Tiro al piccione: chi era davvero John Le Carré? Intervista ai figli dello scrittore e al documentarista Errol Morris

Cosa si prova a sedersi in una stanza e intervistare una ex spia e romanziere celebre in tutto il mondo? Errol Morris e figli di John Le Carré raccontano Tiro al Piccione.

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Dopo la scomparsa di John Le Carré, il documentarista premio Oscar Errol Morris si è ritrovato a essere il depositario della sua ultima intervista, forse del suo testamento. "Tiro al piccione - Ritratto di John Le Carré", film documentario in arrivo il 20 ottobre su Apple TV+, è diventato l’ultimo progetto a cui ha preso parte uno degli scrittori inglesi più influenti e popolari del Novecento. La Carré ci ha lasciato il 12 dicembre 2020, senza vedere finito un progetto in cui aveva creduto e per cui si era preparato molto, come mi hanno raccontato Simon e Stephen Cornwell, figli del romanziere e produttori del progetto.

Il padre David Cornwell era un grande ammiratore dell’opera del documentarista Errol Morris, che aveva avvicinato i due proprio per sondare il terreno e capire se fosse possibile inserire il grande scrittore nella galleria di uomini ambigui e straordinari che ha raccontato nei suoi documentari. Il risultato doveva essere una miniserie, poi divenuta film: “uno dei migliori che io abbia realizzato”, chiosa Morris nel valutare il prodotto finito. “Avrei potuto girare 20 film col materiale che ne ho ricavato”.

Tiro al piccione: chi era davvero John Le Carré? Intervista ai figli dello scrittore e al documentarista Errol Morris

Com’è stato, dunque, sottoporre a un interrogatorio intimo e ficcante un uomo abituato a svelare le realtà altrui, celando le proprie? Ecco cosa ci hanno raccontato i figli e produttori del film e il suo regista.

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Non posso che partire dalle prime impressioni. So che hai inseguito a lungo questo progetto, ma come è stato trovarsi dopo tanto tempo di fronte a David per girare? Qual è stata, a caldo, l’impressione che ti ha fatto l’uomo, dopo aver conosciuto attraverso l’opera lo scrittore?

Errol Morris - La prima impressione è stata spiazzante. Mi è parso che l’intera intervista sarebbe stata come un incontro di wrestling tra due avversari, lui era pronto a dare battaglia, o almeno è stata questa la prima prima impressione. Voglio dire, ancor prima che iniziassi a fargli domande, David ha aperto l’intervista chiedendo chi fossi io: “Chi sei tu?” Al che mi è venuto da dire che io non so chi sono, non so se sono in grado di rispondere a questa domanda. Non che io non voglia rispondere, non so se sono in grado di farlo.

Da lì ne è nata una discussione che ho trovato davvero d’ispirazione, meravigliosa. Mi si sono reso conto che ero seduto lì con una delle persone intellettualmente più dotate che avessi mai incontrato in vita mia, una delle più dotate nell’arte di esprimersi e usare il linguaggio

Vedendo il film si percepisce una certa tensione, sembra quasi che Errol e vostro padre siano pronti a darsi battaglia. Voi eravate sul set, avete sentito che atmosfera c’era. Come sono andate le cose?

Simon Cornwell - All’inizio sembravano davvero pronti a confrontarsi a muso duro, sì. Anzi, nostro padre ha proprio cercato di far saltare il tavolo, di ribaltare i ruoli e diventare lui l’intervistatore, anzi: di condurre l’interrogatorio (ride). Tu l’hai descritto come un incontro tra menti brillanti ed è stato davvero così. Devi sapere che prima di arrivare sul set mio padre ha vito tutti film di Errol, ha letto le cose che lui ha scritto. Dal canto suo Errol dice di aver letto solo parte della produzione di mio padre, ma sappiamo che mente: si è presentato sul set avendo letto ogni riga mai scritta da mio padre. Insomma, erano entrambi preparatissimi e si percepiva che erano pronti a darsi battaglia.

Quello che mi ha impressionato è come Errol non si sia dato vinto, come abbia tenuuto diritto il timone. Credo che il film diventi interessante quando, pur continuando a mostrare il confronto tra i due, diventa un viaggio che fanno insieme, fianco a fianco. 

Quando monto le interviste che faccio mi capita sempre di avere ripianti: c’è qualche passaggio di “Tiro al piccione” che avresti voluto gestire diversamente o approfondire?

Errol Morris - Naturalmente. Capita sempre quando intervisti qualcuno, specie se quel qualcuno è una persona della caratura di Le Carré. Sei davanti a una mente straordinaria, a qualcuno che ha palesemente un dono raro per il linguaggio, per la comunicazione, che pondera ogni singola risposta.

Nonostante questa consapevolezza, a costo di suonare un po’ troppo promozionale rispetto alla mia opera, voglio dirti che è una delle interviste più belle che penso di aver mai realizzato. Non so, c’è qualcosa di così profondo nel film, perché sono profondi i temi che trattiamo.

Ho dei rimpianti anche perché “Tiro al piccione” è un film molto complesso, che fa così tante cose. Fosse stato solo una biografia, solo la sua storia, sarebbe stato un conto…tuttavia non è così. Il documentario ricostruisce le origini, l’educazione, la famiglia di Le Carré, ovvio, ma diventa anche un racconto della Storia con la s maiuscola di cui è stato testimone. Lui era a Berlino quando hanno costruito il muro, lui era in prima linea a testimoniare la perfidia delle case farmaceutiche ben prima che emergessero scandali e processi.

Parlare con una persona simile significa sfociare continuamente nella storia, nella filosofia, nei massimi sistemi: nomina qualcosa e da qualche parte c’è.

Conta che all’inizio volevo fare una miniserie di sei puntate. Alla fine, abbiamo deciso per il film, ma ho tagliato così tante cose…con il materiale che ho girato avrei potuto girare una ventina di film.

Vostro padre viene descritto come una persona straordinaria, ma in “Tiro al piccione” sembra anche un uomo molto ironico, così come nei tanti camei che ha girato nei film e nelle serie tratte dai suoi libri e da voi prodotti.

Simon Cornwell - Nostro padre sul set era un autentico birbante: quando sapevamo che avrebbe girato un cameo, non programmavano nessun’altra scena per il resto della giornata, perché sapevamo che non si sarebbe combinato niente.

Sul set era una forza dirompente, sapeva essere malizioso, ironico, macchiavellico: il regista gli dava questa o quell’indicazione e lui puntualmente le ignorava tutte e faceva quel che voleva. Inoltre quando la troupe sapeva che ci sarebbe stato lui il set era affolatissimo: volevano tutti vederlo, conoscerlo, quindi anche gli interpreti non impegnati nella scena girata quel giorno erano sul set.

Ecco, credo che “Tiro al piccione” catturi questo lato di mio padre, questa sua ironia, molto bene.