Gran Turismo, recensione: i gamer conquistano il mondo ma non il cinema

La vera storia di Jann Mardenborough, gamer di giochi di simulazione di guida divenuto pilota a Le Mans avrebbe potuto diventare un ottimo film, se solo Sony avesse pensato oltre al profitto. La recensione di Gran Turismo.

Gran Turismo recensione i gamer conquistano il mondo ma non il cinema

I videogiocatori faranno la stessa fine dei lettori di comics statunitensi? Se si ha più di 30 anni e si guarda su grande schermo un film come Gran Turismo, si ha questa distinta impressione. Infatti se si sono vissuti gli albori dell’epoca dei supereroi al cinema, fatti di film per lo più scadenti e con ambizioni modestissime in termini di racconto e di cinematografia, è facile capire che i videogiochi al cinema hanno un disperato bisogno di trovare il loro Tim Burton o il loro Sam Raimi. In altre parole, un regista capace e con una visione forte, che ami il soggetto di partenza e ci tiri fuori qualcosa di appagante dal punto di vista cinematografico. Uno capace di girare un film che porterà anche i non giocatori al cinema, dando qualcosa di forte e memorabile, d’impattante, anche in quest’ambito.

Neill Blomkamp non è Tim Burton né Sam Raimi. Regista capace lo è, ce l’ha dimostrato con District 9. Dal 2009 a oggi però la sua stella si è appannata, tanto che si ritrova, non si capisce quando volontariamente, a guidare un film biografico convenzionalissimo e poco ispirato come Gran Turismo. Blomkamp fa il suo: la regia, seppur non impressionante, riesce a rendere in maniera dinamica le scene in pista e su console, a restituire un po d’adrenalina agli spettatori.

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Manca però tutto il resto: un racconto, una visione, un’idea. Con l’aggravante di prendere un storia contemporanea, nuova, sorprendente come quella di Jann Mardenborough e declinarla come un vecchio film di tardi anni ‘90 o inizio millennio. Come i primi film Marvel appunto, sciatti, semplicistici, annoiati dalla loro stessa storia, interessati più che altro a batter cassa e a fare due soldi.

Gran Turismo, purtroppo, è esattamente questo: un film che dovrebbe raccontare un’incredibile storia vera orgoglio di tutti i games e che invece viene blandamente utilizzato come strumento di marketing indirizzato ai più giovani ma chiaramente scritto da chi la gioventù non la frequenta da parecchio, con un coinvolgimento emotivo pari a zero e poca voglia di fare qualcosa di bello o rilevante, anche solo per una piccola porzione di pubblico.

Continua a leggere la recensione di Gran Turismo di Neill Blomkamp:

La trama di Gran Turismo

Jann (Archie Madekwe) è un giovane inglese di Cardiff che non vuole seguire le orme del padre, ex calciatore professionista. Il mondo di Jann è quello dei motori ma, non avendo i soldi e gli agganci necessari per gareggiare nelle corse sin da giovanissimo, trascorre il suo tempo libero a perfezionare la sua tecnica giocando a Gran Turismo, il celebre simulatore sportivo di corse automobilistiche.

A Tokyo intanto l’affarista Danny Moore (Orlando Bloom) riesce a convincere Nissan a finanziare un’accademia per piloti provenienti dal mondo del gaming. L’idea è quella di rendere l’acquisto di auto da corsa di nuovo appetibile in una demografica - quella più giovane - che preferisce il joypad al volante, trasformando un gamer in un vero pilota professionista.

Jann viene così scelto per entrare nell’accademia, ma lo scarto tra simulazione e realtà non è indolore. A guidarlo nel perfezionamento su pista c’è un ex pilota divenuto meccanico e mentore, Jack Salter (David Harbour). Dapprima poco convinto dall’intera operazione, Jack scoprirà che in Jann si nasconde un autentico talento e lo guiderà al conseguimento della sua abilitazione da pilota professionista e nelle prime gare su pista.

Il mondo delle corse però si dimostrerà ostile a un nuovo arrivato il cui percorso è totalmente differente da quello dei professionisti. Il banco di prova fondamentale sarà la celebre 24 ore di Le Mans: un buon piazzamento permetterebbe a Jann di farsi prendere sul serio ed entrare nella storia delle corse automobilistiche.

