GTA VI è il futuro del videogioco, purtroppo

GTA VI è il futuro del videogioco purtroppo

Partiamo con qualche dato utile. È la parte più noiosa di ogni articolo ma è anche quella che fornisce la scala di paragone con cui relazionarsi.

GTA V è uscito undici anni fa, nel 2013. Non ho dovuto chiedere aiuto a Wikipedia per scrivere questo, ricordo benissimo il giorno in cui aprirono le prenotazioni (all’epoca lavoravo in un negozio di videogiochi) e, ancor di più ricordo il giorno prima del lancio, quando il corriere si presentò con sei scatoloni contenenti solo copie di GTA V per PlayStation 3 e Xbox 360, quando, di solito, mi lasciava al massimo due o tre scatole con merce mista. Il giorno del lancio, nel retrobottega, avevamo una torre jenga di GTA V alta come un essere umano e i turni erano stati modificati in modo da poter essere in due dietro al bancone.

GTA VI è il futuro del videogioco, purtroppo
I protagonisti di GTA V.

Questo per dire: se l’impatto di un gioco ha manifestazioni così evidenti in un piccolo negozio della provincia italiana, ci vuole poco a capire cosa significa nel resto del mondo.
Se non vi piace l’aneddotica discutiamone con i numeri: 15 milioni di copie e 900 milioni di dollari incassati. Nei primi tre giorni. È come se in un weekend tutta la popolazione di New York, nessuno escluso, avesse deciso di comprare due copie di GTA V a testa.

L’ultimo dato, la fotografia di un decennio, è del novembre scorso: 150 milioni di copie, 11 miliardi di dollari.

Numeri del genere non delineano il successo di un videogioco ma quello di un fenomeno, di una superpotenza dell’intrattenimento. Potrei andare avanti ancora con tutte le solite, noiose figure retoriche che mettono GTA V come unico del suo genere, creatore di nuove strade, fenomeno culturale delle generazioni e bla bla bla bla bla. Che palle. Sappiamo tutti cos’è GTA V.

Per questo motivo sappiamo anche cosa sarà GTA VI.

I dodici anni che separano i due giochi Rockstar sono anni di cambiamenti significativi, e non sempre in meglio (datemi due paragrafi di pazienza che ci arrivo). A questo punto del discorso quello che ci interessa è l’incremento che ha avuto la categoria descritta da “persone che usano i videogiochi”. Sono raddoppiate. Oggi giocano circa un miliardo e mezzo di persone.
Ora, sono il primo a non apprezzare catene (il)logiche di questo tipo, ma per amore di discussione farò un’eccezione: se il numero di giocatori è raddoppiato, potrebbe essere che il numero di giocatori che prenderanno GTA VI sarà il doppio rispetto a quelli del quinto? Sarebbe conservativo, davvero.

GTA VI è il futuro del videogioco, purtroppo
Il logo di GTA 6. Crediti: Rockstar Games.

Dicevamo che GTA V ha venduto 150 milioni di copie. Quante in più rispetto a GTA IV? 125.

Grand Theft Auto fra il quarto e il quinto capitolo della serie ha quintuplicato il proprio pubblico. Non potrà succedere con GTA VI perché significherebbe vendere 750 milioni di copie, praticamente una ogni due giocatori, ma bilanciando i due dati a disposizione – crescita delle vendite e crescita del pubblico – non penso che il prossimo lancio di Rockstar si fermerà prima di aver piazzato 200, 220 milioni di pezzi. Certo in dieci anni, però tutto sarebbe proporzionato: vendite al lancio, nella prima settimana, nel primo anno ecc. ecc.

Ritengo che al momento manchino i termini per descrivere quello che sarà l’arrivo di GTA VI nel mondo.

Il primo trailer è già qui per darmi ragione: novanta secondi di video sono bastati per polverizzare il precedente record di visualizzazioni giornaliere su Youtube, e non di poco. Il record è stato superato in mezza giornata, l’altra metà è servita per raddoppiarlo. Inutile dire che ancor più del gioco di per sé, la mia eccitazione deriva dall’aspetto sociale ed economico – si mi piacciono le statistiche e i grafici, però ho anche dei difetti.

