Frankestein è la creatura di Guillermo del Toro: mai davvero mostro, sempre umanissimo e personale

Il Frankestein di Guillermo Del Toro è una produzione sontuosa che ricorda il cinema di altri tempi: quello in grado di raccontare cosa ci rende umani e cosa mostri.*

Frankestein e la creatura di Guillermo del Toro: mai davvero mostro, sempre umanissimo e personale

Che Guillermo Del Toro sognasse da una vita di fare un suo adattamento filmico di Frankestein non è un segreto. Da quanto è diventato famoso a livello internazionale il regista non ha mai perso occasione di parlarne. Dopo essere stato toccato dalla profonda onestà di Mary Shelley nel raccontare sé stessa attraverso la creatura e i mostri (umani) che popolano il suo romanzo, Del Toro ha sostanzialmente tentato di fare la stessa cosa. Ci sono voluti tre decenni in cui ha pazientemente selezionato maestranze, attori e collaboratori e l’impegno economico di alto livello di Netflix, ma finalmente la sua visione ha preso forma, rispettando il suo obiettivo.

Cioè non quello di fare un adattamento necessariamente fedele al romanzo, ma di replicare approccio onesto e personale di Shelley nel raccontare le sue emozioni attraverso il dottor Frankestein e la sua creatura. C’è tutta l’anima di Del Toro nel risultato finale, tanto che finisce per ricalcare in più passaggi film come il suo Pinocchio animato. Il Frankestein del regista messicano è infatti vicino al religioso, s’interroga tanto su Dio che sull’uomo (dove sarà l'anima della creatura, chiedono a un certo punto al creatore), con la creatura che da subito è legata a un immaginario cristologico, issata su una croce per prendere via e poi inviata dal padre/creatore in mezzo agli uomini per comprenderne il dolore.

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Frankestein è l'anima spirituale antibellica di Del Toro

Il film si apre al Polo Nord, a bordo di una nave danese impegnata a esplorare la regione ghiacciata. Arrivato in soccorso del dottor Victor Frankestein (Oscar Isaac) e testimone in prima battuta della violenza e forza eccezionale del mostro che sembra dargli la caccia, il capitano del vascello si troverà ad ascoltare un racconto di vita e morte che propone nella prima parte la visione del creatore e successivamente quella della creatura.

Brillante, arrogante e spavaldo, il dottor Frankestein ha alle spalle un’infanzia infelice a causa del dispotico padre (Charles Dance) e della scomparsa della madre. L’avventura, lo scontro con il mostro, il lutto: Del Toro stabilisce velocemente i presupposti della storia, per concentrarsi poi sulla hubris del novello Prometeo che riesce a vincere la morte e a riportare in vita un collage di cadaveri che si rivela da subito immortale. Per la sua creatura però Victor si rivela un pessimo padre e mentore, spiazzato dalle incombenze genitoriali di badare a un essere vivente per cui “tutto è nuovo”, anche il linguaggio e gli elementi naturali. Victor è inizialmente l’unico tramite per la Creatura nel suo lungo cammino di conoscenza di sé e del mondo, ma sfortunatamente per entrambi finisce per impartire lezioni sulla base della paura e del dolore.

La promessa sposa del fratello di cui Frankestein è invaghito, la bella e sensibile Elizabeth (Mia Goth), si rivela invece da subito capace di quell’intelligenza emozionale in grado di scorgere le mancanze di Victor e l’umanità della Creatura. Un tema già visto a inizio anno nel Nosferatu di Robert Eggers e che Del Toro aveva affrontato anche in La forma dell’acqua. Tutti e tre questi film stabiliscono un’immediata connessione spirituale tra anime affini: una nel mostro altissimo e percorso da incisioni chirurgiche quasi artistiche, meno ripugnante del solito, l’altro un personaggio femminile capace di una certa modernità nei suoi interessi e nelle sue valutazioni contro la guerra che fornisce cadaveri a Frankestein.

Così come Pinocchio e Il labirinto del fauno, anche questo film è l’occasione di Del Toro per ribadire tutta la sua contrarietà verso i conflitti armati e gli interessi economici che vi girano attorno. Il padre di Elizabeth (Christoph Waltz) ha fatto fortuna vendendo armi durante il conflitto e ne reinveste una parte nella scienza di frontiera portata avanti a Victor, nella speranza di scopra il modo di mantenerlo in vita per sempre.

