Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

Abbiamo connesso l'Australia ma ne sarà davvero valsa la pena?

A quasi sei anni di distanza dal divisivo primo capitolo, Hideo Kojima è pronto a immergerci nuovamente nelle suggestive e desolate atmosfere del suo universo con Death Stranding 2: On the Beach. Atteso per il 26 giugno 2025 in esclusiva su PlayStation 5, questo sequel è stato preannunciato non come una semplice continuazione, bensì come una vera e propria evoluzione delle tematiche e delle meccaniche che hanno reso il predecessore un'opera tanto discussa. Abbandonate le lande degli Stati Uniti, l'avventura di Sam Porter Bridges si sposta questa volta tra i deserti del Messico e le vaste distese dell'Australia, in una nuova missione per conto di una nuova organizzazione, la Drawbridge, guidata da Fragile. L'obiettivo è ancora una volta quello di connettere un mondo frammentato, ma se il primo gioco celebrava la necessità del legame umano, il secondo, nato e plasmato durante l'isolamento della pandemia globale, si interroga su una questione più ambigua e profonda: avremmo davvero dovuto connetterci?

Come da tradizione per le opere di Hideo Kojima, anche Death Stranding 2: On the Beach si ammanta di un'aura di mistero e di un'estetica cinematografica curata nei minimi dettagli. Il cast, che vede il ritorno di Norman Reedus, Léa Seydoux e Troy Baker, si arricchisce di nuovi volti noti come Elle Fanning, l'italiano Luca Marinelli e il regista George Miller, promettendo sulla carta un'altra performance corale di grande impatto emotivo. Lo stesso autore ha rivelato di aver rimaneggiato in modo sostanziale la sceneggiatura a metà dello sviluppo, spinto dalla volontà di creare un'opera non "convenzionale" ma capace di polarizzare e stimolare una riflessione profonda nel giocatore. Ci sarà riuscito? Scoprite la domanda a questa risposta nella nostra recensione.

Death Stranding 2, una narrativa convoluta e mal distribuita

Partiamo subito svelando l’elefante nella stanza: narrativamente, Death Stranding 2 è un irrispettoso e convoluto disastro. Un flusso di coscienza che non tiene conto del pregresso costruito con il gioco originale per seguire una sua distorta direzione, frutto con molta probabilità di quel rimaneggiamento sopra citato. Non mi spingo nei dettagli della trama per ovvi motivi, il che rende difficile mettere nero su bianco un pensiero ben motivato a riguardo, ma non trovo altro modo di descriverlo se non così. A carattere generale, ritengo che Kojima abbia da sempre una scrittura pesante e artificiosa, con dialoghi spesso goffi e innaturali, colpi di scena che vorrebbero stupire ma sono mal esposti o ridicoli per la maggior parte; il suo è un modo di narrare contorto, confusionario, privo di spessore nella quasi totalità dei personaggi, con situazioni senza senso, in molti casi buttate lì per non essere più trattate oppure risolte in uno schiocco di dita, e una totale, irrimediabile incapacità di gestire i ritmi narrativi e la distribuzione delle informazioni. Problemi che da Metal Gear Solid 4 si sono mostrati sempre più evidenti, fino a convergere nel primo Death Stranding che pure è stato in grado di offrire una trama più “solida” rispetto al suo sequel.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

Death Stranding 2 riprende le redini della storia quasi un anno dopo, con Sam che cerca di rifarsi una vita assieme a Lou dopo essersi dato alla macchia, perché aver risparmiato il suo BB andava contro le direttive della Bridges. Inevitabilmente, però, gli toccherà rimettersi in gioco come corriere per connettere prima il Messico e poi, in seguito alla manifestazione dei geo-varchi conseguente la riconnessione degli Stati Uniti, l’Australia. Nel suo viaggio sarà supportato ancora una volta da Fragile, ora a capo della neonata Drawbridge in sostituzione della Fragile Express, e da un intero cast di nuovi personaggi che andremo a scoprire man mano. Non mancheranno ovviamente le insidie del caso, tra MULI, Creature Arenate e una ben nota conoscenza che risponde al nome di Higgs. L’obiettivo di Sam è connettere definitivamente tutto il mondo spingendo alla manifestazione dei succitati geo-varchi, così da permettere gli spostamenti tra i diversi continenti. Va da sé che una tale possibilità porterebbe a una sorta di “rivalsa” dell’umanità nei confronti del Death Stranding, grazie a un livello di connessione e movimento superiori a qualsiasi momento storico.