Chiuso il pippone introduttivo, veniamo al succo del discorso e mettiamo da parte i numeri, che mi servono semplicemente come palco dal quale poter sostenere ciò che segue.

Al momento, i giochi che possono cambiare l’industria, che la costringono senza appello a fare i conti con la loro venuta, sono tre: The Last of Us, Zelda e Grand Theft Auto. Il primo per la narrazione, il secondo per la libertà data ai giocatori e per quello che “gira sotto il cofano”, il terzo per essere l’unione dei due precedenti e qualcosa di più.

Il primo trailer di GTA VI ha subito messo in luce un comparto grafico fuori parametro. Per dire: la scena della vecchia in giardino mi ha sgambettato il cervello con una mossa di Uncanny valley. Dico questo sapendo che la storia del videogioco è un susseguirsi di trailer graficamente impressionanti poi disattesi. Abbiamo celeberrimi esempi, da Watch Dogs a The Division, passando per… ah, sì… Cyberpunk 2007 (iniziavo a preoccuparmi di non riuscire a trovare un esempio che non fosse Ubisoft).
Però Rockstar, fino ad oggi, ha dimostrato di saper consegnare quello che millanta. C’è la contrazione termica dei testicoli di cavallo a dimostrarlo. Eventuali rinunce saranno probabilmente imputabili alle macchine di questa generazione che, per quanto valide, forse non avevano davvero fatto i conti con la software house della stella.

È nella fiducia che ho nelle capacità di Rockstar che ripongo le mie aspettative per il futuro e, soprattutto, i miei timori. Perché se GTA VI sposterà ancora più in la i confini, saranno quelli che non riuscirà a cambiare che mi preoccupano di più.

GTA VI è il futuro del videogioco, purtroppo

Lo sviluppo dei giochi e la loro pubblicazione, nonché la gestione dopo il lancio, ha presentato negli ultimi anni diversi punti deboli che hanno messo in primo piano trend dal forte impatto negativo. Prendiamo proprio l’arco temporale 2013/2023. Nella lista che ho fatto a mente, e scritto a mano, ritrovo: season pass, contenuti aggiuntivi e bonus preordine esclusivi, costo del gioco al lancio, always online anche per il single player e, infine, day one piagati da bug e crash. Questo per quanto riguarda ciò che da forma e sostanza alla nostra esperienza come utenti e clienti.
Nel discorso però aggiungo anche: politically correct, tematiche scomode e auto censura, propaganda e, infine, resoconti sull’ambiente di lavoro e il crunch time.
Vediamolo un attimo uno ad uno.

I season pass sono ormai, e per fortuna, una cosa del passato ad esclusione dei GAAS (Games As Service). Non è più comune vedere il lancio di un gioco single player con la richiesta di aggiungere altri soldi per avere contenuti aggiuntivi palesemente rimossi in fase di sviluppo. Non sto dicendo che non lo fa più nessuno, ma che non ha più molta presa. Ormai i giocatori, quando vedono un gioco che si lancia nella folla con un season pass, più che indignarsi pensano “Eh, boomer!”. Tipo andare in discoteca con il marsupio fluo.

Però, se GTA VI decidesse di proporre il suo season pass…
Avete presente quando Apple ha deciso di togliere i caricatori dagli iPhone nuovi? Dopo quanti giorni gli altri produttori hanno fatto lo stesso? Se quello grosso e nerboruto fa una cosa e nessuno dice nulla, anche gli altri della compagnia ci provano e, visto il precedente, la sfangano.

Questo era lo scenario comunque più old school, come scrivevo prima, i season pass sono visti con compassione, come certi panettoni dello scorso anno. Rockstar non vi ha mai fatto affidamento, sia perché il suo GTA online costringeva il reparto commerciale di TakeTwo ad andare al lavoro con il badile per raccogliere i soldi, sia perché, parlando di single player, le espansioni di GTA sono sempre state tanto colossali da figurare come gioco a parte, venduto anche in versione fisica. Non fai il season pass di una versione fisica.

