Per Uno Rosso ci aspetta un Natale muscolare, militarizzato e molto macho: la recensione
Uno Rosso è un film a malapena passabile, che però fornisce un sacco di spunti di riflessione affascinanti su come racconta il Natale e usando quali intepreti.

Non devono essere ore facili a casa Dwayne Johnson. La vecchia roccia di Hollywood, sempre ipersteroidea nell’aspetto, si prepara a scontrarsi col botteghino dopo mesi in cui la stampa le ha sostanzialmente remato contro. Dal set di Uno Rosso infatti sono giunte voci poco rassicuranti rispetto a un comportamento poco professionale del suo protagonista, che avrebbe causato un aumento vertiginoso dei costi di produzione fino a 250 milioni di dollari.
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L'esoso modello Netflix è alla base di Uno Rosso
La realtà dei fatti è che però oggi produrre un film di questo tipo costa queste cifre, investite in gran parte a staccare assegni sostanziosi a star di prima fascia per convincerle ad annoiarsi sul set di film con personaggi che hanno già interpretato in pellicole migliori, che li hanno resi così famosi. A sdoganare Chris Evans adorabile carogna per esempio è stato Ryan Johnson in Knives Out. Da lì l’ex Captain America ci ha preso gusto e non ha più smesso. Qui interpreta un ex ragazzino grassoccio e disilluso, la cui abilità sembra essere trovare chiunque e qualsiasi cosa, truffare come riflesso istintivo e essere sgradevole ma mai in maniera davvero irritante.
Va peggio a J.K. Simmons, costretto a pomparsi per interpretare il Babbo Natale di turno: palestrato, rassicurante, monolitico, che fa sollevampento pesi con The Rock, odia i macaron e ha sempre una pacca sulla spalla rassicurante per tutti. Quando viene rapito a poche ore dal Natale il suo capo della sicurezza in pre-pensionamento, interpretato da The Rock, si allea col piccolo truffatore di Chris Evans per ritrovarlo e salvare la consegna dei regali.
Seppur a tratti confuse e spesso irrisolte, le idee Uno Rosso le ha: spesso le prende in prestito da altri film e franchise, a partire dai combattimenti che strizzano più di un occhio a quelli di Ant-Man e a un tono che vorrebbe avere la levità e la brillantezza di un Guardiani della Galassia. Nello stesso contesto si sono visti film ben più pigri e noiosi. Sfortunatamente per il film - diretto dal fedelissimo di The Rock Jake Kasdan e scritto dal habitué del franchise di Fast & Furious Chris Morgan - gli aspetti più interessanti sono le suggestioni che costruisce, le associazioni a cui allude.

Il Natale secondo Uno Rosso non potrebbe essere più statunitense
Com’è il Natale 2024 secondo Uno Rosso? Una sorta d’involontario incubo statunitense, in cui il Polo Nord è diventato un grigio, indistinto skyline di grattacieli in cui si lavora 364 giorni l’anno per garantire una performance impeccabile, in cui il Rosso ha bisogno di un intero reparto militarizzato che ne presidi la sicurezza e gli spostamenti. Un’azienda globalizzata che difende il suo presidente con un apparato paramilitare, che grazie alla tecnologia tiene traccia dei suo clienti, pardon, destinatari, grazie a una Lista (dei cattivi) capace di aggiornarsi in tempo reale e con ogni singola azione del malcapitato bambino che non vuole essere buono.
Uno Rosso è così involontariamente statunitense da fare quasi tenerezza, vedi l’inconfondibile amore per gli acronimi parlanti di gusto militare: la forza di sicurezza di chiama ovviamente ELF (Enforcement, Logistics, and Fortification), il reparto con cui collabora è il MORA (Mythological Oversight and Restoration Authority). A capo del quale c’è la povera Lucy Liu, parcheggiata nella storia nell’eventualità che nasca un franchise multicapitolo. Sembra divertirsi di più Kiernan Shipka nei panni della bizzarra villain del film.
Altro capitolo che merita un approfondimento è quello dedicato alla montagna di product placement che il film riesce a infilare nelle sue due ore di durata. Oltre ai marchi di abbigliamento e prodotti cosmetici, alle macchinone e agli orologi, nella trama vengono nominati e integrati tutta una serie di brand di giocattoli, a partire dalle macchinine Hot Wheels, per fare un esempio. È come se qualcuno avesse voluto testare l’appetibilità dei brand di giocattoli di cui detiene in diritti. L’aspetto sconfortante è che sembra essere questo il vero lascito di Barbie, che nonostante gli incassi stellari non sembra essere stato in grado di postare un singolo progetto commerciale ideato e diretto da una donna nell’agenda degli studios. Dall’intera vicenda i produttori di Hollywood e ditorni paiono essere giunti alla conclusione che “possiamo provarci con le macchinine al prossimo giro”.

Tra esplosioni e pupazzi di neve ricreati con una brutta CGI, Uno Rosso ci prova a salvare il suo Natale e in parte ci riesce. È uno dei rari film a cui il passaggio su grande schermo, con l’attenzione dello spettatore concentrata sul film al 100% non fa forse bene, così come la libertà con cui la sua star protagonista plasma il suo personaggio.

