Gran Turismo, recensione: i gamer conquistano il mondo ma non il cinema

Perché Gran Turismo è un brutto film

Tutti i limiti di Gran Turismo stanno nel titolo. Il film dovrebbe essere la storia di come il popolare franchise di simulazione di guida sportiva ha portato il giovane Jann Mardenborough a diventare un pilota vero e proprio, arrivando a iscriversi alla mitica 24 ore di Le Mans. Gran Turismo dovrebbe essere un mezzo, per quanto nobile, che aiuta l’eroea realizzare il suo sogno.

Invece il film s’intitola Gran Turismo e pone l’accento non tanto sulla bravura e la tenacia del suo protagonista, quando sulla qualità del videogioco. Jann diventa pilota perché Gran Turismo è un simulatore di guida così ben fatto da averlo reso in grado di allenarsi ben prima di arrivare su pista.

Così i primi 20 minuti vengono devoluti a raccontarci i buoni del film. Ovvero gli sponsor: il creatore di Gran Turismo per aver dato tramite il suo gioco una concreta possibilità a Jann e a tutti gli altri gamer del mondo di realizzarsi, Nissan che s’impegna senza batter ciglio nel progetto sopra le righe di portare un esperto videogiocatore di simulatori di corse automobilistiche in una gara vera, Sony perché gli over 40 non possono sopravvivere alla nostalgia che li attanaglia senza un Walkmann al loro fianco.

Così il protagonista Archie Madekwe, il giovane attore che interpreta Jann, diventa ospite di un film la cui missione è evidentemente fare una blanda, semplicistica campagna i marketing a un titolo che non ha bisogno di presentazioni per gli appassionati, rafforzando il branding di Sony, PlayStation e Nissan sul mercato. Se chiudete gli occhi e strizzate un po’ le palpebre, potete immaginare con facilità cosa si siano detti i vari produttori esecutivi e vertici aziendali quando hanno approvato il film. Pellicola che, va detto, è riuscita a ripagare il budget di 60 milioni di dollari che è costata, superando i 100 milioni di dollari d’incasso ancor prima di arrivare in Italia.

Gran Turismo, recensione: i gamer conquistano il mondo ma non il cinema

Gran Turismo però lascia però l’amaro in bocca perché è un’operazione tutta al ribasso: attori che hanno fatto del cinema di seconda fascia la loro casa (Orlando Bloom come uomo del marketing arrivista, David Harbour come burbero ma leale mentore) guidano un film che fa sempre la scelta più banale possibile, tanto che si riesce a concludere le battute prima che Jann Mardenborough le pronunci.

Il Me Too e la richiesta di una rappresentazione femminile più concreta e coerente non hanno lambito queste sponde, giusto per evidenziare quanto datato sia l’approccio della sceneggiatura. I tre personaggi femminili del film - una mamma e due possibili interessi amorosi per il protagonista - assolvono un ruolo meramente ancillare. Tifano per il protagonista e poi si fanno rispettosamente da parte, per lasciare lo spazio necessario per brillare a lui o, per meglio dire, agli sponsor.

Gran Turismo ha per le mani una bella storia di rivincita dei gamer, di cui non ha i mezzi per realizzare i propri sogni ma, grande alla tecnologia e alle console, ha una chance per farlo e la prende al volo, rischiando il tutto per tutto, affrontando pregiudizi e scetticismo. Potrebbe esser esaltante, se a qualcuno importasse davvero di raccontare questa storia. Invece il film si risolve in una trama sempliciotta, in un approccio blandamente machista, dimostrandosi più interessato a far fare bella figura agli sponsor che a far sognare ed esaltare il suo pubblico.

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Gran Turismo (film)

Rating: TBA

Durata: 0'

Nazione:

4

Voto

Redazione

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Gran Turismo (film)

Che Gran Turismo fosse un bel franchise lo si sapeva ben prima di mettere piede in sala per vedere questo film. Quando ne usciamo, cosa ci portiamo dietro? Forse solo la consapevolezza che manca ancora parecchio prima che qualcuno cominci a fare davvero sul serio con i videogiochi al cinema.