Gen V, la recensione della stagione 2: la luce oscura sotto la maschera degli eroi
Più cupa, violenta ed emotiva, tra propaganda, traumi e guerra.
Con la seconda stagione, Gen V amplia con decisione l’universo narrativo di The Boys, riaffermandosi come una satira feroce e lucidissima del nostro presente. Guidata da Michele Fazekas, rimasta unica showrunner dopo l’uscita di Tara Butters, la serie dimostra di essere ben più di un semplice spin-off. Se la prima stagione raccontava l’adolescenza armata di rabbia e contraddizioni, questa nuova incarnazione segna un passaggio netto: l’innocenza è ormai perduta, le ferite restano aperte e all’orizzonte si profila lo scontro definitivo tra Super e umani. Un salto di maturità che rende la narrazione più cupa, ma anche più stratificata, capace di preparare il terreno a un finale che promette di intrecciarsi con la serie madre. Ecco la recensione della stagione 2 di Gen V.
- La trama
- Il sangue come linguaggio (e come eredità)
- Un’università che custodisce i propri fantasmi
- Patriota è ovunque
- Più emozioni, meno cinismo
- Satira, social e spettacolo
- Mistero e tensione ben dosati
- Conclusione
La trama di Gen V 2
Nella seconda stagione di Gen V, Marie Moreau e i suoi compagni tornano alla Godolkin University, ma l’atmosfera è radicalmente diversa dopo i drammatici eventi che hanno sconvolto il campus. Patriota governa ormai l’America con un’autorità assoluta e soffocante, mentre la nuova guida dell’istituto, l’enigmatico Dean Cipher, trasforma la scuola in un vero campo d’addestramento militare, plasmando i giovani Super come strumenti di guerra.
In questo contesto, segnato da propaganda ossessiva e slogan inquietanti come “Make America Super Again”, il gruppo scopre l’esistenza di un progetto segreto legato alle origini della Godolkin: un esperimento capace di riscrivere per sempre il fragile equilibrio tra umani e Super.
La narrazione assume toni più cupi ed emotivi rispetto alla prima stagione, mettendo in luce il peso delle perdite, il dolore delle scelte e la crescente ambiguità morale dei protagonisti, sospesi in un limbo dove i confini tra eroi e cattivi diventano sempre più labili.
Il sangue come linguaggio (e come eredità) in Gen V 2
Il sangue continua a essere la firma visiva e narrativa di Gen V 2, ma non si limita a una funzione estetica: diventa un vero linguaggio simbolico. Ogni esplosione di violenza racconta storie di traumi irrisolti, identità in frantumi e ideologie imposte, trasformandosi in una metafora della società contemporanea, dove la propaganda si maschera da verità assoluta e i giovani vengono addestrati a combattere ancor prima di comprendere il motivo.
In questo scenario prende forma il nuovo preside della Godolkin University, interpretato da un magnetico Hamish Linklater: figura rassicurante solo in apparenza, capace di manipolare con il sorriso mentre persegue un disegno segreto. La sua fede incrollabile nella superiorità dei Super lo rende al tempo stesso carismatico e inquietante, facendo di lui uno dei personaggi più complessi e riusciti dell’intera stagione.
Un’università che custodisce i propri fantasmi
Se la prima stagione aveva costruito le basi del microcosmo di God U., la seconda lo smantella pezzo dopo pezzo, riportando a galla segreti e contraddizioni sepolti. Gen V scava nelle fondamenta dell’istituto, trasformandone i corridoi in luoghi infestati non solo da studenti e professori, ma dai fantasmi stessi della sua storia. Il passato dei fondatori diventa parte integrante della narrazione, ampliando la trama e collegandola in modo organico alla quarta stagione di The Boys.
Il legame con la serie madre è solido e credibile, mai appiccicato con forzature. Camei e riferimenti sono disseminati con misura, arricchendo il worldbuilding senza indulgere nell’autoreferenzialità: piccoli frammenti che, più che distrarre, consolidano la sensazione di trovarsi all’interno di un universo narrativo coerente e in continua espansione.
