Come Visa ha spinto Steam a rimuovere migliaia di giochi

L'inchiesta su come i processori di pagamento e il collettivo Collective Shout hanno costretto Valve a cancellare 17.000 titoli: dalla censura digitale al controllo finanziario del gaming

Come Visa ha spinto Steam a rimuovere migliaia di giochi

Una nota a corredo prima di sbrogliare una matassa molto complessa: secondo un’indagine della FIDH (Federazione Internazionale per i Diritti Umani), i principali circuiti di pagamento internazionali hanno investito complessivamente oltre 36 miliardi di euro in società che producono armi utilizzate nei bombardamenti a Gaza. Con questa cifra ben salda in mente, iniziamo.

Una notte qualunque, 17.000 giochi scomparsi

16 luglio: Valve aggiorna le linee guida dei publisher su Steam, introducendo una clausola che vieta contenuti che “possano violare le regole e standard imposti dai nostri processori di pagamento, circuiti di carte o provider di rete”. La normativa, molto vaga, consente ai partner finanziari di influenzare retroattivamente cosa può essere venduto. Nella notte, l’aggregatore SteamDB conferma l’accaduto su X.

18 luglio: Valve conferma pubblicamente di aver rimosso alcuni giochi per adulti dallo store in risposta a pressioni esterne. Spiega che la perdita di metodi di pagamento avrebbe impedito agli utenti di acquistare anche altri titoli. I primi comunicati ufficiali parlano di numeri relativamente contenuti: decine o centinaia di giochi rimossi in appena 48 ore, molti con tematiche controverse tra cui incesto, violenza o schiavitù.

21 luglio: il Commissario per la sicurezza online dell'Australia, Julie Inman Grant, esprime sostegno a Collective Shout. Le forze dell'ordine australiane avviano indagini legali in risposta alle minacce ricevute dagli attivisti.

23 luglio: Itch.io annuncia la deindicizzazione di tutti i contenuti marcati NSFW da browser e pagine di ricerca. La mossa è giustificata come risposta urgente ai timori espressi dai processori di pagamento. Viene promesso un audit approfondito dei contenuti.

25 luglio: emergono numerosi report di utenti e sviluppatori. Giochi apparentemente innocui, persino gratuiti, che teoricamente non utilizzano meccanismi di pagamento nemmeno per la raccolta di dati, sono spariti dalla ricerca o marcati come “delisted”. La conta dei giochi cancellati e oscurati si attesterebbe intorno ai diciassettemila. 

Silenzi, proteste e contraddizioni

La risposta del pubblico è stata immediata: petizioni firmate da decine di migliaia di persone, proteste su Reddit e X, accuse di censura e minacce. Steam ha difeso la sua posizione parlando di necessità tecniche: “Abbiamo il dovere di garantire che l’intera piattaforma resti accessibile ai nostri utenti, e questo significa conformarsi alle richieste dei circuiti di pagamento”. Il tono è sfuggente, di tutela e salvaguardia per quella nomea da “cavaliere senza macchia” che il negozio si è guadagnato nel corso dei decenni. Nessuna delle comunicazioni nomina esplicitamente Visa, Mastercard o gli altri provider.

Itch.io, d’altro canto, ha dichiarato apertamente che “non condivide le restrizioni imposte da alcuni partner finanziari” e che la rimozione dei giochi NSFW è stata una misura temporanea per evitare di perdere i sistemi di pagamento su tutta la piattaforma. Promette, ad oggi, una revisione manuale per il reintegro dei contenuti, ma i tempi restano incerti.

Visa invece, Interpellata da alcuni giornalisti, risponde che “ non prende decisioni su quali prodotti possono essere venduti. I nostri sistemi servono semplicemente a processare transazioni in conformità con le leggi vigenti”. Una posizione apparentemente neutrale, che però non spiega perché, nella pratica, quei giochi siano diventati improvvisamente “problematici”. Ribadisce che la propria policy non emette giudizi morali sugli acquisti e di processare solo transazioni conformi alla legge.

