Resident Evil 5

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La corposa versione d'anteprima in mano a Gamesurf non ha fatto che confermare le impressioni suscitate dalle dimostrazioni filmate prima e dalla demo giocabile poi; Resident Evil 5 sembra stare all'illustre predecessore più o meno come il secondo ed il terzo capitolo stettero all'originale.
Reprise che non espande la formula in alcuna direzione ma ne ricalca i tratti principali, sotto un rinnovato contesto visuale e attraverso un ulteriore spunto narrativo. Dalla Spagna rurale all'Africa il passo é relativamente breve, per un'assonanza di conformazione e caratterizzazione degli ambienti e dei loro abitanti, ma comporta subito un prima discontinuità, introdotta dal nuovo sistema di illuminazione; specie nell'incipit, l'incubo non é mai stato così assolato, con un lens flare che buca le foglie delle palme e i tetti sconnessi delle casupole, il contrasto con le regioni ombrose accentuato da un hdr che lascia ciechi per un istante quando si varcano gli interni.



La luce delinea in un malessere giallo-verde favelas e palafitte fluviali, avvolgendole in tinte sinistre che rassicureranno le paure di un clima troppo arioso ed estroverso prima ancora che ci si infili in qualche sottopassaggio umido infestato dai ratti. L'immagine, tersa e definita, senza quegli abusi di sfocamento o di rumore video a cui spesso si delega l'enfatizzazione delle atmosfere, valorizza il fine dettaglio poligonale tanto dell'architettura negli scorci d'insieme quanto dei modelli nelle riprese ravvicinate; l'elevato valore produttivo traspare nella qualità della grafica come nella varietà della stessa, testimoniata dalla successione incalzante di attrazioni durante le circa sei ore di gameplay trascorse.

Rimanendo sulla forma, il grado di interattività é nella media attuale, non spingendosi oltre qualche crollo di prefabbricati (le cui macerie svaniscono in breve), arredamenti frangibili e un'effettiva collisione tra i corpi e le pareti; i protagonisti, bardati di equipaggiamento e copiosamente animati, sono statuari e dalla presenza scenica invidiabile, facendo sfoggio d'un lavoro di palestra concentrato per l'uno sui tricipiti (persino troppo) e per l'altra sui glutei (non ci si può lamentare); i nemici dal canto loro soffrono ancora il rapporto tra numero e forte riconoscibilità degli stessi tratti somatici ripetuti, cosa che non impedisce di notare le nuove sfumature e limature apportate nel complesso alle loro movenze ed espressioni.

Per quanto riguarda invece i contenuti della rappresentazione, l'azzardo biologico techno-fantasy che traspare nelle sembianze del bestiario e muove i minacciosi antropomorfi dovrebbe almeno stemperare il rischio di recriminazioni legate a temi razziali; se la presenza della partner dalla pelle scura che combatte la medesima battaglia di Chris Redfield non dovesse bastare, le cut-scene e le mutazioni anatomiche svelate dagli attacchi del folken mostrano chiara e tonda l'origine parassitaria dell'aggressività e dell'alienazione indigena. D'altro canto, la tradizione Capcom ignora qualsiasi tipo di connotazione politico-sociale, tantomeno sottintesa, in funzione del mero senso estetico, che raggiunge il picco in intermezzi sontuosi e ben diretti.



La familiarità dell'azione passa per il ritorno di quel pacchetto di idee apprezzate circa quattro anni fa su Gamecube: le mosse di mischia attivabili accorciando le distanze dopo spari ben mirati, le interazioni contestuali, gli armadi con cui barricare porte e finestre, le casse fracassabili contenenti item e munizioni, i tentacoli sprigionati dai corpi decapitati, il folle incappucciato che brandisce la motosega e ammazza in un sol colpo, gli enormi boss di fine livello traditi da punti deboli ingenuamente esposti, la compravendita o potenziamento delle armi (stavolta niente enigmatico venditore, apparentemente sostituito da normali schermate) e così via, insieme a tutta una nutrita serie di “situazioni tipo” rimaste invariate. Invariata appare la stessa alternanza dei ritmi, con il livello Assembly a fungere da zona d'assedio, alla maniera del celebre villaggio dei ganados, per poi lasciare spazio ad un andamento più lineare e progressivo; tradendo una lieve flessione verso gli shooter più puri in voga oggigiorno, lo sporadico abuso di bidoni eplosivi ed il cliché della “postazione in torretta” non sono indice di grossa inventiva, ma svolgono il loro compito rituale.

