A Complete Unknown travisa Bob Dylan ma Chalamet non sbaglia: la recensione del film biografico su Bob Dylan

Dopo Johnny Cash, James Mangold torna a raccontare un’icona della musica a stelle e strisce, ma fallisce nel catturare l’ineffabile essenza di Bob Dylan.

A Complete Unknown travisa Bob Dylan ma Chalamet non sbaglia la recensione del film biografico su Bob Dylan

Che Bob Dylan sia un’artista e una persona quasi inconoscibile lo postula l’ennesimo film biografico che tenta di raccontarlo, sin dal suo titolo. D’altronde ciò che lo rende affascinante è proprio l’immediata riconoscibilità del suo profilo, della sua capigliatura, del sul timbro vocale e del suo far scivolare le idee nelle canzoni; il tutto contrapposto alla decennale, fiera resistenza con cui lotta contro qualsiasi cosa tenti di ridurlo a una definizione, un’etichetta. Persino questo stesso film, che ha seguito con il minor coinvolgimento possibile, dalla posizione più lontana che gli era possibile prendere, rifiutandosi d’incontrare il protagonista Timothée Chalamet e di vedere il prodotto finito.

A Complete Unknown travisa Bob Dylan ma Chalamet non sbaglia: la recensione del film biografico su Bob Dylan

Tutto considerato, l’interprete di Dune e Chiamami col tuo nome se l’è cavata piuttosto bene nel dargli corpo e voce, considerando che si misurava non solo con il vero Dylan, ma anche con i sei strepitosi colleghi di I’m not There (2007) di Todd Haynes: Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledge e Ben Whishaw. Da una parte non avere sul collo il fiato di chi andrai a rappresentare è un notevole vantaggio, così come il periodo della pandemia che allunga i tempi di studio e preparazione. Dall’altra Timothée Chalamet - che qui produce oltre che a recitare - ha sfruttato al meglio quel genere di ruolo convenzionale che un attore che si vuol far prendere sul serio prima o poi aggiunge al curriculum. Quello di un’icona talmente riconoscibile che anche lo spettatore più distratto può valutare da sé la tua capacità di farla rivivere su schermo. Ad alcuni serve per lanciare una carriera, ad altri per dare un punto di riferimento nella propria evoluzione: il discrimine è sempre il grado di accuratezza con cui la persona reale viene ritratta.

Il Bob Dylan di Timothée Chalamet è promosso

Il risultato qui è davvero molto apprezzabile, anche perché Chalamet mette molto più che postura, interpretazione e movenze: si misura sia con il canto sia con la parte musicale tout court, suonando la chitarra e l’armonia, trovando una gradevole via di mezzo tra un’interpretazione puramente mimetica e una poco somigliante. A Complete Unknown funziona soprattutto perché finisce per essere un veicolo per l’ennesima affermazione di carriera dell’unico, vero divo under 30 che abbia conquistato Hollywood in senso tradizionale e lui questa macchina la fa correre a grandissima velocità.

Tanto che un interprete di talento come Edward Norton - qui nei panni del mite Pete Seeger - quasi scompare, pur affrontando la stessa sfida, sin al suonare il banjo da sé. Una quasi sconosciuta come Monica Barbaro nei panni di Joan Baez invece, pur poco somigliante all’originale, colpisce per come si muova con grande padronanza nel repertorio della cantante, dando un’ottima prova canora, con brani interpretati con precisione vocale e buon trasporto emotivo.

A Complete Unknown approccia Dylan in modo troppo convenzionale

Fino a qui quello che funziona: il contenuto interpretativo. Manca però il contenitore che ahimé si rivela davvero il più inadatto a far funzionare un personaggio come Bob Dylan. Se come artista e come uomo è inconoscibile, sfuggente, resistente a seguire i desideri e i diktat del pubblico e di chi vuole raccontarlo, che scopo può avere un film su di lui? Qui bisogna fare un salto indietro di 20 anni circa e ricordare due film biografici musicali che si sono posti tempo addietro questa domanda. Uno, Walk The Line - L’amore brucia (2005), firmato dallo stesso regista James Mangolrd, raccontava Johnny Cash più o meno con lo stesso approccio. All’epoca piacque moltissimo, tanto da finire agli Oscar. Vent’anni fa la narrazione in tre atti di una storia di alti e bassi di carriera in campo musicale si raccontava così. Mangold la confenzionò bene, trovò l’interprete giusto per Cash (personaggio che tra l’altro appare anche in questo film) e divenne un punto di riferimento per molti biopic successivi.

Solo due anni dopo però un film raccontò proprio Bob Dylan, con un approccio destinato a cambiare per sempre i biopic: I’m not there di Todd Haynes, che con scelte ardite a una cornice narrativa sperimentale tentava di cogliere in pieno la natura contraddittoria e cangiante del premio Nobel per la letteratura, affidandosi a interpreti straordinari per tirarne fuori ritratti suggestivi, tenuti insieme in un solo film che ne catturava anche la capacità di evolvere a livello musicale, cambiando letteralmente pelle e volto.