Se le premesse possono sembrare chiare, è ancora una volta nello svolgimento che l’impianto narrativo ne esce con le ossa rotte. Superato il prologo e raggiunta l’Australia, la trama subisce una stagnazione prolungata fino all’ultimo quarto di gioco circa, dove come sempre Kojima infila di tutto e di più tra monologhi interminabili, colpi di scena che non avendo una base a supporto risultano deboli e informazioni che si sarebbero potute e dovute distribuire con maggior oculatezza con nel corso delle cinquanta e più ore necessarie a vedere i titoli di coda. Nel mezzo, senza capo né coda, si presentano situazioni che restano sospese o trovano una quasi immediata risoluzione o, ancora, non hanno il minimo peso narrativo nonostante premesse che potrebbero suggerire altrimenti. Nessuno dei personaggi inediti, fatta eccezione per uno il quale però, ancora una volta, trova rilevanza durante la conclusione, ha davvero spessore e, anzi: la maggior parte è messa lì con l’unico scopo di portare avanti la trama, ossia la peggior sorte che può capitare a un personaggio. Essere un mero espediente narrativo che non andrà davvero a evolversi assieme al resto della, ripeto, convoluta narrazione ma verrà utilizzato solo nei punti necessari - fallendo poi nel creare il dramma che in alcuni casi dovrebbe concorrere a restituire. Questo destino, questo essere né più né meno del deus ex machina di turno, tocca anche ad alcuni personaggi già noti, che Death Stranding 2 richiama all’azione nel supportare Sam durante il suo lungo viaggio.

Parlando, ancora una volta senza anticipare nulla, del personaggio di Higgs in sé, è il più narrativamente vilipeso. Se nel primo capitolo emergeva come un antagonista interessante, seppur a tratti macchiettistico, il sequel lo riduce a una barzelletta continua, con una caratterizzazione che poco invidia agli antagonisti del Marvel Cinematic Universe (e non vuole certo essere un complimento). Interagire con lui mi ha lasciato con l’amaro in bocca ogni singola volta, una sensazione che presto è diventata frustrazione e fastidio nel solo vederlo a schermo. Tutto è stato grottescamente esagerato fino a renderlo una brutta parodia e non l’uomo che nell’originale Death Stranding, pur al netto delle generali fallacie narrative, aveva saputo opporre una valida minaccia e farsi apprezzare nella sua follia. Non mi spingerò oltre ma nel complesso di una trama insalvabile e che neppure il paio di guizzi sul finale risolleva, lui è il personaggio che più mi ha deluso sotto qualunque aspetto. Mi è sempre stato difficile considerarlo la nemesi di Sam (il protagonista più apatico e passivo mai visto negli ultimi anni, complici anche le discutibili capacità attoriali di Norman Reedus), però nel primo capitolo il suo spazio se l’era ricavato. Qui si è deciso di buttare tutto via.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

La cosa peggiore di tutte, però, è stato riconoscere, una volta arrivata ai titoli di coda, che Death Stranding 2 è un grandissimo retcon. Kojima dimostra ancora una volta di non tenere in considerazione quello che lui stesso scrive, inseguendo in continuazione la sorpresa, lo stupore e la messa in scena di un’esperienza migliore della precedente, sacrificando nel processo la coerenza narrativa - come ha dichiarato in un’intervista con Kotaku del 2013.

“The most important part is writing something that is fun, something that is impressive, something that is better than it was before, so sometimes in the interest of doing this, of having a better experience, we sacrifice some consistencies in the story. I hope the fans and players understand this, but I need to write the best we can, even if there are some small discrepancies.”

