Rumore bianco, recensione: Baumbach si affida ad Adam Driver, l’unico che sa tener testa anche a De Lillo

Dopo il connubio lavorativo e umano in Storia di un matrimonio, il regista Noah Baumbach e l’attore Adam Driver tornano a lavorare insieme in Rumore Bianco. La recensione da Venezia.

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Ci sono libri che non dovrebbero diventare film, altri che lo fanno, ma il salto tra un medium e l’altro costa caro alla storia. A parere di chi scrive la prima categoria è un mero pregiudizio, la seconda invece è il risultato di compromessi necessari, scelte azzardate o della differenza intrinseca e non sempre conciliabile tra ciò che sta scritto sulla pagina e ciò che vediamo su schermo, piccolo o grande che sia. A quest’ultima categoria appartiene proprio Rumore bianco, film che vede un duplice ritorno dopo l’esperimento più che riuscito di Storia di un matrimonio: il sodalizio tra il regista Noah Baumbach e Netflix e quello tra Baubach e l’attore Adam Driver.

In teoria Rumore bianco dovrebbe essere l’ambiziosissimo adattamento cinematografico dell**’imponente romanzo di Don De Lillo del 1985** dall’omonimo titolo. In pratica è difficile astenersi dal mettere in relazione i due film, che condividono produttore, regista, attore protagonista, tematica matrimoniale centrale nella storia e persino la presentazione in concorso alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Se Storia di un matrimonio ha lasciato il segno, Rumore bianco appare più ambizioso, ma in ultima istanza molto meno incisivo. Dopo la visione lascia dietro di sé una bizzarra sensazione, ma a fronte di alcuni passaggi brillanti, si dimentica in fretta.

Rumore bianco, recensione: Baumbach si affida ad Adam Driver, l’unico che sa tener testa anche a De Lillo

Che rumore fa la morte?

Non si può dire infatti né che Baumbach non sappia quello che fa, anche di fronte a una pellicola con sfide registiche non da poco (vedi la scena del deragliamento ferroviario o la complessa coreografia sui titoli di coda), né che la storia delilliana non sia più che solida. Si tratta pur sempre di un romanzo che ha avuto un forte impatto internazionale, che analizza con acume una delle paure più recondite dell’essere umano: quella dell’inevitabile, imprevedibile morte. Il titolo, rumore bianco, è proprio un tentativo di descrivere per suoni la morte: è sempre presente, permea ogni momento e luogo, tanto che diventa un suono “tutto intorno a noi, uniforme e bianco”, a cui inevitabilmente non facciamo più caso, salvo in momenti particolari.

Il romanzo originale è ambientato negli anni ‘80; un’ambientazione che Baumbach conserva visivamente per scenografie e costumi, espandendola anche nelle cromie e nelle tecniche registiche impiegate nel suo film. Rumore bianco non è solo un film ambientato negli anni ‘80 del consumismo ottimista statunitense, ma anche una pellicola girata in molti passaggi rifacendosi proprio al cinema commerciale che ha segnato e raccontato quell’epoca.

Morte, consumismo e paradossi: di cosa parla Rumore Bianco

Protagonista della storia è ancora una volta una coppia sposata e apparentemente molto innamorata. Lui è un professore di storia del Novecento (con un corso dedicato al “nazismo avanzato”), una vera e propria figura di riferimento degli studi su Hitler. Lei è una donna dalla capigliatura difficile da non notare, che fa del suo meglio come insegnante di ginnastica posturale e come madre dei figli che i due si portano dietro da precedenti. La loro intesa affettiva e sessuale è pressoché perfetta, la loro vita casalinga chiassosa e felice. Eppure Babette (Greta Gerwig) inghiotte non notata un medicinale misterioso, mentre il marito Jack Gladney (Adam Driver) si ritrova in più circostanze ad avvertire intorno a lui il respiro di un’inquietudine indefinibile ma paralizzante.

