Road Movie: Il cinema in viaggio

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Il successo di Green Book , di Peter Farrelly - pellicola che ha trionfato nella notte dei Golden Globes e che ha messo in paniere ben 5 nominations agli Oscar - pone un tema non da poco per la tutta la cinematografia americana: qual è il ruolo del road movie nel cinema del nuovo secolo?

Il tema del viaggio tra due o più persone che attraversano gli Stati Uniti ricalca una moderna scoperta della frontiera americana sulla falsariga dei pionieri, e tocca anche altri ambiti artistici come la pittura e la letteratura (basti pensare a Sulla strada di Jack Kerouac).

In vista dell’uscita di Green Book, ecco 6 road movie del cinema americano che consideriamo particolarmente significativi.

Accadde una notte (1934, Frank Capra)

Il primo film ‘sulla strada’ di successo della storia del cinema. Uno shock culturale di dimensioni immense e destinato ad influenzare tutta la cinematografia degli anni a venire. Accadde una notte è il film delle scoperte e delle prime volte. Il primo film di successo di Frank Capra, che si aggiudicò per questa pellicola il suo primo Premio Oscar alla miglior regia (su 3 totali). Il film che lancia Clark Gable tra le stelle del firmamento hollywoodiano, mentre insegue tra le strade degli Stati Uniti la giovane ereditiera interpretata da Claudette Colbert. Uno dei tre film della storia del cinema ad essere riuscito ad aggiudicarsi tutti e 5 i principali Premi Oscar (miglior film, regia, attore, attrice e sceneggiatura), nonché pellicola che ebbe un impatto culturale di grande rilievo. In una scena Clark Gable, togliendosi la camicia, mostra il petto nudo e senza canottiera, aspetto che comportò come emulazione il rifiuto da parte dei giovani di indossare questo indumento (con conseguente fallimento di molte industrie del settore). La scena di Claudette Colbert che per ottenere un passaggio in autostop mostra agli automobilisti le proprie gambe, sarà citata da centinaia e centinaia di film (tra cui Il cacciatore di Micheal Cimino, 1978).

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Easy Rider – Libertà e paura (1969, Dennis Hooper)

Forse non tra i più bei film della Nuova Hollywood, ma uno di quelli più efficaci nel descrivere lo stato di tormento dei giovani (cineasti e non) del ’68 americano. Denis Hooper e Peter Fonda producono, scrivono e dirigono un perverso viaggio tra le strade degli Stati Uniti d’America a bordo di motociclette non del tutto ‘legali’. Mal visti, pieni zeppi di droghe e allucinogeni vanno verso una triste fine ideata dagli autori per dimostrare l’elevato livello di conformismo di una società americana ancora dominata dalla nixoniana ‘maggioranza silenziosa’. È il film delle moto, ma anche degli hippies e delle scene psichedeliche (come quella del Carnevale). È anche il film della svolta per Jack Nicholson, che da interprete di pellicole a basso costo e di b-movie (come quelli della scuderia di Roger Corman) diventa uno degli attori simbolo della nuova ondata cinematografica americana. Se cercate un simbolo del ’68 americano nel cinema, troverete quei tre brutti ceffi in moto tra i canyon e i deserti degli Usa.

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Paper Moon – Luna di carta (1973, Peter Bogdanovich)

Rievocazione storica e cinefilia. Questi gli elementi di Paper Moon – Luna di carta. Il regista Peter Bogdanovich è un cinefilo onnivoro. E soprattutto ha un credo: il caos al potere, il fallimento come mantra. Sceglie di girare il film interamente in bianco e nero (come il suo precedente L’ultimo spettacolo, il film della consacrazione) in modo da riassaporare l’atmosfera della Grande Depressione e degli Stati Uniti degli anni ’30. Chiama il suo attore feticcio Ryan O’Neal e lo affianca alla sua figlia Tatum, di appena 8 anni. In giro per le strade del paese a cercare di vendere Bibbie a vedove affrante. Una geniale associazione a delinquere sospesa tra realtà ed immaginazione. Con un finale aperto intenzionato a mostrarci quanto il valore del cinema possa andare oltre. Anche rispetto alla linearità di una storia.

