Barrier ci porta ai confini della comunicazione

Una storia di confini, incomprensione e... alieni?

Barrier ci porta ai confini della comunicazione

Quando fonda Panel Syndicate nel 2013, Brian K. Vaughan è già uno sceneggiatore di successo: sul suo curriculum compaiono, tra le altre cose, una graphic novel per Vertigo osannata dalla critica (L’orgoglio di Baghdad), un paio di stagioni da produttore per la serie Lost e il successo planetario come Saga, pubblicato da Image Comics. Panel Syndicate è una piattaforma online attraverso cui Vaughan consente ad altri autori di pubblicare opere in digitale, mantenendo il 100% dei diritti e lasciando al lettore la facoltà di fissare un prezzo per lui equo: anche $0 vanno bene se non te la passi bene. Di tanto in tanto, però, è Vaughan stesso a serializzare una sua storia su Panel Syndicate e Barrier (portata da Bao a Lucca) viene proprio da lì.

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La trama di Barrier

La formula è la stessa del precedente successo che aveva dato il là a Panel Syndicate, ovvero The Private Eye, elegante spy story futuristica portata in Italia sempre da Bao qualche anno fa. Il partner in crime di Vaughan alle matite è Marcos Martin, illustratore spagnolo, co-fondatore di Panel Syndicate e reduce dai successi su The Amazing Spider-Man e Daredevil. Ai colori c’è ancora una Muntsa Vicente, anche lei spagnola, il cui tocco aveva caratterizzato The Private Eye, ma raggiunge in Barrier forse il suo apice. E ancora, la distribuzione a episodi, serializzata in cinque diversi episodi. E il formato orizzontale, concepito per la lettura panoramica della pagina sugli schermi, che Bao traduce in un bellissimo volume cartonato

Barrier ci porta ai confini della comunicazione

La Barrier del titolo è il celebre muro, o meglio, il muro più celebre nei tempi recenti, quello che corre tra il Messico e il sud degli Stati Uniti, elevato per fermare l’immigrazione clandestina, linea di demarcazione più simbolica che efficace tra l’occidente ricco e il resto del mondo in via di sviluppo, tra l’ala padronale del capitalismo globale e le rimesse della servitù. A nord della recinzione, più precisamente a Pharr, Texas, si trovano le terre rimaste a Liddy. Per quanto appaia essere la persona più ragionevole nel raggio di diversi chilometri dalla sua tenuta, Liddy è convinta che il suo terreno venga calpestato nottetempo da alien (termine che in USA si usa tanto per i visitatori dallo spazio profondo, quanto per gli immigrati, con cui Vaughan furbescamente gioca). E poi, ovviamente, se chi viene da fuori lo fa per rovinare con droga e violenza la nostra idilliaca società, questi alien devono essere per forza membri delle gang latine che quotidianamente - sempre a suo dire - arrivano a portare violenza e disordine in quel regno di illuminismo e raziocinio che risponde al nome di Texas. 

Aver ritrovato al suolo una testa di cavallo mozzata in una pozza sangue misto a sabbia desertica non deve aver fatto altro che rafforzare le sue convinzioni. A farne le spese è Oscar, migrante in fuga da quelle stesse bande che Liddy pensa scorrazzino sul suo zerbino, sfuggito rocambolescamente da un inferno in terra in un angolo di Honduras per finire accucciato in piena notte in una pozzanghera, nel nulla del Texas, come una torcia puntata un fucile tra gli occhi. Liddy aveva ragione, anzi, non immagina ancora quanto avesse ragione.

Dialoghi muti 

Le barriere sono muri, che non lasciano passare le persone, e nemmeno le idee. Quest’ultime, se lasciate dentro un recinto, non possono fare altro che indurirsi, diventando convinzioni, assiomi scollegati da riscontri fattuali, verità aprioristiche che non siamo più in grado di mettere in discussione. E Vaughn si diverte un sacco a giocare con questa deriva tipicamente umana e particolarmente tipica della nostra epoca: è evidente, Liddy si aspetta di trovare degli alien, immigrati illegali sulle sue proprietà, invece quello che la aspetta è un comitato di benvenuto di veri alien, apparsi sopra la sua testa, lesti a trascinare lei e Oscar a bordo di una nave per finalità ignote, ma molto probabilmente dolorose..