Tuttavia, nelle stesse ore, emergono testimonianze su Reddit secondo cui il circuito avrebbe risposto individualmente con formule vaghe e generiche, senza mai chiarire perché migliaia di titoli considerati leciti siano stati effettivamente rimossi o de-indicizzati. Un barile di colpe che, come di consueto, nessuno vuole caricarsi in spalla. Il risultato pragmatico di queste azioni è l’enforcing di nuovi filtri (spesso automatizzati da algoritmi AI) per gli store sopracitati. Le conversazioni su forum e social evidenziano che anche contenuti queer o approcci narrativi sperimentali, ma privi di nudità esplicita, vengano inclusi in queste liste di proscrizione.

Correlando il caso a quanto accaduto e dichiarato ad aprile dalla piattaforma AI CivitAI, la lista delle tematiche considerate unsafe include la raffigurazione di parafilie estreme e dettagliate, ma anche nozioni generiche come “odio, estremismo o danno altrui”. L’ambiguità è tale che persino titoli che trattano temi complessi con grandissima sensibilità (tra cui MOUTHWASHING) sono spariti dall’indicizzazione interna degli store.

Il collettivo, gli investimenti e l’ipocrisia

Alla base della stretta, secondo numerose fonti, c’è Collective Shout, un’organizzazione australiana nota per le sue campagne contro la pornografia e la rappresentazione sessuale nei media. Il gruppo, guidato da Melinda Tankard Reist, è accusato da più parti di spingere una visione ultra-conservatrice della cultura digitale, spesso in conflitto con la libertà artistica e l’autodeterminazione sessuale che compare nello stesso manifesto del collettivo.

Tra i firmatari delle petizioni aperte inviate ai gestori dei circuiti di pagamento figurano personalità come Kelly Humphries, attivista e ambasciatrice del collettivo, spesso al centro del polverone pubblico per posizioni radicali verso la sessualità, incluso il rifiuto di qualsiasi rappresentazione erotica o queer nei media. Un elemento chiave emergente dalla copertura più recente è che Collective Shout si è formalmente “intestato” il merito delle cancellazioni. In una lettera aperta rivolta ai circuiti di pagamento (inclusi Visa, PayPal, Mastercard e Discover), il gruppo ha rivendicato una propria campagna diretta contro titoli che presenterebbero temi di “stupro, incesto e abuso su minori”, chiedendo esplicitamente la cessazione dei servizi su Steam e itch.io.

Negli ultimi mesi, Collective Shout avrebbe intensificato il proprio lobbying presso gli altri attori del settore, denunciando l’eccessiva permissività delle piattaforme di acquisto. La loro campagna si è servita di esempi estremi (contenuti borderline, incesti fittizi, giochi satirici su traumi sessuali) per richiedere il blocco dei pagamenti a tutti i prodotti etichettati come pornografici. La dinamica diventa più controversa considerando che Waypoint, una delle prime testate a segnalare il collegamento tra Collective Shout e le nuove policy di Valve, ha poi rimosso gli articoli dal suo sito, citando “preoccupazioni editoriali”. Questo ha causato le dimissioni di tre giornalisti tra cui Ana Valens, che difendendo la validità delle sue fonti ha affermato: “Collective Shout, le organizzazioni correlate e il loro coinvolgimento con le stesse testate che ne dovrebbero parlare meritano un’indagine giornalistica più approfondita”.

In questo contesto, la censura di giochi queer, erotici, o semplicemente provocatori appare come un atto di ipocrisia selettiva. Un sistema che tollera e talvolta finanzia la violenza reale, ma si scandalizza per la sua espressione digitale, assalendo frontalmente il Risultante ignorando il processo che permette a migliaia di titoli qualitativamente infimi di arrivare nelle vetrine. Il caso Valve/itch.io/Visa non riguarda la pornografia nei videogiochi, ma la capacità delle piattaforme indipendenti di sopravvivere all’interno di infrastrutture controllate da colossi finanziari. Riguarda il futuro della distribuzione digitale e il ruolo ambiguo dei processori di pagamento, capaci di decidere cosa può o non può esistere online. Non per volontà delle piattaforme o di leggi statali, ma per le logiche opache di aziende che gestiscono le chiavi del denaro.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI & FONTI DI RICERCA

 

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