Contenuti aggiuntivi e bonus preordine. Stanno seguendo lo stesso declino dei season pass: per lo più spernacchiati. Una volta era tutto un: “se compri le Doritos ti diamo questa skin”, “se fai i gargarismi con Listerine ti becchi questa valuta in game”, “se usi queste supposte alla glicerina ecco a te una quest secondaria dove puoi ritrovare la tua dignità!”.

Per quanto riguarda i contenuti aggiuntivi la questione è più fluida: i giochi free to play campano sugli acquisti in corsa e GTA Online è un forte protagonista del panorama. Qui la domanda più logica è: come verrà gestito GTA Online con l’arrivo di GTA 6? Questo solo il tempo potrà dircelo.
Vale comunque la pena ricordare che alcune delle pratiche più inquietanti, come le loot boxes randomiche, sono state travolte da una giusta indignazione che le ha portate fino al cospetto degli organi legislatori. Se GTA VI dovesse in qualche aspetto della sua offerta cedere alla tentazione di riprovarci, sarebbe probabilmente ostacolato dalla legge.

Abbiamo così depennato dalla lista due aspetti decisamente improbabili e che mi davano poco pensiero. Iniziamo ora a fare sul serio: il costo del gioco al lancio. Vi pongo due domande che hanno la stessa risposta.
Quale è il publisher di Rockstar?

Il CEO di quale azienda ha detto che i videogiochi, per quello che offrono, dovrebbero costare di più?
Ebbene, qualche mese fa, il CEO di Take-Two, indeciso se prendere a calci un nido di vespe o dichiarare che i giocatori sarebbero disposti a pagare quasi qualunque cifra per i loro giochi preferiti, ha optato per la seconda opzione. Di fatto ha fatto un giro di parole per il quale molti politici dovrebbero suonargli il campanello e dire: “insegnami maestro!”.
Strauss Zelnick ha detto che l’aumento del costo di vendita dei videogiochi non avrebbe particolari contraccolpi per i publisher perché i giocatori hanno una gestione più oculata dei propri risparmi che passa anche dallo scegliere di sacrificare alcuni acquisti per non dover rinunciare al titolo del momento, quello grosso, quello di qualità.

In buona sostanza: se mettete il vostro gioco dell’anno a cento euro, cari editori, i giocatori lo prendono lo stesso e rinunciano ad un paio di indie o di season pass. A quel punto, suppongo anticipando la cosa con una pausa ad effetto, ha aggiunto: Take-Two ha diversi giochi di qualità in arrivo.
Pensa te! Che fortunata coincidenza! Tipo? Quale?

Beh… GTA VI.
Che non è un gioco del momento. È il gioco dell’anno, se l’anno durasse 36 mesi.

Ricordo ancora quando un gioco, al lancio, aveva il costo di 54.90 euro, poi diventato 59.90, poi 69,90. Adesso stanno a 79,90.

Il mio timore è che GTA VI sarà il primo a chiedere almeno 90 euro, ma forse di più. Solo le vendite ci diranno se Strauss Zelnick ha ragione. Non tanto per il suo titolo di punta, ma per tutti quelli che proveranno a fare lo stesso senza chiamarsi GTA VI: i giocatori accetteranno la cosa?

Ubisoft è molto interessata. Non perché così potrebbe vendere Assassin’s Creed a 90 euro il giorno del lancio, ma perché potrebbe venderlo a 39,90 la settimana dopo (quando solitamente sta a 29,90).

Qualcuno potrebbe dire l’aumento del costo di vendita dei giochi è dettato dall’aumento dei costi di sviluppo e dal fatto che basta fare un flop per andare gambe all’aria, ed è vero. Il numero di licenziamenti senza precedenti che sta sconquassando gli studi di sviluppo in queste settimane è, in parte, la conseguenza più dolorosa e tangibile di cosa significhi non rispettare le previsioni economiche dopo aver speso milioni e milioni di dollari su un singolo progetto.

