Splinter Cell: Deathwatch, recensione: Sam Fisher sbarca su Netflix
Dal videogioco alla serie animata
Il ritorno di Sam Fisher e di un’icona Ubisoft
Vi ricordate di Sam Fisher? L’agente segreto della NSA partorito dalla mente creativa di Tom Clancy è stato per lungo tempo protagonista uno dei brand di punta di Ubisoft, Splinter Cell, prima che il declino generazionale lo condannasse a un inatteso esilio che perdura ormai da una decade. Mentre Ubisoft ha provato più volte a rinvigorire la serie, senza mai trovare la formula giusta da tradurre in un nuovo gioco al passo coi tempi, Sam ha trovato poca fortuna anche presso altri media. Persino in un periodo storico in cui parecchi franchise videoludici piantavano la loro bandierina a Hollywood (The Witcher, Cyberpunk, la lista ormai è infinita), Splinter Cell ha visto diversi progetti arenarsi, incluso uno cha pareva coinvolgere un nome grosso come quello di Tom Hardy. A riscattare il buon Sam Fisher dall’oblio è arrivata infine Netflix, offrendosi di produrre una serie d’animazione arrivata sui nostri schermi proprio in questi giorni, Splinter Cell: Deathwatch.
Da Metal Gear Solid a Tom Clancy: le origini di Splinter Cell
Non è un mistero che Splinter Cell e il suo protagonista nascano come una sorta di risposta al Metal Gear Solid di Konami sviluppato da quel talento sopra la righe di Hideo Kojima. Laddove MGS è esagerato, fumettistico, una soap opera antibellicista attraversata da un delizioso spirito camp, Splinter Cell è invece realistico, rigoroso, al passo coi tempi, immerso nella geopolitica più speculativa e soprattutto certificato dalla firma di Tom clancy, uno che di spy-story e tecnologia bellica se ne intende parecchio. Sam Fisher è un agente ben piantato nel presente, che si prende parecchio sul serio e incastrato nel mezzo di intrighi internazionali se non realistici, basati su tensioni contemporanee a quelle del mondo reale: pilastri che la serie Netflix ha saggiamente conservato per poggiarvi sopra la propria Splinter Cell: Deathmatch.
La trama di Splinter Cell: Deathwatch: un Sam Fisher più umano
Il Sam Fisher che incontriamo in Deathwatch è parecchio più anziano rispetto a quello che i videogiocatori erano abituati a controllare: un nemmeno troppo sottile riferimento alla lunga assenza sale scene? Chissà. Fatto sta che il nostro Sam è ormai un agente dormiente, ritirato a una vita civile e piuttosto isolata in una zona remota dell'Europa del est, potendo contare solo sulla compagnia di una placido cane. Il bucolico pensionamento di Fisher si interrompe bruscamente quando alla sua porta piomba Kirby, agente gravemente ferita in seguito a una missione finita male e costata la vita al suo partner. Seppur quasi morta, Kirby ha però con sé una parte di codice che potrebbe svelare le tracce di un imminente attacco terroristico, ma che al contempo mette lei e Fisher al centro dei radar di tutte le fazioni coinvolte.
Atmosfere e stile di Splinter Cell: Deathwatch: realismo prima dell’azione
Le atmosfere sono quelle del videogioco, più algide e fredde rispetto all’esagerazione di altri prodotti (come il già citato MGS ad esempio) e si riflettono in una regia e in una fotografia che si godono i ritmi lenti, i piccoli gesti, i momenti di riflessione prima che l’azione deflagri. Quello della ricerca del realismo è un punto fermo della saga che la serie Netflix efficacemente e felicemente fa sua, rendendo di fatto Splinter Cell: Deathwatch un prodotto fruibile da tutti, anche da chi non ha mai sentito parlare di Sam Fisher: la struttura della serie pesca a piene mani dalle situazioni più classiche dello spy thriller e chiunque sia a proprio agio col genere non faticherà troppo a riconoscere la grammatica e gli stilemi del genere, anche senza sapere nulla della vita passata dell’agente anziano e barbuto intorno a cui tutto pare ruotare.
Un adattamento solido, ma con qualche limite
Quest’approccio, decisamente comprensibile nell’ottica di un adattamento di un franchise finito in naftalina negli ultimi 10 anni e mai capace di ritagliarsi un po’ di spazio anche al di fuori del settore dei videogiochi, è perfettamente comprensibile, ma porta con sé anche alcuni rischi. Il primo, nonché quello più concreto, è quello di apparire un po’ come un prodotto generico. E in effetti, in totale onestà, si potrebbe sostituire Fisher con uno a caso dei tanti agenti segreti che affollano il genere e la serie funzionerebbe ugualmente. Ma, di nuovo, è un limite legato al franchise e che la serie si porta dietro, senza tuttavia spingere troppo per creare un’identità: persino le tre luci verdi del visore ottico sono usate col contagocce. Al netto di queste critiche lecite, tuttavia, Splinter Cell: Deathwatch getta lo spettatore nel mezzo di un intrigo internazionale, dall'intrigante sapore europeo, che lentamente si dipana tirando infine i fili dei tutti gli indizi sparsi: otto episodi da una ventina di minuti circa ciascuno, ben costruiti sul filo della tensione continua, con i momenti di quiete che sono un tesissimo preludio all’arrivo in scena dell’azione.
Animazione e regia in Splinter Cell: Deathwatch: il tocco di Derek Kolstad
E proprio l’azione, dal punto di vista dell’animazione, segna il punto più alto della serie: non a caso lo showrunner è Derek Kolstad, sul cui curriculum si trovano John Wick e Nobody. Lo stile scelto è molto diverso dalle tendenze attuali, lontano dagli slanci di Spiderverse o KPop Demon: Splinter Cell: Deathwatch trova saggiamente una propria dimensione in uno stile molto più europeo, in qualche modo vicino al rotoscope utilizzato per A Scanner Darkly: poche linee, molto eleganti, riempite da colori pieni, che animano movenze quanto più fluide e naturali possibile. Si paga qualcosa in termini di espressioni facciali, ma nulla che pregiudichi la possibilità di godersi una serie solida, ben scritta, ben animata, che coglie lo spirito del franchise e provava proporsi come qualcosa di nuovo, senza seguire il filone più popolare del momento. Peccato che abbia goduto di poca promozione, lasciando ancora una vota Sam Fisher in quell’ombra da cui attende il suo momento da troppo tempo.