Vent’anni dopo il colpo di maestro di Todd Haynes - che ha aperto una strada seguita da pochissimi, perché serve un talento straordinario per far funzionare quel tipo di film - Mangold torna su Dylan, forte di un interprete rassomigliante e convincente. Non è che abbia ignorato del tutto i due decenni di evoluzione del genere biopic. Si capisce chiaramente dal fatto che questo film non è una biografia completa. Come è diventata consuetudine negli ultimi anni, A Complete Unknown si concentra su un breve periodo significato della vita del soggetto a cui è interessato tentando di condensarne i tratti essenziali attraverso lo stesso.

A Complete Unknown travisa Bob Dylan ma Chalamet non sbaglia: la recensione del film biografico su Bob Dylan

Mangold si concentra su poco meno di 10 anni, a partire dall’arrivo del giovane Dylan a New York. È il 1961, il ragazzo è arrivato in città con un articolo di giornale ripiegato in tasca, deciso a conoscere Woodie Guthrie (Scoot McNairy), suo riferimento musicale che è stato ricoverato in ospedale. Senza un soldo, senza un passato preciso nel suo Minnesota, verrebbe da dire senza né arte ne parte. Anche se sembra la versione platonica di una groupie, Dylan di arte ne ha da vendere e dopo solo una canzone convince Seeger e Guthrie a credere in lui. C’è così tanta ambiguità, così tanta ingenuità, ambizione e sicurezza in sé in questo incipit e che il film potrebbe avere un tono sprezzante, cinico, allusivo, ironico, creare un po’ di dubbio prima di dare certezze. Il misterioso ragazzo venuto dal nulla con un impressionante talento, ma che si avvicina ai movimenti civili grazie alla giudiziosa amica Sylvie (Elle Fanning), scivolando dal suo letto a quello di una star affermata del folk come Joan Baez. C’è tutta un’ambiguità di fondo, un carattere ruvido e spigoloso, di una persona che non si scusa, non si spiega e - va detto - alle volte è detestabile. Ambiguità di fondo che solo lo spettatore attento e un po’ bastian contrario noterà nel mare di educata propositività di A Complete Unknown.

Bob Dylan in versione “È nata una stella”

Invece che cavalcare questo suo essere continuamente spiazzante, Mangold riduce il tutto a il più classico degli intrecci da “È nata una stella”: il giovane talentuoso che ha tanto successo, troppo successo, che si sente schiacciare dalla fama e dalle aspettative, che vuole cambiare e si scontra con un pubblico, un entourage e un genere musicale che lo vogliono sempre uguali a sé stesso. Il film, ingessato dal sacro timore reverenziale per la figura che racconta tanto da non osare mai metterla non dico in dubbio, ma almeno in discussione, è altrettanto rigido nel costruirle addosso la più classica delle narrazioni.

A Complete Unknown travisa Bob Dylan ma Chalamet non sbaglia: la recensione del film biografico su Bob Dylan

Con l’aggravante che sa benissimo di doversi misurare con quel film, che a dispetto del titolo, è ancora lì e lì rimarrà. Todd Haynes è uno che ha il rarissimo talento dei fuoriclasse, d’accordo, e fare paragoni non è carino (ma talvolta funzionale) ma A Complete Unknown arriva nelle nostre sale carico di 140 minuti di durata, più di 25 canzoni cantante dal vivo nella più classica delle cornici (live irresistibile, momento di strimpellamento in cui il Genio compone il Capolavoro, duetto romantico), chiedendoci sostanzialmente di dimenticarci cosa è venuto prima di lui. Anche nel recente presente: per quanto poco riuscito, persino Maria di Pablo Larraín trattava con meno deferenza Maria Callas e provava a mostrarne la carne viva, la debolezza. Mangold invece si nasconde dietro l’inconoscibilità di Dylan per non provarci nemmeno, ad andare oltre un ritratto istituzionale nei modi e nei toni, che quando percepisce un punto critico nel ritratto del suo soggetto, lo affronta con il massimo distacco possibile, affidandosi sempre alla retorica del genio.

A Complete Unknown

Rating: Tutti

Nazione: Stati Uniti

6

Voto

Redazione

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A Complete Unknown

Non è così difficile capire perché A Complete Unknown abbia convinto anche i dyliani più incalliti. Chalamet dà un’ottima performance, ma soprattutto il film non è nemmeno una lettera d’amore al cantante. È il più ortodosso dei racconti che per far brillare la sua stella stempera e annacqua i colori delle persone e dei grandi personaggi che la circondano, mettendo in piedi un racconto molto prevedibile dei pericoli e del peso della fama per chi ha messo sempre davanti l’arte e la politica rispetto all’immagine e alla celebrità.

Il che è particolarmente stridente, considerando che il tentativo qui è quello di raccontare qualcuno davvero poco propenso a cedere alla consuetudine e alle norme. Chalamet otterrà probabilmente il suo biglietto per un'altra corsa agli Oscar, ma A Complete Unknown è uno dei ruoli più convenzionali in cui ci sia capitato di apprezzarlo in una carriera spesso ricca di rischi e sorprese. 

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