Purtroppo è un cane che si morde la coda: gli studi di sviluppo soffrono la pressione per rientrare il prima possibile nei costi, pubblicano giochi zoppi, con gravi problemi e vengono per questo motivo puniti nelle vendite, così vanno in sofferenza, licenziano e il ciclo ricomincia.
Nemmeno le aziende più grosse sono immuni da questo sistema: Ubisoft sta navigando in acque tempestose e, manco a farlo a posta, l’ultima loro scommessa, il jolly roger di Skull&Bones, sembra destinato ad affondare precocemente (non che mancassero i segnali all’orizzonte). Vedremo quanto duro sarà il colpo, di sicuro il publisher francese è quello che, commercialmente, si sta prendendo i ceffoni più sonori, a dispetto del fatto che fino a pochi anni fa sembrava una corazzata inaffondabile timonata da una ciurma di assassini sempre accolti a braccia aperte dal pubblico.

Rockstar da questo punto di vista non dovrebbe temere nemmeno i metaforici tifoni. In apertura ho buttato sul foglio un numero da far sbiancare più di un ministro dell’economia: undici miliardi di dollari di entrate generati da GTA V.
Alla luce di ciò Rockstar dovrebbe aver lavorato senza alcuna fretta e pressione su GTA VI (mica per niente stiamo parlando di almeno dodici anni di attesa, pure i Tool ad una certa hanno chiesto “quando esce?”), e dovrebbe avere anche un certo gruzzolo da investire nell’infrastruttura online così da evitare il collasso al giorno del lancio – sempre che la parte online arrivi insieme a quella single player.

Se questo non dovesse accadere, se GTA VI uscisse con gravi problemi, allora potrebbe voler dire che lo sviluppo di videogiochi ha raggiunto un tale livello di complessità che questo è il futuro: il day one e poi il vero day one da gustare un discreto numero di patch dopo. Il conto dei giochi uscito in stato pietoso è aumentato in modo preoccupante negli ultimi tre/quattro anni. Anche mettendo in chiaro che non sono stati anni normali. Che per molti mesi, molte realtà hanno lavorato con tutti i dipendenti in smart working. Però, a dover pensar male, c’è un po’ la sensazione che alcuni progetti siano uscito in un certo stato con cognizione, sapendo di poter sempre contare sul tempo extra dato dalle patch post lancio.

È una pratica che se dovesse consolidarsi, trascinando anche una produzione titanica come GTA VI nel baratro, troverei molto preoccupante e anche fastidiosa. Nessun giocatore ha mai detto, che io sappia: “lo voglio subito, non m’interessa se è rotto”. Anzi, il più delle volte, alle notizie di posticipi si è risposto che era meglio così se avesse significato un lancio pulito e godibile. Anche perché, c’è poco da girarci intorno, se chiedi non più 50, 60 o 70 euro, ma 80 o 90, allora devi portare verso quella cifra il rispetto che l’acquirente ha portato nei tuoi confronti scegliendoti. Non esiste, non può esistere, che qualcuno, specie di questi tempi, sostiene una certa spesa e si vede recapitare un gioco a cui mancano settimane di patch per essere funzionante.
Per non chiudere con pessimismo porto anche agli onori della cronaca nomi che hanno dimostrato che si può rispettare i giocatori: Nintendo, da sempre, e Larian con Baldur’s Gate 3.

GTA VI è il futuro del videogioco, purtroppo

Poche parole per l’always online anche nei single player: un’idea mentecatta che se dovesse vedere applicazione in GTA VI farebbe esplodere l’internet, come si suol dire, e questo penso proprio Rockstar lo sa benissimo. Se dovesse farlo sarebbe una prova di forza fra loro e noi giocatori. Non ho però idea di quale sarebbe l’esito, ma ho un indizio. Dopo ne parliamo.

Veniamo alla parte che impatta meno sulla nostra esperienza ma che comunque sarebbe una cartina di tornasole di molte cose di oggi.

