I tradimenti, o forse solo gli sbadigli: Oh, Canada!, la reunion Gere-Schrader, è da dimenticare
Paul Schrader torna a lavorare con Richard Gere un quarto di secolo dopo American Gigolo. Una reunion da dimenticare, dove delude anche il giovane Jacob Elordi.

Stroncare un film di Paul Schrader è una faccenda parecchio spinosa. Da sceneggiatore e regista ha inanellato una serie tale di pellicole incomprese all’uscita e poi rivalutate col tempo che bisognerebbe sempre procedere con cautela quando gli si muove una critica. Chi scrive è già cascata in quest’errore nel 2017, quando bocciò First Reformed, non intuendone la potenza al primo colpo. Un film che nei fatti si è rivelato l’inizio del grande rinascimento del cinema schraderiano, aprendo un’ideale trilogia dedicata alla colpa e al perdono, caratterizzata da ottimi interpreti protagonisti e film molto originali, pur rimanendo nel solco dei temi portanti del cinema del regista.
Oh, Canada! prova a spostarsi in un’altra direzione e cambia decisamente passo e prospettiva rispetto al terzetto di film che l’ha preceduto (oltre al già citato First Reformed, Il collezionista di carte e il maestro giardiniere). Laddove negli ultimi anni il cinema di Schrader ha seguito da vicino una voce e un punto di vista in maniera lineare, raccontandone un presente che inevitabilmente finiva per rivelare una colpa del passato da espiare, I tradimenti è un mosaico e un prisma.
La colpa non è più un punto fisso in I tradimenti
Le colpe però rimangono e sono molte. Come suggerito dal titolo italiano, mutuato dal quello del romanzo da cui è tratto (I tradimenti di Russell Banks), Oh, Canada! racconta la storia di un uomo che confessa le proprie mancanze. Il film segue due linee temporali, intrecciandole. Regista documentarista di fama internazionale, Leonard Fife (Richard Gere) accetta di sottoporsi a una video intervista firmata da un suo allievo che poi diventerà la sua lunghissima confessione in quello che si rivela essere il suo ultimo giorno di vita.
Ce lo annuncia la voce fuori campo del figlio di Fife con cui si apre il film. Figlio di cui scopriamo la storia e i destini nel corso della seconda linea temporale, tortuosa, irregolare, che intesse a forza il passato tra i fili del presente.Consumato da una malattia che ne disintegra le ossa e ne mina la lucidità mentale, Fife ha deciso di voler rivelare all’amata moglie Emma (Uma Thurman) e al mondo la sua meschinità, i suoi tradimenti. Il film nei fatti racconta la sua rilettura della propria storia di successo, ripercorsa con estrema schiettezza, con brutale pessimismo cosmico, restituendo un suo ritratto nichilista.
I tradimenti del titolo sono innumerevoli, perché Fife si racconta come un uomo plasmato dalle fughe improvvise.Lascia due donne dietro di sé, tre figli prima che nascano (uno diventerà la voce narrante) e una nazione in guerra. La sua eroica diserzione dalla guerra del Vietnam come oppositore politico diventa nel suo racconto diventa l’ennesimo colpo di testa, l’ennesima fuga da chi non vuole essere, senza sapere nemmeno bene chi è. Persino il suo avvicinamento al cinema documentaristico più impegnato viene riletto come un’assoluta, fortunata casualità.
Paul Schrader si riunisce dunque al uno degli interpreti che hanno creato un personaggio simbolo della sua filmografia: Richard Gere, inquieto protagonista metrosessuale di American Gigolo. Qui invece Gere è uno scontroso, irascibile uomo che sente il fiato sul collo della morte e diventa ossessionato dal mostrare il lato di sé più marcio. Essendo un film di Schrader la religione c’entra tantissimo anche se non viene mai tirata in ballo: nei fatti Leonard desidera una confessione cristiano cattolica e sceglie la cinepresa come confessore, chiedendo egoisticamente alla moglie di assistere al suo racconto, anche se i procedimento la ferisce nel profondo.
Volutamente confuso, ma purtroppo anche molto noioso
Richard Gere qui diventa un Schrader alternativo e non si tira indietro nel prestarsi corpo e anima al devastante lavoro di disfacimento della morte. I capelli radi, la sedia a rotelle, i macabri pensieri sull’odore di farmaci e feci che emana il suo corpo, il chiodo fisso per il sesso e per i tradimenti, propri e altrui. Non è così complicato sentire dentro Fife un po’ dell’approccio ruvido e talvolta collerico di Schrader stesso.