L’incidente tra un camion e un treno dà il là all’evento che incrina la solida sicurezza borghese della coppia, smentendone l’apparente immortalità e immutabilità. Rumore bianco è diviso in tre capitoli, che vedono via via affiorare il tema del timore paralizzante della morte mentre viene esplorata l’intimità affiatata ma non priva di segreti della coppia di protagonisti. Per Baumbach e De Lillo l’anestetico contro questa paura è la consumistica società capitalista, incarnata dal coloratissimo e sempre affollato supermercato cittadino, in cui fare la spesa e sentirsi in un forte sicuro, inespugnabile.

Come sceneggiatore, Baumbach ha lavorato moltissimo per rendere filmabile un romanzo incentrato un un cresce d’inquietudine, humor nero e situazioni paradossali. Al contempo per l’attrice a compagna Gerwig ritaglia una parte molto più ampia (e attuale) rispetto a quella originale del romanzo di De Lillo. Meno riuscita invece è l’evidente critica al potere oppiaceo che la società dei consumi ha sui singoli individui, anche quelli più brillanti per curriculum e posizione sociale. Muovendosi negli anni ‘80, Baumbach non può che fare riferimento a quel tipo di società in cui la famiglia va a fare la spesa felice ogni sabato pomeriggio, considerando il tempo speso con i propri cari tra le corsie del supermercato di alta qualità. Certo i supermercati e le sirene del consumismo sono ancora lì, ma le forme del capitalismo sono così evolute (o involute?) che le critiche mosse qui sono sorpassate.

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Quando si parla invece del matrimonio tra i protagonisti, si sente che Baumbach è a suo agio e partecipe con le riflessioni in merito di Jack e Babette. Siamo però lontanissimi dalla profondità emotiva di Storia di un matrimonio, film in cui si percepiva chiaramente sia il coinvolgimento emotivo diretto del regista (che all’interno vi ha rielaborato il proprio vissuto) sia una sensazione di autenticità che a diretto confronto fa sembrare Rumore bianco molto artefatto.

Baumbach salvato da Driver

L’adattamento dei temi e delle scene tipo dello scritto funziona molto bene nella prima parte, in cui ironia, sottile inquietudine e dramma sono molto ben bilanciati, con una regia molto più presente (e rifinita) rispetto al passato. Si vede che Baumbach vuole fare bene e dimostrare di che pasta registica sia fatto, uscendo dai territori prettamente intimisti e indie dei suoi drammi. Quando invece la storia affronta i picchi di paradossale e comico di cui è intriso il romanzo, il film perde mordente, gira un po’ a vuoto e soprattutto interrompe la sospensione d’incredulità (vedi le suore crocerossine atee e parlanti tedesco convenientemente posizionate e operative nel cuore della notte). L’impressione è che alcuni passaggi di questo romanzo si muovano sul filo del plausibile già in forma scritta e, quando trasporti, risultino molto forzati e poco credibili.

Baumbach ha dalla sua un Driver come sempre stratosferico, che riesce a rendere credibili e potenti scene che in mano ad altri interpreti sarebbero deragliate nell’implausibile o nell’imbarazzante. Non si può dire lo stesso di Greta Gerwig, che invece soffre un po’ la regia istrionica e molto impostata del regista e, nel tentativo di seguire con la cinepresa i movimenti, risulta impacciata.

Rumore bianco

Rating: Tutti

Durata: 136'

Nazione: USA

3

Voto

Redazione

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Rumore bianco

Un film riuscito ma artificioso e mai davvero memorabile, che alterna grandi passaggi ad alcune svolte poco plausibili e troppo lente, Per fortuna c’è Adam Driver: l’attore fa tantissimo per portare il film in territori di alto livello. A differenza di Storia di un matrimonio però non si crea quell’alchimia che faceva sembrare Johansson e Driver una vera coppia nel film precedente di un regista sempre più ambizioso.