Frankestein è la creatura di Guillermo del Toro: mai davvero mostro, sempre umanissimo e personale

Il dolore è un linguaggio umano e universale

Di questo Frankestein sorprendono gli equilibri: diviso nelle contrapposte narrazioni della Creatura e di Victor Frankestein in come sia nato, evoluto e deteriorato il loro rapporto di creatore e creatura, padre e figlio, padrone e sottoposto, il film assegna enorme importanza ai primi, cruciali giorni di vita della Creatura. Due visioni che da spettatori immaginiamo opposte, invece sintetizzano emozionalmente un percorso simile, fatto di enorme dolore. La creatura, inizialmente inerme e incapace di comunicare efficacemente col suo creatore, impara da lui che per gli umani il dolore è un linguaggio particolarmente sadico ed efficace per farsi dare ascolto. In questo senso riprende ciò che diceva Strippoli né La valle dei sorrisi: senza dolore, per quanto straziante, è difficile conoscersi davvero.

Gli umani ma anche l’ordine naturale della natura sono insegnanti altrettanyo severi rispetto a Victor, tanto da portare il mostro molto velocemente a desiderare di morire quando è impossibilitato a farlo. Il rapporto con un vecchio cieco, che gli insegna a leggere e parlare, è ancora una volta codificato in chiave antibellica, con il cieco che lo scambia per un soldato che ha perduto la memoria , intuendone i tormenti.

Frankestein è cinema grandioso e didattico da vecchia Hollywood

Il punto forte di questa trasposizione è una forte capacità di emozionare. Del Toro parla di concetti così universali (la genitorialità, la mortalità e il divino, la colpa e il perdono) che non sorpredente mai davvero in ciò che dice, ma colpisce per intelligenza emotiva dei suoi personaggi, per come fanno ciò che oggi sembra impossibile. Ovvero superare l’incomunicabilità dovuta al dolore che hanno inferto l’un l’altro per tornare a parlarsi, a creare una connessione. Certo la scrittura vive di piccoli e grandi forzature; per esempio nel racconto visto dagli occhi della Creatura percolano spesso passaggi di cui non dovrebbe essere a conoscenza, vanificando un po’ la struttura “io dico che, lui dice che” che dovrebbe essere alla base del film.

Quello di Del Toro è ancora una volta un cinema senza tempo, che affronta tematiche così universali con un tono così empatico e umano da ricordare un po’ il canone Disney, le fiabe, storie in cui vi è sì intrisa una grande dose di violenza, lutto e disperazione, ma è sublimata dalla dimensione del racconto dell’esperienza umana. È un film espressione di quella Hollywood che un tempo ambiva a raccontare grandi storie formative, a stimolare l’umanità migliore dei suoi spettatori. È bello che questo risultato così cinematografico “vecchio stampo” Del Toro sia riuscito a ottenerlo con il supporto di Netflix, che solitamente non applica questo tipo di rigore morale e produttivo. Qui invece lo sforzo economico è ingente e tramutato in sontuosi set, grandi musiche, effetti speciali e maestranze artigianali che lavorano di concerto e non l’uno contro l’altro.

Frankestein è la creatura di Guillermo del Toro: mai davvero mostro, sempre umanissimo e personale

Per quanto riguarda il cast non si può non menzionare la solita, enorme interpretazione di Oscar Isaac, che tiene insieme il lato più spregevole di Frankestein insieme alla sua umanità talvolta rozza, talvolta meschina, ma comunque capace di emozionare lo spettatore. Sotto un trucco prostetico costato ogni giorni 10 ore di lavoro Jacob Elordi dà una performance di discreta sensibilità come Creatura, che porterà molti a scoprirlo come attore. La sua naturale statuarietà combinata all’estetica del mostro che lo fanno apparire più come una scultura marmorea che ha preso vita che come un’aberrazione da laboratorio creano un continuo contrasto visivo affascinante e d’impatto, che esalta al meglio il carattere fiabesco delle storie di Del Toro, così come i sontuosi costumi di Kate Hawley.

Frankenstein (2025)

Rating: Tutti

Nazione: Stati Uniti

7

Voto

Redazione

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Frankenstein (2025)

Del Toro riesce a portare su grande schermo la sua anima con Frankestein, un blockbuster sontuoso, didattico ma molto sentito, che racconta l'umanità attraverso la sensibilità e l'anima del suo creatore. Sospeso tra fiaba, horror e canone disneyano, è un film che parla di assoluti umani con grande emozione, ma forze senza un colpo di mano davvero autoriale

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