Il nodo cruciale per cui potrebbe passare l'identità individuale di Resident Evil 5 diventa così riconducibile al multiplayer, dal potenziale tale che l'esperienza portata avanti in singolo può più propriamente descriversi come una cooperativa “di ripiego” al fianco di un bot guidato dalla CPU. Come risultato del bilanciamento tra l'autosufficienza e la necessità di non costituire un intralcio né rubare la scena, Sheva Alomar segue routine comportamentali lineari e sintetiche, tendendo a rimanere di fianco o subito alle spalle di Chris, a spendere proiettili con certa parsimonia e a prestare soccorso puntuale non appena si ricevono danni significativi; la percezione é che non siamo poi così distanti da quanto visto in un Resident Evil 0. Se i margini di manovra non si fanno troppo angusti, l'IA può dirsi tutto sommato funzionale, in virtù del suo essere conservativa; la sua scarsa intraprendenza si fa però sentire quando si scoprirà il grattacapo di affidarle anche solo l'attivazione di una leva, o quando un colpo d'ascia schivato per un pelo con un rapido dietro front finirà per impattare sul cranio della compagna rimasta solerte a traino.

Siamo lontani dalle performance di squadra messe in campo da un secondo giocatore, il cui contributo in termini di sfruttamento degli spazi, copertura e volume di fuoco apre nuove e più gratificanti soluzioni di gioco, al prezzo di qualche chance di sopravvivenza in meno quando ci si allontana troppo l'uno dall'altro; il divertimento che si trae dal doppio, anche in split-screen locale, é più notevole di quel che si potrebbe pensare senza provare di persona e non compromette la tensione dei momenti più spinosi.

Dulcis in fundo, la questione dei controlli e dell'interfaccia; metabolizzati i ritocchi alla configurazione originale, tutt'altro che snellenti poiché vedono i medesimi comandi di un tempo distribuiti tra due analogici e qualche pulsante in più, ci si dovrebbe accorgere che questo, per scelta discutibile ma ponderata, é ancora una volta Resident Evil; l'implementazione del famigerato "run&gun", a fronte di una formula per il resto intoccata, avrebbe potuto incrinare equilibri conservatori ma consolidati. L'uso sistematico del quick turn e della selezione rapida delle armi, insieme alla velocità di puntamento settata al massimo dalle opzioni, portano con un minimo d'abitudine a non soffrire più di tanto le limitazioni motorie; lo stesso menu in real-time, così rischioso e poco pratico da richiamare in medias res, se ben organizzato preventivamente, durante la quiete che precede le battaglie, cessa di rappresentare un grattacapo: vale la pena assecondare l'esperienza nella sua natura per trarne le maggiori soddisfazioni.



Resident Evil 5

Resident Evil 5

Resident Evil 5, senza un designer come Shinji Mikami al volante, sembra tutt'altro che intenzionato a lasciare la strada vecchia per la nuova. In effetti sarebbe una strada troppo comoda ed interessante per esser abbandonata al primo svincolo senza farci almeno un altro giro, stavolta con un secondo passeggero a bordo. Fuor di metafora, insieme alle nuove gioie audiovisive e ad un impianto di gioco tutt'ora massiccio seppur non più così oliato o sorprendente, é proprio nella cooperazione in multiplayer tanto temuta all'annuncio che l'action-horror di Capcom recita le migliori promesse.