Peccato che, nel caso di Death Stranding 2, non si possa affatto parlare di “some consistencies” bensì di interi blocchi che vengono presi, stravolti, quando non completamente ignorati, per lasciar spazio a nuove informazioni e impianti narrativi in evidente contrasto con quanto dichiarato nel gioco precedente. Non c’è coerenza, non c’è coesione, soltanto la volontà di incastrare nuove idee, e poco importa se nel farlo si distrugge malamente la precedente struttura; così come non sembra interessare rispettare il tempo che i giocatori hanno dedicato al primo gioco (questo si ripercuote anche nel gameplay), se queste fondamenta di storia vengono sgretolate con tali facilità e disinteresse. Il risultato è arrivare alle battute finali stanchi, poco inclini ad accettare l’ennesima spiegazione tirata fuori dal cilindro, o una conflittuale rivelazione risolta in un battito di ciglia perché il resto della macchina deve continuare a muoversi. E se, per l’appunto, nel finale possono emergere due o tre momenti persino toccanti, si perdono nel mare di inconsistenze sopportate fino a quel momento: colpiscono, certo, ma sono un fiammifero nella totale oscurità di una trama che certo non domandava decine e decine di ore per essere risolta. Anche perché, la domanda attorno alla quale ruota l’essenza del gioco almeno in termini di pubblicità (Should we have connected?) non trova davvero risposta. Tecnicamente, un interrogativo del genere a seguito della connessione degli Stati Uniti dovrebbe portare con sé implicazioni negative, conseguenze alle quali potenzialmente non c’è rimedio e dovrebbero far “rimpiangere” quanto fatto. All’atto pratico non c’è niente, nella storia, che si riconnetta a questa domanda e possa dunque offrire risposta, o almeno un contradditorio.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

Non ho inoltre potuto fare a meno di notare l’eccessiva autoreferenzialità. Non è certo la prima volta che Kojima cita Metal Gear Solid, in un modo o nell’altro, quasi a ricordarci chi sia e cos’abbia creato: non sono contro i cosiddetti easter egg, sia chiaro, tuttavia in Death Stranding 2 i richiami sono così tanti e così palesi da diventare stucchevoli. Non sono un’autocelebrazione, a questo punto, quanto un rimarcare l’incapacità di Kojima di staccarsi dalla saga che l’ha reso l’autore riconosciuto che è oggi; non è capace di lasciar andare, pertanto da un Neil che palesemente richiama Solid Snake fino a citazioni dirette, passando per strizzate d’occhio molto poco discrete e un impianto ludico che guarda da molto vicino The Phantom Pain, viene da chiedersi cosa sia Death Stranding 2: se un parco giochi in cui riversare di tutto e di più, o un gioco, un sequel, con una propria identità. La risposta mi sembra piuttosto evidente giocando.

Chiudo la disamina dal punto di vista narrativo con due ultime riflessioni. La prima riguarda il coinvolgimento nella trama che, già minato dalla scrittura, non viene supportato nemmeno dalla recitazione: tutto risulta piatto, espressivamente (al netto della restituzione fedelissima dei volti dei personaggi) e in termini attoriali. L’unico a emergere davvero è, ironia della sorte, Higgs perché Troy Baker è una garanzia indiscussa in tal senso. Tutti gli altri paiono davvero leggere un copione, anziché recitare e far immergere il giocatore negli eventi, fatta eccezione per Fragile in certi casi, alla quale Léa Seydoux riesce a dare più voce - in ogni senso. La seconda riguarda il Corpus, ossia il compendio ispirato a piene mani all’Active Time Lore di Final Fantasy XVI: dal punto di vista della cosiddetta Banca Dati, e nello specifico dei personaggi, risulta incredibilmente manchevole, nel senso che le informazioni su di loro si interrompono a un certo punto e non è chiaro se si aggiorneranno mai (allo stato attuale, non lo sono). Laddove gli eventi di trama sono ripercorsi con una certa profondità e precisione, le schede dei personaggi si interrompono a un certo punto, impedendo a chi eventualmente volesse di ripercorrerne le vicende all’interno di Death Stranding 2. Non mi è chiaro se sia una scelta voluta o qualcosa legato a una patch D1, ma se così fosse sarebbe bizzarra come cosa poiché la trama viene correttamente riassunta e seguita fino alla fine.