Barrier ci porta ai confini della comunicazione

Ma è a quel punto che Vaughan alza la posta e arriva a ciò di cui vuole parlare davvero. Quello di Liddy e Oscar sulla nave aliena è un triangolo: ci sono gli altri dallo spazio profondo con un linguaggio che fa sanguinare le orecchie umane (letteralmente), c’è Liddy col suo inglese e le sue convinzioni e poi c’è Oscar, col suo spagnolo e nessuna certezza in tasca. Almeno lui ce le ha delle tasche: Liddy è nuda, spaventata, sicura sia tutta colpa di Oscar, e infreddolita da matti. È un gesto a erigere il primo ponte tra lei e il suo involontario e spaesato compagno di sciagura, un gesto che non ha bisogno di parole, universale in ogni società: una giacca offerta a chi ha freddo. 

Se il Sam Bridge di Kojima si aggira per il continente americano e quello australe costruendo strade per riunire un’umanità frammentata e sparpagliata, Barrier è una metafora costruita all’interno di un meccanismo narrativo in scala ridotta, ma identico per scopo. Per aumentarne la portata e l’efficacia, noi lettori siamo posti nelle stesse condizioni di Liddy, incapaci di comprendere il linguaggio alieno e altrettanto spiazzati di fronte allo spagnolo senza traduzione usato per tutti i dialoghi di Oscar e per le scene ambientate al sud del confine con gli States. 

C’è un livello sotterraneo e molto fumettistico in tutta la vicenda: noi, come i personaggi, abbiamo una comprensione probabilmente parziale o addirittura minoritaria della componente scritta del racconto. Come loro, non possiamo far altro che dare un senso alle azioni che vedono i nostri occhi. Ed è difficile immaginare un’artista più adatto a questa impresa di Marcos Martin. Lo stile del disegnatore spagnolo è preciso, lindo, sempre chiaro nella messa in scena. I suoi volti, dagli eleganti rimandi kirbiani, raccontano emozioni con poche linee, con una precisione e una varietà da far dimenticare l'assenza di testi. Il formato orizzontale gli consente di mettere su tavola vignette ampie, larghe, di enorme respiro quando necessario, utilizzate per imporre il ritmo. Le aperture rallentano, lo sguardo può vagare, mentre i colori per lo più piatti Muntsa Vicente delineano un’atmosfera quasi liquida, rarefatta, dove sembra aleggiare perennemente un punto di domanda come sopra a una scena diretta dai fratelli Cohen. E proprio come piace alla coppia di registi americani, l’imponderabile arriva e la coppia Martin/Vicente si fa trovare comunque pronta, dando forma e colore a esistenze che sfidano le capacità di decifrazione della realtà del nostro limitato cervello terrestre.

Barrier ci porta ai confini della comunicazione

In quell'ammasso di grasso e sinapsi, oltre a un istinto di sopravvivenza che nella vasta tradizione sci-fi ha già sorpreso numerose specie extraterrestri, c’è un ricettore dell’umanità altrui spesso offuscato dalle convinzioni in muratura. È un processo lento quello dello sgretolamento che Vaughan mette in scena rimbalzandoci tra il qui e ora e il passato, a volte senza distinzioni tra dove finisca l’uno e inizi l’altro, applicando anche a noi lo stesso trattamento che le entità extraterrestri riservano a Liddy e Oscar. Eppure, senza poter far troppo affidamento sulle parole, il progressivo disvelamento l’uno all’altro, che da spettatori viviamo come flashback che esplodono improvvisi, avvia il rispettivo riconoscimento. 

Libero dai vincoli di una casa editrice (non che si faccia problemi, parleremo di Spectator in un altro articolo a breve), Vaughan si tuffa in una storia apertamente politica (alla faccia di quelli che il fumetto non deve immischiarsi), che usa esplicitamente le figure retoriche della fantascienza per dare voce alle paure sul domani imminente, funzione che il genere assolve egregiamente fin dal suo concepimento. E volete sapere la cosa più divertente: Barrier è un fumetto iniziato nel 2015 e concluso nel 2017. Il che dice qualcosa sulla sopravvivenza al tempo di talune storie, ma anche sulla potenza della narrativa di genere (a cui il fumetto appartiene a pieno titolo) come strumento di decifrazione del presente. 

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