Nel Giappone di Monster, senza verità e pace: la recensione del film di Hirokazu Kore-eda

Il regista giapponese meno amato in patria torna a raccontare incomprensioni e oscurità di un paese che tendiamo spesso a idealizzare: la recensione di Monster di Hirokazu Kore-eda.

Nel Giappone di Monster senza verità e pace la recensione del film di Hirokazu Koreeda

Nessuno è profeta in patria, dice l’adagio. È un modo di dire che si applica molto bene a Hirokazu Kore-eda, regista nipponico molto seguito a livello internazionale dai cinefili e dai festival ma che in patria fatica a conquistare il cuore dei connazionali. Non è difficile capire perché: Kore-eda ha un talento unico per guardare oltre e dentro la facciata educata, rispettosa e gentile che la società giapponese proietta verso l’esterno, fotografandone impietosamente ipocrisie e fallacie.

Dopo l’insoddisfacente Broker girato in Corea del sud e La verità in Francia, il regista torna in patria, dirigendo per la prima volta da più di 30 anni un titolo da lui non scritto. Firmata da Yuji Sakamoto, la sceneggiatura di Monster riprende la struttura di un classico del cinema giapponese: Rashomon di Akira Kurosawa.

Ripercorriamo la stessa storia in loop, ogni volta rivivendola dal punto di vista di una persona differente, scardinando uno a uno equivoci e apparenze che oscurano l’identità del vero mostro di questa storia, a cui allude il titolo.

Gallery

Continua a leggere la recensione di Monster:

Di cosa parla Monster

Monster si apre con un incendio e si chiude con un’alluvione in un contesto urbano nipponico, sul limitare di una zona boschiva. Ad andare a fuoco è un hostess bar, a venire travolto dalle acque invece un settore collinare dove si trovano i vecchi binari del treno e un vagone abbandonato.

A questi due eventi partecipano a titolo diverso tutti i protagonisti: una madre single, il figlio che frequenta le scuole medie, il di lui compagno di classe e il professore che insegna a entrambi.

La prima volta che sentiamo questa storia a raccontarcela è la madre di Minato (Sakura Ando), che vive con crescere preoccupazione la consapevolezza che il figlio prova disagio per qualcosa e gli tiene nascosta parte della sua vita. Su insistenza della madre, Minato le confesserà di essere stato preso di mira da un insegnante.

L’incontro tra la madre, la preside e il professor Hori sembra confermare i sospetti della protagonista, spiazzata però da un’affermazione del professore schivo e per nulla pentito: in realtà il bullo è Minato.

La storia riparte e la realtà raccontata da Hori è molto differente, ma ancora lontana dal disvelare l’identità del mostro e dal dipanare con precisione che rapporto leghi i due ragazzini protagonisti: chi è il bullo e chi l’oppressore?

Solo al terzo racconto della storia, che finalmente ripercorre la vicenda dal punto di vista di Minato, mette tutte le tessere del puzzle al posto giusto, confermando quanto la verità possa essere un concetto soggettivo, multiforme e inaffidabile.

Nel Giappone di Monster, senza verità e pace: la recensione del film di Hirokazu Kore-eda

Cosa funziona e cosa no in Monster

Monster conferma un incepparsi nel meccanismo di solito perfetto del cinema di Hirokazu Kore-eda, che ha portato il regista a vincere la Palma d’Oro a Cannes con Un’affare di famiglia. In avvio il film è molto meccanico. Ogni inquadratura volta a posizionare nella storia elementi che si riveleranno cruciali nelle fasi più avanzate del racconto si rivela subito come tale e l’attrice Sakura Ando si dà molto da fare per rendere più umana e naturalistica la sua madre single, con dialoghi davvero poco ispirati e forzati.

Man mano che il film progredisce però Kore-eda trova il passo e riesce a far funzionare una sceneggiatura che la fa inutilmente complicata perché, di fondo, non è così complessa da giustificare tre narrazioni progressive degli stessi eventi. Per tematiche e toni cupi siamo vicini a Il terzo omicidio, uno dei film più complessi e oscuri di Kore-eda.

Oltre alla piaga del bullismo, Monster racconta vite molto sofferte di minori presi di mira a scuola e oggetto di violenze a casa, di adulti che nella loro meschinità finiscono per rivelare solo la propria, profonda solitudine e talvolta genuina cattiveria.

A livello visivo però, Kore-eda rimane un regista di razza, capace di trasformare una finestra coperta di fango su cui cade una fitta pioggia in una delle scene più belle viste a questo Festival di Cannes.

La risoluzione alla fine non è così inaspettata, ma regala una svolta davvero toccante al film, grazie alla bravura sconfinata dei giovanissimi protagonisti Hinata Hiiragi e Soya Kurokawa. Impossibile sul gran finale non pensare a Close di Lukas Dhont, altro film recente che attraverso le ottime prove dei giovani protagonisti esplorava il tumultuoso rimestio di sentimenti di adolescenti incapaci di mettere a fuoco i propri sentimenti e non immuni a una devastante ondata di senso di colpa e rimpianto.

Nel Giappone di Monster, senza verità e pace: la recensione del film di Hirokazu Kore-eda

6.5

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Nel Giappone di Monster, senza verità e pace: la recensione del film di Hirokazu Kore-eda

 

Così come già fatto da Close, Monster racconta quanto possa essere mostruoso, appunto, affrontare i propri indefinibili sentimenti da adolescenti, specie se calati in una società che, seguendo la logica del bullismo, spinge le persone a fare del male per non essere prese di mira. Molto forzato in avvio, ma Kore-eda riesce a sbrogliare la matassa. Ottime le interpretazioni dei giovani Hinata Hiiragi e Soya Kurokawa.