L'insostenibile peso dell'essere corriere

Il gameplay non ha subìto sensibili stravolgimenti rispetto al primo. Se da un lato è un bene, perché ci si ritrova in un contesto familiare, dall’altro scricchiola perché la struttura ludica di Death Stranding è sempre stata innegabilmente pesante: Kojima ha preso le cosiddette “fetch quest” e ci ha costruito attorno un’esperienza, che tuttavia si reggeva grazie a tre diversi elementi. La novità, ossia l’approccio inedito al concetto di spostamento e consegna nell’andare da punto A al punto B; l’effetto dopamina dovuto alla meccanica dei “mi piace” e alla sensazione di far parte di una comunità in continuo crescendo i cui membri si supportavano reciprocamente, sebbene in modo asincrono; la storia, perché un gameplay come quello di Death Stranding non avrebbe mai potuto reggere, alla lunga, se non ci fosse stato qualcosa a motivare il giocatore - in questo caso la volontà di scoprire i segreti del Death Stranding, dei BB, dello stesso Sam e di salvare Amelie. In Death Stranding 2 il primo punto viene a mancare, perché appunto l’impianto è già visto pur al netto delle modifiche che scopriremo nel corso della recensione; il secondo c’è ancora ma perde un po’ del fascino iniziale, perché abbiamo già vissuto questa sensazione di comunione, quindi la scarica di dopamina si percepisce ancora ma non ha la stessa forza rispetto al primo gioco; il terzo, come si è capito dalla disamina sulla storia, crolla completamente e si trascina dietro il gameplay, perché senza un impianto narrativo soddisfacente è difficile rimettersi in gioco allo stesso identico modo. Non siamo davvero motivati e la narrativa stagnante e convoluta non aiuta.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

Scendendo più nel dettaglio, Sam ha ora un arsenale ampliato: più fucili, pistole, varie ed eventuali, tutti o quasi impostati di default con proiettili non letali (salvo rare eccezioni come armi molto pesanti, che sono mortali a prescindere per gli esseri umani). La stragrande maggioranza di queste è inoltre adatta per ferire tanto le persone quanto le CA, rendendo le armi comodamente versatili a costo di sacrificare quel rischio che dava un po’ di brivido al primo Death Stranding - un discorso che vale anche per la modalità sicura attiva di default, perché credo nessuno attiverà mai volontariamente quella letale, sapendo il rischio che comporta qualora ci si scordasse di averlo fatto. La scelta di andare un po’ a depotenziare il rischio e agevolare il più possibile il giocatore, in un gioco che di per sé non è mai stato complicato, fa il paio con la discutibilissima possibilità di saltare le boss fight: considerato che si contano sulle dita di una mano, e che Sam riemerge a piacere senza rischi per il giocatore al di là di una potenziale valutazione inferiore, scegliere di finire in game over così da non perdere tempo e saltare i pochi momenti movimentati del gioco non ha alcun senso, a mio avviso. E parlo da persona che ha giocato tutto Death Stranding 2 alla difficoltà più alta, proprio per godermi un’esperienza brutale che alla fin fine non c’è stata, perché come già detto è un’esperienza a carattere generale molto semplice.

Le boss fight in particolare ricalcano quelle del primo, quindi sono piuttosto monotone e, nel caso della difficoltà massima, più lunghe perché i nemici hanno più salute o sono più resistenti (non sono stata in grado di determinare quale delle due). Lo svolgimento però non è affatto dissimile da quanto già visto e non richiede alcuna strategia al di là di colpire gli evidenti punti deboli. Vale non solo per le CA ma anche per altri nemici come i nuovi mecha spettro, creature meccaniche in grado però di spostarsi attraverso il catrame come fossero Creature Arenate, e per il personaggio di Neil, che affronteremo spesso in modo speculare a quanto fatto nel gioco originale con Cliff Unger. I contesti e alcuni elementi di gameplay variano leggermente ma il cuore di questi combattimenti è identico, solo a mio avviso meno coinvolgente rispetto a Cliff, mentre un particolare incontro con Neil, giocato alla massima difficoltà, l’ho trovato mal bilanciato e frustrante. Tirando le somme, però, l’idea di far saltare le boss fight in favore di una continuità narrativa (che ripeto, non c’è perché la storia è stagnante) non mi trova d’accordo e non c’entra niente il voler aprire l’esperienza a quanti più giocatori possibili: fermo restando che questi scontri sono veramente pochi, nel monte ore richiesto dal gioco, sono anche molto molto semplici al netto della difficoltà selezionata, e persino banali se paragonati al resto dell’esperienza che invece potrebbe dare grattacapi.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