La serie Grand Theft Auto è sempre stata irriverente, sboccata, violenta, insomma, per rimanere in tema: GTA se ne fotte. Mi chiedo se nel 2025 dovremo usare l’imperfetto, se Rockstar cederà ad una sorta di autolimitazione, per non dire autocensura, per evitare di finire in una delle tante tempeste social scatenate in nome di istanze che, partite da temi più che giusti, hanno raggiunto parossismi demenziali e illogici. Perché se nel XVII secolo era l’Illuminismo, seguito dal Romanticismo, oggi siamo nel Lamentismo (o Indignismo, o Polemismo, fate voi) dove la sensibilità è quella di un neonato fra le ortiche e la tolleranza per molti sembra finire prima ancora del loro zerbino di casa.
Sia mai che GTA VI si lanci in battute a sfondo sessuale, o sul mangiare carne, o sull’usare armi, o sulla provenienza etnica o sui vaccini, sulle onde elettromagnetiche, sui chip, sull’allunaggio, sulle pizzerie di New York… cioè, io spero lo faccia, spero mi offra ancora una volta uno spaccato tutto strano e, per certi aspetti, liberatorio. Spero ancora di sentire le persone, alcun persone, strapparsi i capelli e andare via di testa perché in GTA VI puoi fare certe cose – che, se non fossero fatte da persone coscienti e adulte all’interno di una simulazione atta a far perdere tempo e intrattenere sarebbero aberranti – piuttosto di sentire il silenzio completo perché Rockstar in primis ha deciso di non rompere nessun uovo.
Ve lo deve dire un gioco che certe cose non sono socialmente accettabili e che non è perché vengono simulate allora le si sta sdoganando?

Chiudo con un veloce pensiero a chi GTA VI lo sta facendo.
Spesso la finestra di lancio di un gioco è l’occasione giusta per denunciare situazioni sul luogo di lavoro che definire non ideali è un insulto all’intelligenza. Dal crunch time alle molestie, negli ultimi anni molte storie hanno giustamente e fortunatamente raggiungo la cronaca.
Non mi illudo che in Rockstar sia tutto rosa e fiori (anzi, come software house è un’osservata speciale per episodi del passato) ma quando ti prendi tutto il tempo che ti serve per fare un gioco, senza la pressione dei fondi e delle capacità o della giusta finestra di uscita per intercettare il pubblico, allora sarebbe lecito aspettarsi che l’ambiente di lavoro sappia riflettere tutto ciò. Allo stesso modo, se sai raggiungere l’apice artistico e tecnico, il meglio del meglio, mi aspetto che sia fatto altrettanto nel rispetto delle persone che tutto quello lo rendono possibile. Se c’è una cosa che ritengo sia un’enorme stronzata (sì, conosco anche un po’ di francese) è l’accettazione del genio maledetto, che qualcuno possa essere una brutta persona perché ha un bel cervello. Se fatici ad essere umanamente giusto allora non hai un bel cervello. Se il prezzo del genio, e della qualità, è la privazione di dignità allora non sono né genio, né qualità, ma ottenimento per privazione e consunzione. Ecco, la speranza è che se davvero, malauguratamente, qualcosa del genere emergesse dallo sviluppo di GTA VI, il suo successo, il fatto di essere sotto i riflettori più grandi del decennio, dovrebbero essere la leva giusta per parlare di questi problemi non solo fra di noi, nel nostro circolino di nerd.

GTA VI uscirà probabilmente nel 2025 e segnerà un prima e un dopo, come è giusto che faccia un prodotto di tale magnitudo. Sarà però anche un modo per tastare il polso di un’industria che nell’ultimo triennio sta mostrando delle problematiche figlie forse di una costante tendenza a pretendere sempre di più, sempre prima, sempre meglio. Tendenza che la sta sfilacciando e indebolendo e che forse, ma nemmeno troppo forse, sta agendo da malattia autoimmune capace di mangiarsi dall’interno, allontanando quelli che potrebbero essere i prossimi grandi realizzatori di esperienze per noi memorabili.

GTA VI sarà uno tsunami, vedremo cosa rimarrà in piedi e cosa verrà spazzato via.