La recensione de Il contrattacco: l'esercito messicano contro il capo di un cartello della droga
Un viaggio fra crimine e violenza

Su Netflix è disponibile il film action messicano Il contrattacco (Contraataque il titolo originale), diretto da Chava Cartas, regista che si è fatto le ossa con le serie TV Gossip Girl: Acapulco e Rosario Tijeras
La trama de Il contrattacco
Il capitano Armando Guerrero (Luis Alberti), leader di un’unità d’élite dell’esercito messicano ispirata ai Boinas Verdes, è impegnato in una pericolosa missione per liberare degli ostaggi da un potente cartello della droga. Dopo il successo dell’operazione, la squadra di Guerrero si trova coinvolta in un’imboscata mortale organizzata dai sicari del cartello, che trasformano una una giornata ordinaria in una lotta per la sopravvivenza. Fra vendette, corruzione e politica, Guerrero si troverà a combattere su più fronti…
I Murciélagos
In Messico, "Murciélagos" (che in spagnolo significa "pipistrelli") è il nome di un gruppo criminale associato al traffico di droga, alle estorsioni e ad altre attività illegali. Questo gruppo, pur non essendo una delle organizzazioni più conosciute come il cartello di Sinaloa o il cartello Jalisco Nuova Generazione, è stato comunque coinvolto in operazioni criminali in diverse regioni del Paese.
Ma ne Il contrattacco, il termine viene usato in uno dei contesti più popolari: come soprannome per squadre di polizia o gruppi di operazioni speciali, che fanno riferimento alla loro agilità e capacità di agire in condizioni difficili, come i pipistrelli che volano di notte.
E qui ci troviamo proprio di fronte a due criminali che giurano vendetta contro i “murciélagos” guidati dal capitano Guerrero.
Il film, girato principalmente a Valle Hermoso, nello stato di Tamaulipas, è ambientato nella parte nord-est del Paese che confina a nord con gli Stati Uniti, in particolare con il Texas, e si affaccia sul Golfo del Messico a est.
Tamaulipas è noto per la sua economia legata principalmente all’industria petrolifera, all’agricoltura e alla pesca, ma anche per essere una zona di transito molto importante per il traffico di droga e diverse altre attività criminali. Questa la doverosa premessa per contestualizzare la trama del film, diversamente poco comprensibile.
Quando il caos vince sulla trama
Prendetela come regola generale, se volete sopravvivere alla giungla dei contenuti Netflix: se la piattaforma non si prende nemmeno la briga di far doppiare un film, c’è quasi sempre un motivo. E no, non si tratta della volontà di offrirvi una raffinata esperienza in lingua originale. Quasi sempre si tratta di un modo molto educato per dirti ci guardarlo se proprio non troviamo nient’altro. E io, per ragioni di lavoro, ho trovato lui.
Già il titolo lascia intendere una certa impostazione muscolare e reattiva. Non si tratta, però, di un action adrenalinico in stile hollywoodiano, né di un poliziesco raffinato e crudo come quelli a cui ci hanno abituati i migliori registi sudamericani. Siamo invece di fronte a un film che cerca di parlare di corruzione, narcotraffico e vendetta, ma lo fa con una sceneggiatura talmente disordinata da rendere inizialmente difficile distinguere i buoni dai cattivi (e non è voluto) e i protagonisti dai figuranti.
Il film parte subito in quarta, con una squadra dell’esercito che finisce in un’imboscata.
Mentre dieci soldati vengono catturati, torturati e infine massacrati, per poi essere gettati in una fossa comune, noi cerchiamo di raccapezzarci senza un minimo di background. Il risultato? Scarsissimo coinvolgimento emotivo. La regola base del “mostra, non raccontare” qui si traduce in “mostra in fretta, e non spiegare mai”. In patria probabilmente non avranno problemi a capire la trama, qui è un po’ più complessa, la quesitone.