Parlando di esplorazione, anche in questo caso abbiamo qualche strumento in più a disposizione ma la strategia ricade nell’uso dei soliti noti: generatori, ponti, eventuali box di consegna e soprattutto le strade. Personalmente, se dovessi darmi un titolo, non sarebbe Corriere Magistrale, Grande Messo o qualcosa del genere bensì ANAS, perché questo ho fatto per la maggior parte del tempo: costruire strade, così da facilitare il mio viaggio e, di riflesso, quello degli altri. Le strade sono l’elemento un po’ di rottura dell’esperienza, perché una volta che inizi a costruirle ti rendi conto che preferisci spendere del tempo su quelle, anziché pensare a metodi alternativi di traversata: soprattutto perché, salvo rare eccezioni, le strade collegano tutti i punti fondamentali dell’Australia o comunque ti agevolano nell’arrivare poi a quelli più defilati. Giocando ho avuto la sensazione che, molto più rispetto al primo, le strade in Death Stranding 2 rompessero l’esperienza: grazie a loro non ho dovuto temere le piene causate dalle forti piogge (che non sono comunque limitanti come sembrano), i varcosismi (scriptati), le CA (talmente assenti, o relegate a poche specifiche aree, che spesso capitava mi dimenticassi della loro esistenza) o i MULI stessi perché anche passando di fianco a un loro accampamento mi bastava premere a tavoletta per lasciarmeli alle spalle senza difficoltà.

Certo, occorre molta pazienza per costruire questa rete stradale interconnessa, e una volta esaurito tutto il possibile si deve proseguire con le missioni di trama, tuttavia non toglie che siano il vero elemento di rottura dell’esperienza. A differenza del primo, dove in molti casi mi sono trovata a costruire ponti o teleferiche (ancora ricordo la mia complessa rete per salire in montagna, fare il giro e scendere dall’altro lato), qui l’ho fatto pochissimo e solo in casi di estrema necessità. Corazzando il mio Tri-Cruiser o, ancor meglio, il mio fuoristrada, avendo cura di portare con me almeno un CCP per costruire eventuali generatori di emergenza, non ho mai dovuto temere le difficoltà eventuali nell’andare fuori tracciato, o nell’incontrare le creature chirali che dovrebbero rappresentare un pericolo per le nostre batterie e invece si possono superare senza neppure pensarci.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

A proposito delle minacce più concrete, anche in questo caso ho colto un netto sbilanciamento rispetto al primo Death Stranding; una scelta che porta l’esperienza più vicina a The Phantom Pain, come poi dichiarato da Kojima stesso, e ancora una volta mi ha lasciato la sensazione di come Death Stranding 2 fosse privo di una vera identità. Le Creature Arenate sono molto meno presenti e relegate a precise aree che si riconoscono a colpo d’occhio, oppure a specifici momenti di trama: guardando il paesaggio, è possibile riconoscere subito (oltre che dalla mappa, che comunque segna con un’icona le zone di CA) dove potenzialmente potrebbero essere - in genere aree molto ampie, poiché a questo giro è stato deciso di suddividere le CA in tre classi e per quella inedita, le Vedette, servono spazi estesi in cui manifestarsi data la loro grandezza e vista acutissima. Fatto sta che per ore e ore e ore ne ho incontrate talmente poche, dopo un paio di punti scriptati, che davvero ho rischiato di dimenticarmi esistessero in favore, invece, dei MULI e dei loro avamposti in cui molto spesso ci viene chiesto di infiltrarci - e di nuovo, sembra di impersonare Snake anziché Sam. A livello concettuale, più che pratico, perché il buon corriere rimane comunque molto goffo da gestire e lo stealth non ha la stessa finezza di Metal Gear Solid pur con le piccole migliorie in termini di equipaggiamento, però la percezione resta.