Patriota è ovunque in Gen V
Nei corridoi della Godolkin University si respira l’aria pesante di un regime in piena ascesa. Lo slogan “Make America Super Again” domina cartelloni e notiziari, mentre i media piegano la realtà alle direttive di Patriota, ormai simbolo di un potere assoluto e incontestato. La parabola distopica della serie si intreccia con la nostra cronaca quotidiana, evocando in maniera trasparente l’era Trump e le sue derive.
Gen V non si limita a evocare propaganda, fake news e lavaggi del cervello: li smonta con ferocia, li analizza dall’interno e li restituisce in forma iperbolica e disturbante, costringendo lo spettatore a fare i conti con un presente che somiglia fin troppo alla finzione.
Più emozioni, meno cinismo
Rispetto alla prima stagione, Gen V 2 compie un salto emotivo deciso: la serie è più intensa e più dolorosa, ma anche più capace di guardare con empatia ai propri personaggi. Marie, Jordan, Emma, Cate e Sam si trovano ad affrontare il peso della perdita, del lutto e delle colpe personali, in un percorso che li costringe a fare i conti con responsabilità troppo grandi per la loro età. Le amicizie si incrinano, gli amori si complicano e i legami, pur diventando più profondi, si rivelano fragili come vetro.
La crescita dei protagonisti è concreta e palpabile, sostenuta da interpretazioni convincenti: Jaz Sinclair (Marie) conferma la sua centralità con una prova intensa e sfumata, mentre Lizze Broadway (Emma) bilancia con naturalezza leggerezza e malinconia. La chimica tra i personaggi è sempre credibile, mai artificiosa, e accompagna una narrazione che, stagione dopo stagione, si fa più matura e consapevole.
Satira, social e spettacolo nella stagione 2 di Gen V
La critica sociale resta il cuore pulsante della serie, ma in questa stagione si concentra con ancora più forza sul ruolo dei social media. Gen V mostra come la fama possa essere creata a tavolino, manipolata e trasformata in merce di consumo, al punto che la realtà diventa un flusso continuo di dirette, hashtag e strategie di marketing virale. I giovani Super non sono solo studenti o combattenti: sono influencer, soldati e celebrità allo stesso tempo, intrappolati in un sistema che li trasforma in brand prima ancora che in persone.
Questa ambiguità li rende inevitabilmente vulnerabili: vittime del meccanismo che li esalta, prima ancora che carnefici di un mondo che non concede scampo a chi resta nell’ombra.
Mistero e tensione ben dosati
La componente thriller si conferma uno degli elementi più riusciti della stagione. Il mistero che circonda il “programma segreto” è costruito con intelligenza, attraverso una trama che alterna momenti di suspense, rivelazioni calibrate e colpi di scena capaci di sorprendere senza mai risultare artificiosi. I nuovi antagonisti, mai ridotti a semplici figure di contorno, portano con sé ombre e inquietudini che arricchiscono la narrazione, lasciando nello spettatore il desiderio costante di scoprire di più. Il risultato è un crescendo narrativo solido, che tiene alta la tensione fino all’ultimo episodio.
Recensione Gen V 2: conclusione
Gen V 2 si conferma come una delle produzioni più solide e ambiziose dell’universo di The Boys. Coraggiosa, politicamente tagliente ed emotivamente coinvolgente, la serie intreccia horror, satira e racconto di formazione con una maturità rara nel panorama televisivo contemporaneo.
Nel sangue che macchia le aule, nei muri che si sgretolano e nei corpi che deflagrano, la serie ci ricorda che crescere è sempre un atto doloroso e che, nell’era della propaganda e delle verità distorte, essere eroi significa, prima di tutto, imparare a sopravvivere.
I primi tre episodi della stagione 2 debuttano su Prime Video mercoledì 17 settembre 2025 (clicca qui per iniziare il tuo periodo di prova gratuito).