Decifrare Robert De Niro: 7 verità su un mito di poche parole da Cannes
Dal palco di Cannes, Robert De Niro svela frammenti della sua vita privata e professionale attraverso sette ricordi di gioventù, conciso e incisivo come abbiamo imparato a conoscerlo.

Nonostante la sua imponente presenza scenica, la sua fama e i ruoli iconici, De Niro rimane un uomo notoriamente riservato e di poche parole. Stringatissimo nelle risposte, ha trasformato l’incontro con pubblico al Festival di Cannes nella consueta battaglia con chi lo intervista. In questo caso a raccontarlo c’era l'artista JR, che ha condiviso il dietro le quinte di documentario che i due stanno realizzando insieme. Così, per una volta, più che parlare di Taxi Driver e Toro Scatenato, De Niro si è concesso in un racconto personale, familiare e intimo, raccontando l’influsso che ancora oggi il padre e la madre hanno sulla sua vita, la voglia di raccontare queste due figure “schiacciate” dalla fama raggiunta dal figlio all’interno della sua stessa famiglia.
Anche se per De Niro raccontarsi è un proceso istintivamente doloroso, fastidioso, da rifuggire. Tanto da dire al suo stesso documentarista di incalzarlo, anche quando avrebbe provato a sottrarsi al loro insieme.
Con pazienza e tenacia, le risposte sono arrivare: corte, stringate, ma incisive. Dai ricordi di gioventù come attore itinerante al complicato rapporto con il padre (di cui conserva ma non ha mai letto i diari personali), provo a raccontarvi De Niro che si racconta, attraverso 7 ricordi di vita e carriera che ha deciso di condividere con il pubblico della Croisette.
Robert De Niro si racconta in Croisette
Ha preservato intatto lo studio del padre pittore
Che Robert De Niro sia il figlio di un pittore è cosa nota, così come la carriera e le opere del padre. Opere che l’attore ha conservato e accumulato negli anni, fino a creare uno studio a New York per tenere le vestigia della sua famiglia. Lo spazio, ex studio del padre, è stato mantenuto esattamente com’era sin dalla sua morte, 30 anni fa.
De Niro non ha cambiato nulla, ogni singola cosa nello studio di suo padre è ancora lì: una sigaretta, i vestiti, i dipinti. Ha deciso di tenerlo così, congelato nel tempo perché dice “volevo semplicemente conservare tutto il più a lungo possibile. Volevo che i miei figli, anche quelli piccoli che non avevano ricordi del nonno, e altri membri della famiglia vedessero quale fosse l'eredità che ha lasciato, quanto fosse importante per me e per loro. Così l'ho preservato, l'ho semplicemente tenuto così. A un certo punto ho pensato di videoregistrare, fotografare l'intero studio; ho fatto tutto questo e ho deciso di tenerlo il più a lungo possibile. Questo è quello che ho fatto, ma era per loro, perché vedessero, in modo tangibile e trovandosi nel suo spazio, ciò che ha fatto.”
È un accumulatore, conserva gelosamente gli oggetti di scena dei suoi film
Gli oggetti di scena sono importanti, durante e dopo le riprese, per molti motivi: “Ci sono due aspetti: uno è la costruzione del personaggio, e l'altro è perché conservo le cose dopo. Lavorando ai film mi accorgevo che gli oggetti di scena o i costumi venivano buttati, o che qualcuno prendeva qualcosa come souvenir. E io volevo conservare quella roba, tenerla come parte del film. Così ho iniziato a conservare il mio guardaroba di scena, gli oggetti, e così via, soprattutto le copie delle mie sceneggiature su cui ho lavorato. C’è sicuramente una componente di conservazione “per i posteri”, se vogliamo. Alla fine è diventato tutto così grande e ingestibile che la mia assistente dell'epoca cercò dei posti a cui donarli. Buona parte di questa collezione è finita all’Università del Texas, poi un altro lotto è stato ceduto all'Harry Ransom Center.”
Per decenni non ha letto i diari e le lettere dei suoi genitori
Robert De Niro era molto legato ai genitori e quel modo da “archivista” legato alla sua carriera si è esteso anche ai loro oggetti quando sono venuti a mancare. Tra gli oggetti ereditati c’erano i diari del padre, che ha appuntato le sue memorie per tutta la vita e le lettere della madre. De Niro non li ha mai letti: non si sentiva pronto, dice, non era il momento giusto. Il primo a leggerli è stato JR, artista e documentarista che sta girando un lungo documentario sulla sua vita. De Niro gli ha proposto di darci un’occhiata e poi gli ha chiesto cosa ci ha trovato dentro. Grazie ad alcuni di quegli scritti ha scoperto per esempio che alcuni dipinti del padre sono in realtà opera della madre. In merito a quest’esperienza ha detto: “Non è stato un momento che ho scelto io, forse ho semplicemente continuato a evitarlo. Quindi, quello è stato il momento in cui abbiamo iniziato.”