Tanti avamposti umani, molte meno CA e anche i mecha spettro sono più presenti a livello di storia che non di minacce casuali durante l’esplorazione. Come dicevo, lo stealth è leggermente migliorato soprattutto grazie alla possibilità di ottenere un fucile da cecchino a tranquillanti silenziato, per sbarazzarci delle minacce da una distanza di sicurezza e senza potenzialmente allertare nessuno. Persino quando i nemici si dotano di elmetti, rendendo necessaria molta reattività da parte nostra per impedire loro di venire a cercarci, il fatto che il tempo rallenti quando mettiamo a segno un colpo in testa aiuta tantissimo a riallineare la mira e metterli al tappeto senza farli reagire. Un approccio che tutto sommato ho apprezzato, prediligendo io lo stealth, al netto di un livello di sfida sempre tarato verso il basso. Quando si tratta di ingaggiare scontri a fuoco veri e propri, l’aggiunta di nuove strumentazioni torna utile ma complessivamente il livello è quello di un blando TPS, senza particolari finezze; per quanto riguarda invece il corpo a corpo, resta del tutto dimenticabile data la goffaggine di Sam e l’impossibilità di prendere bene di mira un nemico a meno che non si usi la corda come strumento difensivo/offensivo. Interessante la possibilità di mettere a segno dei parry per esporre il nemico ma l’attacco di opportunità che potrebbe seguire è troppo impreciso per andare sempre a segno. Inoltre, mentre siamo impegnati a incaprettare un nemico durante uno scontro aperto, niente vieta agli altri di colpirci - non esistono, cioè, i frame di invincibilità per una mossa che una volta avviata è fuori dal nostro controllo. Il che, in caso di scontri corpo a corpo diretti, porta a menare le mani un po’ alla cieca, magari con l’ausilio di una particolare tipologia di guanti che rilascia scariche elettriche e quindi stordisce i nemici più in fretta.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

In termini di consegna/spostamento, la novità più grande è rappresentata dalla monorotaia: si attiva in specifiche stazioni sparse lungo il territorio, previa consegna di materiali, e andando poi a ripararne le varie parti si crea un percorso omogeneo tra le varie stazioni o avamposti (quando adibiti allo scopo). La monorotaia permette di muovere enormi quantità di carico, nonché di produrne di un tipo specifico in cambio di cristalli chirali, e a questo carico possiamo aggiungere sia il nostro mezzo sia noi stessi, se vogliamo. Il lato negativo del viaggiare personalmente con la monorotaia è che non si può saltare il viaggio, ce lo si deve sopportare in maniera passiva dall’inizio alla fine; questo per via del fatto che, in barba alle leggi della fisica, possiamo saltare giù dalla monorotaia in qualunque momento. Una possibilità non poco bizzarra, se si considera che usando i punti di collegamento della monorotaia come teleferiche, quindi rimanendo molto più vicini al suolo, si possa saltare giù solo in specifici punti; mi è parsa un po’ una contraddizione ma ho raramente utilizzato la monorotaia come mezzo di trasporto anche per me, preferendo spedire il materiale e poi raggiungere la destinazione per conto mio. Il costo in termini di materiali è più generoso rispetto alle strade, consentendo di creare dei percorsi alternativi di consegna con maggior frequenza, questo grazie anche alla diversità di materiali necessari: le strade hanno bisogno di metallo e ceramica, oltre che dei cristalli chirali, mentre la monorotaia di leghe speciali e resina. Sarebbe d’altronde stato impensabile chiedere la stessa tipologia di materiali.

