatore.
Il comparto sonoro rappresenta invece uno dei punti più riusciti. Il doppiaggio merita un plauso particolare: le voci sono credibili, misurate e mai sopra le righe, capaci di trasmettere più emozione della messa in scena visiva. Questo equilibrio tra tono e interpretazione sostiene buona parte dell’esperienza, rendendo più viva un’indagine altrimenti molto statica. Anche l’audio ambientale svolge il suo ruolo con discrezione, contribuendo a una esperienza narrativa su PC/console che, pur priva di picchi spettacolari, rimane sempre coerente con le intenzioni degli autori.
In definitiva, l’aspetto tecnico e autoriale di The Last Case of John Morley mostra un’opera che sa cosa vuole essere: un noir indipendente, contemplativo, elegante nei suoi limiti, più interessato al racconto e all’atmosfera che alla tensione o alla complessità visiva. Funziona quando ci si lascia trasportare dal tono e dal doppiaggio, meno quando tenta di evocare inquietudine o ambiguità percettiva. È un titolo che vive della sua identità, anche quando non riesce pienamente a farla respirare.
Versione Testata: PC
Voto
Redazione

The Last Case of John Morley: un noir investigativo elegante, lento e imperfetto - La Recensione
The Last Case of John Morley è un noir indipendente che punta tutto su atmosfera, linearità e ricostruzione ambientale. L’esperienza è breve, guidata e visivamente coerente, con un doppiaggio sorprendentemente efficace. Tuttavia, la mancanza di suspense, l’assenza di veri colpi di scena e una limitata empatia verso Morley riducono l’impatto emotivo dell’indagine. È un titolo consigliato a chi ama i walking simulator narrativi, meno a chi cerca tensione o libertà.