A rendere più interessante il film c’è però l’espediente del narratore reso inaffidabile dalla malattia. Quanto della confessione di Fife - figura pubblica di cui sono ben noti e documentati i trascorsi - è verità nascosta e quanto delirio di una mente affaticata, confusa dai farmaci? Il film stesso si smentisce e confonde in più punti. Schrader sottolinea quest’inattendibilità alternando in maniera non intuitiva e lineare i due interpreti di Fife. Talvolta, anche se è giovane, a interpretarlo c’è Gere, altre volte è Jacob Elordi a incarnare Fife oltre i confini del suo passato. Il film passa dal bianco e nero al colore e spesso crea delle dissonanze nella sua continuità logica (cambiando colori di indumenti, stanze, la disposizione degli oggetti) per suggerire al pubblico in sala l’inaffidabilità di Fife.
Allora, dunque, qual è il punto di I tradimenti, se i tradimenti stessi potrebbero essere solo immaginari? A differenza dei tre film precedenti - i cui protagonisti erano alla ricerca di una redenzione tanto desiderata quanto a loro modo di vedere irrealizzabile - non è chiaro perché Fife s’imbarchi in questa demolizione della propria persona pubblica e privata.
A confondere ancora di più le acque di un film più che ambiguo, confuso, c’è il fatto che Gere è l’unico personaggio con una controparte più giovane a interpretarlo nel passato. Gli altri interpreti invece incarnano sé stesso nel passato e nel presente, con un effetto non particolarmente riuscito. Uma Thurman sembra sempre fuori posto nel ruolo della moglie leale e tradita e non ci viene mai davvero spiegato perché sia ancora lì. Lo stesso si può dire della sorprendente Penelope Mitchell, che interpreta ben più sottilmente due ruoli femminili ancillari nel film, vedendo in Fife qualcuno che vale la pena difendere, anche se il racconto che lui ci sta dando dice proprio il contrario.
Richard Gere convince, Jacob Elordi no
Se diamo retta a Fife, il racconto di Oh, Canada! è quello di un uomo che ha ottenuto tutto - professionalmente e umanamente - non meritando forse nulla, applicando strategiche fughe di campo quando c’era da metterci la faccia o prendersi delle responsabilità. Se diamo retta alle donne che ha tradito e agli allievi che ha formato, è un uomo buono dal brutto carattere che rischia di mettere in crisi la sua eredità artistica perché confuso dai medici. Da spettatori in sala invece verrebbe proprio da dire che - quale che sia la verità - Fife non ha in sé un briciolo del fascino disperato e rigoroso degli ultimi eroi penitenti del cinema di Schrader. Un po’ perché penitente non è (meschino era e meschino probabilmente è rimasto), un po’ perché davvero il film sembra costruito per risultare il più tedioso possibile.
A tratti, in alcune battute di Fife, si sente la solita, enorme capacità di Schrader di guardare alla natura umana senza ingentilimenti, raccontandola con franchezza rara. Sono però brevi guizzi in un film che ci fa chiedere attoniti quale sia la nostra colpa per subire un tale castigo. Oh, Canada! infatti però dell’enorme compassione che questa sua schiettezza di solito sottintende.
A partire dalla performance davvero incolore di Jacob Elordi, che ancora una volta ha per le mani il punto focale di una storia e invece riesce a malapena a trasmetterne il guscio esterno. Dovrebbe essere la sua performance a rivelarci se non perché almeno come Fife sia fuggito dalla sua patria e dalle sue donne, invece oltre all’azione pratica in sé, la sua recitazione rimane opaca, incapace di farci leggere dentro i suoi sentimenti, le sue intenzioni. A voler essere davvero cattivi si potrebbe dire che è la scelta perfetta per interpretare il giovane alter ego di Gere, che un quarto di secolo fa veniva parimenti tacciato di essere un belloccio senza profondità interpretativa.
Richard Gere qui una profondità interpretativa prova a crearla, ma è proprio il film che manca del tutto il bersaglio. Fife è respingente senza mai essere seduttivo, non è minimamente interessante né preso come uomo che si fraintende a causa della malattia né come persona che si è fatta volutamente fraintendere per coprire le proprie mancanze e meschinità.
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Oh, Canada - I tradimenti
Oh, Canada! ricrea un’intervista documentario alla Errol Morris per raccontare in maniera frammentaria, contraddittoria e ambigua la vita di professionista rispettato e marito amato che vuole reincasellarsi come traditore tout court, ma a emergere è un’incrollabile noia di fondo. Quello di Fife è un dubbio che non attanaglia, un mistero che non viene voglia di svelare. Oltre la sgradevolezza della superficie, non c’è un uomo di cui viene voglia di sapere altro e seguirlo per due ore è già un castigo sufficiente.