Non è però l’unico mezzo di spostamento rapido per Sam. La presenza della nave DHV Magellan, che è poi la base operativa del gioco, permette di spostarsi nell’immediato verso la quasi totalità dei prepper o degli avamposti (fanno eccezioni alcuni in posizioni difficili). Questo comporta due cose: da un lato, una maggior facilità nel fare le consegne, se lo si desidera, dall’altro il contrappasso per cui la valutazione andrà alla Drawbridge e non a Sam dato l’uso di un mezzo alternativo. In termini pratici vuol dire che le diverse caratteristiche di Sam non beneficeranno di alcuna esperienza, mentre le stelle di connessione dei singoli avamposti o prepper continueranno ad aumentare senza problemi: l’uso della DHV Magellan potrebbe dunque essere valido per l’endgame, oppure per consegne delle quali vogliamo sbarazzarci in fretta al netto della valutazione non assegnata a noi. Sono poi stati inclusi i teletrasporti attraverso la Spiaggia, negli avamposti, oppure una loro versione portatile da costruire ovunque sia necessario; esattamente come quando era Fragile a portarci dove volessimo, in Death Stranding, non possiamo portare nulla al di fuori di noi stessi. Eventuale equipaggiamento verrà spostato nell’armadietto personale e aspetterà il nostro ritorno. Possiamo dunque decidere di volta in volta come gestire gli spostamenti e il carico, dipende se diamo rilevanza alla progressione di Sam o alle stelle di connessione. I teletrasporti tramite la Spiaggia non sono così utili, allo stato attuale, ma dipende dal singolo giocatore.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

A proposito di progressione, Death Stranding 2 offre ora un nuovo sistema di miglioramento, diviso in due parti: le statistiche, che aumentano gradualmente man mano che Sam compie determinate azioni (muoversi furtivo, attraversare terreni sconnessi, trattenere il fiato e via discorrendo) fino a un livello massimo di 5; ciascun livello comporta migliorie in genere esposte in percentuale, che vanno a perfezionare l’abilità specifica. Per fare uno dei tanti possibili esempi, le armi hanno tre opzioni che migliorano di livello in livello: velocità di ricarica, oscillazione del mirino e rinculo, tutte migliorabili fino a circa il 50%. Stesso discorso per le restanti statistiche, che aumenteremo senza quasi rendercene conto; l’aumento eventuale di livello avviene in automatico quando si raggiunge un qualsiasi avamposto, dove il sistema farà da sé una somma delle nostre azioni, dell’esperienza ottenuta e andrà, nel caso, ad aumentare il livello di competenza per una statistica specifica. Vengono poi gli aggiornamenti APAS, ossia una serie di abilità sbloccabili aumentando di livello le statistiche del Social Strand Service (Corriere, Bridge Link, Altruismo, Combattimento e Furtività), il che rende essenziale consegnare i carichi senza l’ausilio della DHV Magellan. I punti abilità da spendere si ottengono invece aumentando le stelle di connessione con i vari avamposti, così da creare un sistema di progressione interconnesso e capace di offrire, grazie ad alcune di queste abilità, buoni vantaggi a carattere generale. Non tutte risultano essenziali o davvero di supporto, per cui possono essere lasciate in secondo piano, ma complessivamente è un buon supporto alle nostre consegne. Diciamo che il peso nell’economia di gioco non è troppo influente ma fa piacere averlo a sostegno.

Complessivamente, al netto di tutte le aggiunte o migliorie sparse, il gameplay nelle sue fondamenta è rimasto invariato, e come dicevo all’inizio lo vedo come un bene e un male assieme. La positività del tornare in un contesto familiare cozza con l’inevitabile pesantezza di un impianto ludico che perde i vantaggi della novità e dell’entusiasmo intrinseco del primo capitolo, per fare quasi esclusivo affidamento su una trama che tuttavia non traina e non motiva come in precedenza. Questo, anche a causa di una gestione del ritmo narrativo terribile, porta a una ripetitività ben più opprimente e pesante dell’originale Death Stranding, poiché non si può fare a meno di pensare costantemente “ma io questo l’ho già fatto, l’ho già vissuto, perché me lo stai facendo rifare identico”. Identico è la parola chiave, in questo caso, poiché avamposti e prepper hanno bene o male lo stesso livello di piattezza del gioco precedente: le interazioni con i personaggi sono minime, la loro eventuale profondità inesistente al netto di forse rarissime eccezioni e soprattutto le missioni di consegna iniziano a ripetersi dopo breve tempo, facendo alzare gli occhi al cielo quando bisogna andare a recuperare lo stesso carico smarrito di due missioni prima, nello stesso identico punto. Non bastano nemmeno le nuove aggiunte come i varcosismi, le tempeste di sabbie o le piene dei fiumi a regalare varietà o difficoltà nel percorso di consegna: i primi mi sono parsi parecchio scriptati, non avendone io subiti se non in precisi momenti di trama, le seconde sanno essere insidiose ma l’odradek riesce a guidarci senza problemi, mentre le piene, pur avendo assistito a parecchie, non hanno mai rappresentato un vero ostacolo sia perché ho costruito molte strade, sia perché anche quando dovevo passare sopra i fiumi avevo comunque un ponte ad aiutarmi a farlo indenne. Non ci si poteva aspettare uno stravolgimento, perché l’essenza di Death Stranding è il viaggio per consegnare e/o connettere, ed è qui che sarebbe dovuta entrare in gioco con maggior intensità la storia; invece non succede, lasciandoci in balìa di un loop che se è risultato pesante la prima volta, ma con un margine di tollerabilità, qui non fa il minimo sconto.