De Niro non ama parlare di sé stesso
Ascoltandolo parlare in pubblico in incontri come questo, appare da subito evidente come De Niro sia un uomo di pochissime parole, così come sottolineato anche da Leonardo Di Caprio alla consegna della Palma d’Oro onoraria durante la cerimonia di apertura. Di Caprio, la cui carriera è stata molto coadiuvata dall’apprezzamento immediato che De Niro ha avuto nei suoi confronti dopo averlo visto a un provino, del collega e amico dice: “Parla poco, spesso borbotta qualche frase. Quando si fa sentire però sceglie molto accuratamente le sue parole ed è sempre estremamente incisivo.
JR conferma quest’impressione, rivelando quanto possa essere impegnativo tentare di far parlare De Niro, soprattutto di sé stesso: “Prima di cominciare mi ha detto di pressarlo, anche se fosse stato lui a tentare di svicolare. Quando lo contatto per trovarci e girare si vede che gli costa, non è proprio entusiasta. Alle volte giriamo per cinque ore e tutto quello che ne ricavo sono un paio di frasi utili. Mi ha detto: Devi spingermi anche se non voglio farlo, anche se sono di cattivo umore, devi spingermi.” Conferma De Niro stesso: “A volte è fastidioso, non voglio farlo, ma so che devo, quindi lo facciamo. Fissiamo degli appuntamenti e lo facciamo. Ma non sai mai cosa otterrai. Non mi aspetto niente. Lo stai facendo tu, quindi ovunque vada…”
I ricordi da giovane attore girovago
Avendo conservato gelosamente le lettere spedite alla madre per tutta la sua vita e le risposte di lei, a 81 anni d’età è in grado di ricostruire periodi della sua gioventù di cui ricorda poco. Come quando, agli inizi, faceva l’attore in una compagnia teatrale itinerante, spostandosi di città in città: “Da giovane ho viaggiato molto, andando con una compagnia di attori itinerante, facevamo uno spettacolo e lo portavamo nelle scuole superiori. Ricordo che mia madre mi disse: ‘Spero che un giorno sentiremo il tuo nome alla radio’. Lavoravo anche ai dinner theater negli stati dove era proibito servire alcolici in locali del genere, come la Carolina del Nord. Il teatro era a pianta centrale, con il piano superiore con i camerini e gli alloggi dove vivevano gli attori. La gente mangiava sulle gradinate, sui tavolini. Cenavano, gli attori li servivano, si portavano il loro alcol da casa in buste di carta. E una volta finito tutto e serviti i dessert, mentre puliviamo, loro si sedevano e poi guardavano lo spettacolo. Noi risalivamo e poi scendevamo per la rappresentazione."
Si fida molto dell’istinto per costruire i suoi personaggi
Alla domanda di un attore nel pubblico su come prepara i ruoli, De Niro spiega: “A volte il tuo primo impulso è l'impulso migliore, e quello che dovresti seguire. Fai tutto questo giro, provi questo e poi quello, e finisci proprio dove avevi iniziato. Questo è un modo in cui guardo alle mie parti. Meglio fidarsi del primo impulso. In "The Irishman" il personaggio di Joe Pesci pronuncia una frase che mi piace molto: "Nel dubbio, non avere dubbi". Quindi è così semplice. Segui il tuo istinto, e potrebbe andare bene. È un buon modo di procedere e ti senti a tuo agio, e questa è la cosa più importante . Bisogna anche avere la fortuna di trovare registi abbastanza intelligenti da seguire il tuo istinto. Devi farlo tu, e poi se ci sono cose da modificare o spostare, il regista può integrare e ottenere comunque l'idea di ciò che quella scena dovrebbe trasmettere.
I film che l’hanno cambiato, da giovane
“Credo che il primo film importante, che mi ha cambiato, potrebbe essere stato Fronte del porto. Non è stato il primo film in assoluto, ma il primo di cui sono stato più consapevole. Vidi un film di Kazan intitolato Splendore nell'erba quando avevo 18 anni. Avevo già visto molti film prima, molte opere di Tennessee Williams trasposte al cinema, ma quello mi fece una profonda impressione. Ovviamente, come tutti, guardavo i western. Conservo un bel ricordo di quando vidi Il cavaliere della valle solitaria (Shane). Quelli non mi fecero venire voglia di recitare o cose del genere. Shane mi colpì, così come Sentieri selvaggi di John Ford.
Invece il primissimo film visto al cinema potrebbe essere stato La Bella e la Bestia, probabilmente la versione di Cocteau del 1946. Uno dei miei genitori mi ci portò. Andavo al cinema con mio padre, di tanto in tanto, da piccolo. Un altro posto dove andavo a New York si chiamava The Laugh Movie, sulla 42ª Strada, e proiettavano solo commedie. Quindi era una cosa che facevo ogni settimana: vedere commedie. Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio…tutti i comici dell'epoca.”