Super 8 - I film che hanno distrutto la nuova Hollywood
Un periodo di fermento e sperimentazione, figlio delle contestazioni sessantottine, nel quale il cinema statunitense per la prima volta pose “temi nuovi, storie scottanti e soprattutto un approccio tecnico e produttivo che metteva i registi al centro del processo creativo”. Poi il declino, e il ritorno delle grandi produzioni a guidare la fabbrica del cinema. È la storia della Nuova Hollywood, con i suoi picchi e le sue brucianti cadute, che troviamo in Super 8 – I film che hanno distrutto la nuova Hollywood, il nuovo saggio di Livio Ricciardelli (nostro redattore), edito da Edizioni Efesto e appena arrivato in libreria.
Un volume che si propone, non tanto di narrare il passaggio dalla golden age hollywoodiana – fatta di spettacolo formato famiglia, grandi produzioni, forti dosi di moralismo, ma soprattutto, strapotere degli studios – al nuovo corso cinematografico ‘figlio della contestazione’ (e fucina di talenti come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, Mike Nichols, Michael Cimino e tanti altri), quanto di raccontare ‘la fine’ di questo corso, avvenuto all’alba degli anni ‘80.
Ma andiamo con ordine: che cos’era la nuova Hollywood? Per usare le parole dell’autore, essa fu un periodo caratterizzato da “film dalle tematiche innovative, girati tecnicamente in maniera diversa rispetto al passato e basati su un impianto produttivo in cui il regista risultava essere il vero autore della pellicola”. Un periodo il cui anno di nascita può essere fissato nel 1967 - annata nella quale arrivano al cinema Il Laureato, di Mike Nichols e Gangster Story, di Arthur Penn – e il cui ultimo respiro è datato grossomodo 1982, quando il trionfo di Gandhi ai premi Oscar segna l’avvenuta ‘restaurazione’ da parte della vecchia Hollywood.
15 anni – più o meno – nei quali il cinema a stelle e strisce cambia completamente approccio e inizia a narrare ‘piccole’ storie (Il laureato), ad affrontare il degrado sociale (Un uomo da marciapiede), a raccontare per la prima volta la contestazione, l’antimilitarismo (Comma 22), i drammi familiari (Gente comune), la disillusione dei giovani (Badlands), anche la loro sessualità. E lo fa attraverso un gruppo di cineasti di grande talento e – spesso – smisurate ambizioni: molti di loro in questo periodo consacrano la propria fama, altri si bruciano, tutti loro non riescono comunque a impedire che quella particolare epoca cinematografica inevitabilmente si concluda.
Ecco quindi che il libro di Ricciardelli si propone di raccontare, analizzando otto particolari film della nuova Hollywood, l’inizio della fine di quell’era: otto flop, di critica e/o di pubblico, otto delusioni che in qualche caso costeranno la carriera ai loro autori o addirittura il fallimento dei produttori, otto pellicole ‘larger than life’ che provocheranno la reazione della vecchia Hollywood e il ritorno degli studios al potere. Otto fiaschi che oggi sono assurti a oggetti di culto, ma che all’epoca hanno dato un colpo mortale alla reputazione dei loro registi e al cinema del periodo.
Si va da New York New York, di Martin Scorsese – un musical costato 14 milioni di dollari, a malapena recuperati tantissimi anni dopo, il cui flop fece sprofondare il regista di Taxi Driver nelle droghe e nella depressione – a Il Salario della paura, di William Friedkin, già vincitore dell’Oscar per Il Braccio violento della legge, che nello stesso anno di New York New York (1977) viene snobbato da pubblico e critica.
Ancora 1977: Sidney Pollack, che dopo il trionfo de I 3 giorni del condor, floppa con Un attimo una vita (Bobby Deerfield), indefinibile melodramma girato in Italia (!) con Al Pacino nei panni di un pilota di Formula 1 (!!) che si innamora di una ragazza malata terminale. Un anno dopo è l’acclamato regista di Tutti gli uomini de presidente, Alan J.Pakula, a ‘cadere’ sotto i colpi dei critici e degli spettatori con Arriva un cavaliere libero e selvaggio: western atipico ambientato nel secondo dopoguerra con la fama di film maledetto (il perché, ovviamente, è scritto nel libro).
Nel 1979 persino il ragazzo prodigio di Hollywod, Steven Spielberg, l’autore di Incontri ravvicinati del terzo tipo, inciampa e fa fiasco. Succede con 1941 – Allarme a Hollywood, strana commedia ‘di guerra’, scritta da Robert Zemeckis e Bob Gale (autori del successivo Ritorno al Futuro) Chi, invece, non si riprenderà più, è Michael Cimino, il regista premio Oscar per Il Cacciatore (1978), che nel 1980 addirittura fa fallire la United Artists con I Cancelli del cielo.
Infine, è la volta di Brian De Palma – Blow Out, 1981 – e Francis Ford Coppola – Un sogno lungo un giorno, 1982: le loro pellicole chiudono idealmente il periodo della nuova Hollywood e chiudono anche il libro di Ricciardelli. Una lettura fresca e interessante, che analizza e racconta – con aneddoti, curiosità e uno sguardo da vero innamorato del cinema – questi otto film in profondità, senza (pre)giudizi.
La tesi dell’autore è chiara: ognuna di queste pellicole ha contribuito, a suo modo, all’evoluzione del linguaggio cinematografico dell’epoca e, pur rappresentando la cartina di tornasole dei difetti della nuova Hollywood – primo fra tutti, l’eccessivo potere del regista, lasciato troppo spesso senza un vero controllo produttivo – questi 8 film hanno rappresentato un percorso “di contrasti, linee di frattura e molti dubbi. Tutti però funzionali ad immergersi in una bellissima storia di cinema e di passione”. Una storia che per 15 anni ha cambiato completamente il volto del cinema statunitense e ha gettato le basi per la sua evoluzione.
Buona lettura!