Death Stranding 2 è tecnicamente magistrale

Dal punto di vista tecnico, Death Stranding 2 è ineccepibile. I personaggi sono restituiti con una chiarezza disarmante nei loro dettagli e i paesaggi messicano e australiano offrono degli scorci indimenticabili, soprattutto i secondi. Stiamo comunque parlando di un mondo post apocalittico, nel quale la quasi totalità degli insediamenti umani è stata spazzata via ed è la natura a prevalere, nemmeno così rigogliosa, perciò la differenza con i precedenti Stati Uniti è meno sentita di quanto si pensi - al netto di alcune evidenti differenze come il deserto o una parte montana più estesa e insidiosa. Si tratta in ogni caso del meritevole spaccato di un mondo morto che cerca di tornare alla vita e una vera miniera d’oro per i virtual photographer. Per quanto riguarda le prestazioni, vale lo stesso discorso: mai un’incertezza, mai un problema di frame rate, tutto ha sempre girato alla perfezione anche nelle situazioni più concitate. Il Decima Engine funziona non alla grande, di più.

Death Stranding 2 - Recensione di un viaggio fin troppo gravoso

La colonna sonora è, ancora una volta, composta da ottime tracce che si presentano nel momento in cui raggiungiamo precisi punti nel corso della trama e ci accompagnano fino alla meta successiva o, se la prendiamo troppo lunga, finché dura la canzone. Ho tuttavia notato una cosa che un po’ mi ha fatto storcere il naso: arrivare troppo vicini a un avamposto porta la musica a svanire per non ripresentarsi mai più. Poiché sono tracce che sblocchiamo per l’uso dopo aver finito quello che eravamo chiamati a fare, non si può nemmeno utilizzare la funzione lettore musicale per creare la nostra personale playlist di viaggio - che, al contrario, non viene inficiata dall’essere più o meno vicini agli avamposti. Si tratta di un dettaglio piccolo, tuttavia avrei comunque preferito che, esattamente come quando si utilizza il lettore, anche nel caso delle tracce inedite queste non andassero svanendo avvicinandosi troppo agli avamposti. Detto questo, Woodkid è per me una tra le scelte più azzeccate per questa nuova colonna sonora.

Death Stranding 2: On The Beach

Versione Testata: PS5

7.5

Voto

Redazione

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Death Stranding 2: On The Beach

Death Stranding 2 è un sequel narrativamente deludente e ludicamente troppo simile al primo per riuscire a spiccare come il suo predecessore: la logica perdita del fattore novità e un effetto meno impattante della meccanica dei “mi piace”, unita a una storia che vive troppo di retcon e spiegazioni mancate per dare le giuste motivazioni a proseguire, rendono il peso dell’intera struttura di gameplay difficile da sopportare rispetto al gioco precedente. Abbiamo già visto e fatto la quasi totalità di quello che siamo (ri)chiamati a fare in Messico e soprattutto in Australia, e se in precedenza potevano esserci diversi fattori ad alleggerire il nostro viaggio, rendendolo più tollerabile, adesso la loro pesantezza si sente tutta. Forse nemmeno una narrazione più coesa e molto meno convoluta, nonché meglio distribuita, avrebbe potuto rendere l’esperienza completamente digeribile, ma senza dubbio avrebbe agevolato le decine di ore necessarie per vedere la fine.

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