Wicked azzecca anche la seconda parte e non era un’impresa semplice: la recensione del film
Dopo aver convinto in avvio, alla seconda parte di Wicked riesce anche la chiusa: un risultato che, date le premesse, non era scontato.

Che Wicked For Good abbia fatto le cose per bene, non accontentandosi del successo automatico garantito dal sequel di un film di grande successo, lo si capisce dai primissimi minuti di pellicola. Si viene investiti da una girandola di colori vivaci: i campi di tulipani, le decorazioni cittadine, i fiori e saltimbanchi risplendono come non succedeva praticamente mai nel primo film. Se è vero che questa parte due insiste particolarmente su establishing shot e panoramiche volte a far assaporare al suo pubblico la ricchezza produttiva di un progetto dal grande budget, è anche vero che tra primo e secondo film non c’è stato un potenziamento delle scenografie né dei costumi, un aumento di fondi o una cura aggiuntiva. Le due pellicole infatti sono state girate insieme, come un unico progetto.

Wicked ha fatto tesoro delle critiche ricevute al primo film
A cambiare è stato l’approccio di Universal e del regista John M. Chu che, pur difendendo pubblicamente le infelici scelte creative del primo capitolo, hanno fatto tesoro del feedback di critica e pubblico per correggere la rotta strada facendo. Wicked For Good insomma non ha set più sontuosi o ricchi del suo predecessore: semplicemente lo studio ha sistemato quel brutto pasticcio del primo capitolo, slavato nei colori e nella luminosità da un mix pressoché criminale di color grading, fotografia e girato digitale.
Se non altro Wicked for Good fornisce la prova di quanto questi aspetti possano depotenziare brutalmente le scenografie più curate e i set più monumentali (e viceversa). Non si arriva a dire che abbia un lato tecnico eccellente, perché tanto del problema sta a monte: permangono scene in questo senso un po’ sgraziate, ma finalmente si prova qua e là la vivacità cromatica del mondo magico di Oz e di un blockbuster che vuole sedurre anche per la sua ricchezza visiva.
Di contro, ciò che nel primo film era di grande ambizione ma mal eseguito (anche per via di certe scelte di regia infelici) qui risulta quasi più efficace perché in scala ridotta ma ben fatto. Qua e là ritroviamo finalmente un Chu che dimostra tutta la sua esperienza nel settore dei film musical e sulla danza, con passaggi quasi accennati di danza ben giostrati e persino un buffo azzuffarsi tra le due protagoniste girato con tutti gli stilemi del cinema d’azione. Non c’è più un numero come il ballo nella libreria della parte uno, che però era quasi controproducente nel suo sfruttare pochissimo innegabile impegno messo nell’architettare ed eseguire la stessa.

WIcked for Good fa meno del predecessore, ma spesso meglio
Wicked for Good insomma fa meno del predecessore ma meglio: un po’ perché il suo obiettivo è meno gravoso, venendogli chiesto di atterrare in qualche modo un’operazione già avviata e i cui passaggi cruciali sono tutti alle spalle. Un po’ perché, in maniera accorta, ha passato i mesi tra il primo e il secondo capitolo a sistemare tutto quel che poteva essere migliorato. Tecnicamente è persino un film migliore e dal punto di vista narrativo non soffre nemmeno troppo i tanti limiti che ha, a partire dal fatto che qui troviamo Dorothy e tutto l’incastro della storia “ufficiale”, che s’incunea a metà di questo film e a cui giocoforza bisogna continuamente tornare.
Semmai Chu perde la grande occasione di scegliere una chiusa snella e ad effetto, indugiando troppo alla ricerca di un finale all’altezza, pur essendosi messo con le spalle al muro proprio all’inizio del primo film. Wicked si apriva infatti con la celebrazione delle morte della strega cattiva e con un’abitante di Oz che chiedeva a Glinda se è vero che la conoscesse, sviluppandosi come un lunghissimo flashback che narrava la storia non ufficiale della loro amicizia. L’approdo naturale sarebbe la chiusura di questo ricordo di Glinda, ma il film ha per le mani molto prima almeno un paio di finali più efficaci, che ignora, andando a perdere smalto e verve nella sua seconda parte. Anche quando decide di chiudere poi, inframezza il finale di altre considerazioni, che trasformano un punto secco e fermo in dei punti di sospensione. Il risultato finale un po’ ne soffre, ma considerando che parliamo di una versione diluita e qua e là annacquata di un prodotto che già originariamente soffre nella sua seconda parte di un calo di ritmo, Wicked è l’atterraggio di una storia davvero ben condotto.

Wicked ha il coraggio di far diventare adulte le sue protagoniste
A ovviare a un parte musicale meno brillante e a questo indugiare finale ci pensa il vero punto di forza della storia, ovvero il continuo riscrivere ed evolvere le due protagoniste oltre i loro ruoli di buona e cattiva, sfumando l’una nell’altra insieme alle rispettive palette cromatiche. Quindi bisogna dare ampio merito alla sceneggiatura del film di avere il coraggio di lasciarsi alle spalle la versione adolescenziale delle protagoniste, puntando appieno sulla loro complessità di donne adulte, senza paura di vederle cambiate. A impressionare in questo senso è per esempio la lunga sequenza che più che suggerisce il coinvolgimento amoroso “adulto” di Elphaba (Chyntia Erivo) e tutta una serie di passaggi dolorosi e di prese di consapevolezza che non incupiscono mai eccessivamente la storia, ma la rendono più significativa e sfaccettata per il pubblico adulto in sala, portando fino in fondo il presupposto da cui nasce l’intera storia.
A questo punto poi Ariana Grande e Cynthia Erivo abitano perfettamente i personaggi e, alleggerite da certe rigidità iniziali, danno un’ottima performance tout-court, che ovvia certi limiti attoriali non solo con la loro straordinaria vocalità ma con un carisma che deriva del loro status di star e che ben si adatta a entrambi ruoli. Un’ulteriore punto a favore del film per il pubblico italiano (impossibilitato per la gran parte a fruire dell’originale a Broadway) sarà poi la scoperta dei colpi di scena ben congegnati nascosti in questa seconda parte, che Wicked for Good ovviamente eredita dalla sua fonte ma mette in scena in maniera ottimale, sfruttandoli al massimo. Rimane qualche piccola imperfezione qua e là, ma un cast per la gran parte funzionante nella prima parte torna qui in maniera più che convincente, anche perché c’è più spazio per tutti per brillare o forse, ancor meglio, per arricchirsi anche di zone d’ombra e complessità.
Durata: 137'
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Wicked: Parte 2
Wicked for Good non è superiore al suo predecessore, che comunque ha dalla sua i brani più forti del musical originale e la leggerezza propria dell’avvio spensierato di storie di questo tipo: tuttavia è molto più riuscito a livello tecnico e tutto sommato forse è più sorprendente per come ha saputo correggere la rotta in corsa, ovviare a mancanze precedenti, azzeccando un film le cui premesse non erano delle più semplici e che promettevano più momenti di stanca di quanti ne abbia effettivamente. Chi ha amato il primo film ne rimarrà entusiasta e, nel suo insieme, i fan del musical originale possono essere più che soddisfatti di come sia stato trasporto su grande schermo.


