Rabbit Hole: Kiefer Sutherland e il potere dell'informazione

Viaggio attraverso Rabbit Hole, il potere dell'informazione e il personaggio di Kiefer Sutherland, che richiama Jack Bauer

Rabbit Hole Kiefer Sutherland e il potere dellinformazione

John Weir. Una ex moglie, un figlio adolescente, una società privata di consulenza che opera con metodi non proprio ortodossi, per dirla in versione positiva, tanto da aver attirato le attenzione di un’agente dell’FBI. E un carissimo amico, l’ex collega Miles Valence, ora a capo di un’azienda che opera ad alti livelli e di tanto in tanto chiede a John di operare ai limiti della legge, o palesemente oltre il limite. Tutto sembra andare come previsto, nella vita di John... Fino a quando, camminando per strada in direzione del suo ufficio, assiste a un evento drammatico che cambierà tutto.

Da quel momento, John dovrà correre contro il tempo per scagionare se stesso dall’accusa di un crimine che non ha commesso, riabilitare il proprio nome e soprattutto scoprire chi c’è al centro di una cospirazione complessa e spaventosa, che costa molte vite e ha il potere d’influenzare il mondo intero. Col nome di un cattivo che direbbe qualcosa ai fratelli Winchester di Supernatural…

Gallery


Da Jack Bauer a John Weir, sempre in lotta contro il tempo

Kiefer Sutherland (Designated Survivor, 24), dopo aver vestito a lungo i panni di Jack Bauer in lotta contro il tempo per sventare attentati terroristici e salvare il mondo, si trova di nuovo al centro dell’azione per disinnescare la bomba che rischia di far saltare in aria tutto il suo mondo.

Un mondo corrotto e corruttibile, in cui la vita non conta nulla e l’unico valore è il denaro. Il mondo di oggi, che anticipa i nostri desideri o ci spinge a desiderare ciò che qualcuno decide per noi.

John Weir, il suo personaggio, è un uomo che sa benissimo come gira il mondo ed è disposto, per lavoro, a mettere in scena scenari fittizi che influenzino la direzione in cui il mondo gira. Ma quando non c’è lui, al comando, tutto cambia. Qualcuno si è infiltrato nella sua vita, l’ha incastrato per un crimine mai commesso, gli ha messo contro il mondo intero. Solo una persona non crede che le cose siano andate come pensano tutti: l’agente speciale Jo Madi (Enid Graham, Omicidio a Easttown), così interessata alle attività di spionaggio industriale e manovre illegali orchestrate da Weir da conoscerlo a fondo. Tanto da non avere pregiudizi su di lui e sui limiti oltre i quali non si spingerebbe mai.

Ma è proprio questo l’interrogativo principale al centro di Rabbit Hole, la serie di Paramount+ in 8 episodi che ha conquistato pubblico e critica: fino anche punto ti spingeresti, per salvare la tua vita e quella delle persone che ami?

Un interrogativo non nuovo per una trama adrenalinica come quella di Rabbit Hole - lo stesso Jack Bauer in 24 era stato protagonista di avventure simili - ma stavolta c’è qualcosa di più.

C’è l’influenza di qualcuno così potente da condizionare la vita - e la morte - di persone insospettabili. Ci sono informazioni così sensibili da dare ad altri il controllo della vita altrui. Ci sono momenti così scioccanti da spingere le persone a compiere gesti inattesi e incomprensibili. 

Ricchissima di colpi di scena di quelli che mai ti aspetteresti, di svolte narrative imprevedibili e di lunghe sequenze costruite per spiazzare proprio alla fine il telespettatore, Rabbit Hole è una spy-story di grande livello, con un cast che agisce come un’unica entità per mettere in scena una trama articolata.

Non ti aspetti di certo le mosse del personaggio di Valence (il sempre bravo Jason Butler Harner, l'inquietante killer di Changeling), e soprattutto non ti aspetti il finale, così come in effetti non ti aspetti gli eventi drammatici dell’episodio pilota. Gli stessi che ti incollano allo schermo e ti spingono a guardare tutti gli episodi per scoprire cosa stia succedendo e chi abbia fatto arrabbiare il nostro John.

Rabbit Hole: Kiefer Sutherland e il potere dell'informazione

Un padre speciale e un cast all'altezza

A volte un'ottima serie, almeno sulla carta, può risentire di scelte approssimative per il cast. Questo non è certamente il caso di Rabbit Hole, che affianca a un protagonista estremamente carismatico una serie di comprimari di grande livello.

A cominciare dal personaggio del padre di John, interpretato dal grande attore inglese Charles Dance (Tywin Lannister in Game of Thrones), che ci regala alcuni dei momenti più intensi della serie. In particolare verso la fine della stagione, a confronto con un altro grande interprete che gli appassionati di cinema e TV non possono non ricordare almeno nei ruoli di Ash, l'androide di Aliens e di Frank Black, il protagonista di Millennium: Lance Henriksen.

Anche l'amico ed ex collega di John, Miles Valence, ha un volto noto: Jason Butler Harner ha lasciato il segno al cinema con la sua interpretazione del serial killer - realmente esistito -  Gordon Stewart Northcott, responsabile di una lunga serie di orrendi crimini. In TV lo ricordiamo in Ray Donovan, una grande serie drammatica.

L'agente dell'FBI Jo Madi ha il volto dell'attrice Enid Graham, indimenticabile nella miniserie-capolavoro Omicidio a Easttown accanto a Kate Winslet.