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Convoy – Trincea d’asfalto (1978, Sam Peckinpah)

L’anomalia e il non-sense. Un film non tratto da un libro o da uno spettacolo teatrale. E nemmeno da un’idea originale. Convoy – Trincea d’asfalto è infatti un film unico in quanto ispirato addirittura ad una canzone. Un brano parodistico di musica country (Convoy di CW McCall). Dei produttori decidono di chiamare Sam Peckinpah, il regista più dannato di Hollywood, e decidono di commissionargli un road movie fatto a modo suo. Un film ‘alla Peckinpah’ per il montaggio, per gli scontri tra una carovana di camion inseguiti dalla polizia di diversi stati quanto mai intenzionata a far rispettare ai camionisti i limiti di velocità.

Dalla parodia di un brano country, nasce una parodia dei road movie. Nell’originalità della genesi di questo film, c’è tutto il cinema di Sam Peckinpah: il protagonista Kris Kristofferson (già presente nel suo Pat Garrett e Billy the Kid), Burt Young (già visto in Killer Elite), Ali MacGraw (Getaway!) e soprattutto il reduce da Il mucchio selvaggio Ernest Borgnine, che guida la caccia ai terribili camion. Così folle da rasentare il postmoderno.

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Thelma & Louise (1991, Ridley Scott)

Un inno alla libertà non privo di elementi di critica sociale. L’inglese Ridley Scott gira una pellicola (su commissione) per quello che ormai è considerato un classico del cinema americano. Geena Davis e Susan Sarandon lasciando l’Arkansas verso un viaggio dalla destinazione e dell’esito incerto. Un film che sfrutta il tema del viaggio e delle strade del paese per una riflessione sull’animo femminile, sulle sue incognite e sui suoi sbocchi. Scott si cimenta anche con questo genere più intimista dopo i suoi successi di carattere fantascientifico (Blade Runner, Alien) e storico (I duellanti). La Davis e la Sarandon entrano invece nell’immaginario collettivo grazie alla sceneggiatura della scrittrice texana Callie Khouri. 

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Little Miss Sunshine (2006, Jonathan Dayton e Valerie Faris)

Marito, moglie ed un pulmino. Jonathan Dayton e Valerie Faris realizzano in coppia film spesso farseschi o dai toni leggeri. Little Miss Sunshine, però, attraverso la leggerezza si eleva al rango della riflessione sul viaggio di Steinbeck. Secondo cui è il viaggio in sé (e non la meta da raggiungere) il senso di tutto. Alan Arkin ritorna grande protagonista del cinema americano (vincendo un Premio Oscar come miglior non protagonista) e lancia una nuova leva di attori (Paul Dano e Toni Collette in primis – c’è anche Bryan Cranston in un piccolo ruolo) fino ad allora tenuti abbastanza ai margini del sistema cinematografico hollywoodiano. Un viaggio anomalo sia per il mezzo guidato (un pulmino giallo) sia per le motivazioni: portare una bambina a partecipare a un concorso di bellezza. L’America che si burla di sé stessa.

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Marrakech Express (1989, Gabriele Salvatores)

Ci sono gruppi di ascolto che (una volta al mese) guardano questo film. E' un road movie generazionale, girato da un regista d'avanguardia e di rito ambrosiano che (qualche anno più tardi) addirittura avrebbe vinto il Premio Oscar. In questo gruppo d'amici che vagano per l'Europa e per l'Africa senza un apparente senso, dovevano rispecchiarsi gran parte di quella generazione di 30enni che viveva gli ultimi anni degli '80 come un vero e proprio passaggio d'epoca e per le loro esistenze. Molti interpreti della pellicola (come Alberti) tuttora si stupiscono di quanto "Marrakech Express" sia entrato nell'immaginario popolare. In certi casi, non hanno nemmeno visto il film completo.

Istantanee appunto.

Film di transizione, come scritto.

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