Se il film si fosse preso due minuti (letteralmente: due minuti) per farci conoscere i personaggi, forse la loro vicenda avrebbe avuto un altro peso. Invece ci troviamo subito immersi in un mondo dove la violenza è la norma, e le motivazioni – che pure esistono – vengono affastellate alla rinfusa nel corso della narrazione, rendendo difficile seguirne la logica. Peccato, perché la messa in scena è piuttosto affascinante.
Un mondo senza regole... O forse con troppe?
Il capitano Guerrero, teoricamente il nostro protagonista, è dipinto come un uomo d’onore, ma le sue azioni parlano un’altra lingua. Usa la forza bruta come risposta a semplici insulti, dando l’impressione che non esista alcuna regola morale o gerarchica a guidare il suo operato. È un problema non da poco, perché in un film di “guerra”, dichiarata o sommersa che sia, le regole del mondo narrativo sono fondamentali. Qui, invece, tutto sembra succedere un po’ a caso.
Il contesto è quello della lotta tra l’esercito messicano e un cartello della droga guidato da Josef Urìas, ma presto emergono altri personaggi e fazioni, tra cui due criminali motivati non dal business, ma dalla vendetta personale. Ah, e non dimentichiamoci i Murciélagos (sì, servirebbe cercare il significato preciso del termine nel contesto del film, di qui la mia premessa), mai spiegati al pubblico non messicano.
Uno dei difetti più evidenti del film è il montaggio. Le scene non seguono un ritmo coerente, né rispettano le tempistiche classiche per la costruzione della tensione. Le introduzioni dei personaggi avvengono quando è ormai troppo tardi per affezionarcisi o comprenderne le motivazioni, e la cronologia degli eventi è spesso confusa.
In particolare, l’inserimento di due donne coinvolte per puro caso nella vicenda (si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato) avrebbe potuto essere un ottimo spunto per aumentare il pathos e aggiungere un punto di vista civile in una narrazione altamente militarizzata. Peccato che la loro presenza sia più un’interferenza narrativa che una risorsa, priva di vero peso drammatico.
Uno degli elementi più disorientanti per uno spettatore europeo è l’assenza pressoché totale della polizia. La trama si gioca tutta tra narcotrafficanti e militari, con occasionali riferimenti all’ufficio del procuratore. Ma la catena di comando, le dinamiche legali, il funzionamento della giustizia... Tutto è lasciato in un limbo. Capire chi prende ordini da chi, o quali siano i limiti operativi dell’esercito, è impossibile. In una storia incentrata sul potere, questo tipo di confusione mina alla base la credibilità del racconto.
Nonostante tutto, va detto che Il contrattacco non è un disastro completo. La regia di Chava Cartas, pur con qualche scivolone, è solida. La fotografia, seppur non particolarmente innovativa, è efficace e restituisce bene l’atmosfera tesa delle missioni notturne e dei paesaggi immersi perennemente in un’assenza di luce. Perfino in pieno giorno. Anche alcuni attori fanno il possibile per dare profondità ai loro personaggi, ma senza un copione all’altezza gli sforzi sono abbastanza vani.
La sensazione, alla fine, è che Il contrattacco volesse essere un film di denuncia più che d’azione, un grido di rabbia contro la corruzione e il potere criminale che soffocano il Messico. Ma si perde nella fretta, nella mancanza di focus, e soprattutto in una scrittura che dimentica la cosa più importante: farci sentire dentro la storia.
Voto
Redazione

La recensione de Il contrattacco: l'esercito messicano contro il capo di un cartello della droga
Il contrattacco è il film action-thriller messicano di Netflix in cui un’unità speciale dell’esercito si batte contro il narcotraffico. Si tratta di un film girato piuttosto bene, con una fotografia cupa quanto basta, che avrebbe potuto raccontare molto, ma che ha scelto la scorciatoia dell’azione sopra la narrazione.
Una storia in cui tutto succede troppo in fretta e senza un ordine preciso, lasciando lo spettatore più confuso che coinvolto. E, come spesso accade con certi titoli Netflix non doppiati... C’era un motivo. Peccato, perché la seconda parte è nettamente superiore a quella confusione iniziale che non ci permette di entrare davvero nell’atmosfera necessaria.