E ancora: Rob Yang, nei panni di Homm, viene da un'altra grandissima serie, Succession, e da American Rust, mentre Meta Golding è una delle protagoniste di Empire, nonché Enobaria nella saga di Hunger Games.

Come di consueto, Kiefer Sutherland - grande attrattiva per il pubblico appassionato di serie TV - viene circondato da comprimari degni di lui, all'altezza dei compiti recitativi assegnati da autori e produttori.

Rabbit Hole: Kiefer Sutherland e il potere dell'informazione

Rabbit Hole: un pilot da manuale

L’episodio pilota è il biglietto da visita di una serie. Non solo serve a convincere i produttori a ordinare un’intera stagione: è anche ciò che deve convincere il pubblico a continuare a guardare la serie. Un pilot inefficace, noioso o didascalico nel presentare personaggi e ambientazione, anche se dovesse ottenere il via libera dalla produzione, certamente non conquisterebbe il pubblico. E anche oggi, nell’era dello streaming, sappiamo che l’unico fattore a condizionare il rinnovo o la cancellazione di una serie è il fatto che la gente la guardi oppure no.

Fra i parametri principali delle piattaforme streaming ci sono il completamento degli episodi. Se guardi l’episodio pilota e non prosegui, nemmeno dopo diverso tempo, significa che non hai gradito l’inizio della serie, che non ha catturato la tua curiosità, che hai rivolto altrove la tua attenzione. In breve: che il pilot ha fallito.

Gli autori di Rabbit Hole, due vecchie volpi del panorama televisivo, conoscono benissimo questo meccanismo. Di conseguenza, hanno confezionato un episodio pilota da manuale.

Glenn Ficarra e John Requa hanno un curriculum sostanzialmente identico: hanno lavorato insieme per anni, scrivendo film come Babbo Bastardo, Come cani & gatti e Focus - Niente è come sembra, e producendo serie come This is Us e Patriot.

Non sono i primi due che passano per strada, insomma, e hanno messo a frutto la loro esperienza per presentarci i personaggi in modo estremamente efficace - nel loro habitat “naturale”, lavorativamente parlando, per poi passare alla sfera personale. Ci hanno raccontato subito dell’attenzione dell’FBI per il lavoro di John, ci hanno spiazzato - per ben due volte - con eventi drammatici che hanno mescolato le carte in gioco e ci hanno anche mostrato il potere del nemico contro il quale il protagonista dovrà lottare per il resto degli episodi.

Insomma: hanno orchestrato tutto perché la curiosità, la sorpresa e l’affetto per il personaggio principale, pur conosciuto da poco, ci spingessero a voler scoprire il prosieguo della sua storia.

Allo stesso modo, hanno disseminato gli indizi che ci avrebbero portati al vertice della cospirazione nel corso degli 8 episodi della stagione, per poi chiuderli con il leit motif di questa serie: il potere dell’informazione, e il controllo dell’informazione come fonte del più grande potere.

Rabbit Hole: Kiefer Sutherland e il potere dell'informazione

Come rubare caramelle a un bambino

La riflessione sull’informazione come centro del potere assoluto si lega all’attualità più che mai. Oggi, quando siamo noi stessi a mettere in rete tutto ciò che riguarda le nostre vite, scoprire di più è di una facilità imbarazzante, per gli specialisti del settore. Il tema della privacy, più scottante che mai, resta una costante nelle serie TV ambientate durante l'era dei social network.

Non hanno bisogno di chiedere: siamo noi a raccontarci. Fino a che non arriva qualcosa che noi non avremmo mai voluto far sapere a degli estranei. Ma al tempo stesso li mettiamo sulla strada per arrivarci.

Facile come rubare caramelle a un bambino.

E dopo che gli hai sottratto tutte le caramelle, il bambino piange, è disperato, farebbe qualsiasi cosa per riavere il maltolto.

Ma cosa succederebbe se non si potesse tornare indietro? Cosa accade quando parliamo di informazioni che potrebbero devastare la vita di una persona, di una famiglia, di un’intera comunità? Nel momento in cui i tuoi peggiori segreti diventano noti a qualcuno, quel qualcuno ha il controllo totale sulla tua vita.

A seconda della gravità delle informazioni in suo possesso - ovvero della gravità dei segreti che nascondi a chiunque - la posta in gioco si alza. Sempre più.

Viviamo in un mondo in cui il valore della vita umana sembra essersi smarrito, soppiantato dal valore delle informazioni su quella vita. E della loro influenza su chi la circonda.

Attenzione, però: qualcuno potrebbe essere più scaltro, molto più scaltro di quanto perfino il più potente fra i detentori di informazione potrebbe pensare.

Se le informazioni sono la moneta di scambio, fornire al nemico una falsa pista è oro.

Per Glenn Ficarra e John Requa, farci sguazzare nelle piste false è fin troppo facile: come rubare caramelle a un bambino. 

Un episodio dopo l'altro, verso un finale di stagione che rimette in equilibrio le forze, mette a confronto dei grandi attori e lascia spazio all’informazione che smaschera bugie, cospirazioni e ricatti.

Almeno fino al momento in cui nuove bugie, cospirazioni e ricatti tornano a influenzare le vite altrui, sulla base di notizie in possesso di qualcuno.

Rabbit Hole: Kiefer Sutherland e il potere dell'informazione