Moonfall, recensione: Roland Emmerich non sa più cosa ci piace

Roland Emmerich ha perso il suo tocco per la catastrofe? Sì e no: a rendere Moonfall un film deludente non è tanto quanto fatto dai suoi realizzatori, ma quanto siano inconsapevoli di cosa desideri il pubblico oggi.

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Se nemmeno Emmerich è più in grado di fare un grande film apocalittico, forse è il momento di dire addio a questo genere, su cui questo regista ha costruito buona parte della sua carriera. È comunque interessante vedere Moonfall, perché come ogni buon titolo che tenta d’immaginare un futuro, finisce per raccontare molto del presente in cui viene realizzato. Impossibile per esempio non ricavare qualche riflessione dal cospicuo finanziamento cinese dell’opera e dalla conseguente luce benigna con cui viene ritratto il paese asiatico, o la disturbante ossessione che uno dei protagonisti nutre per Elon Musk, tra un product placement e un altro.

L’ispirazione per Moonfall

Con il suo budget di quasi 150 milioni di dollari, Moonfall è il film indipendente più costoso mai realizzato in anni recenti. Emmerich ci ha lavorato per quasi un quinquennio, dopo aver veduto e in seguito riacquisito i diritti del copione da Universal, che inizialmente sembrava interessata alla partita.

Nel cinema del regista è facile individuare alcune costanti tecniche e narrative: una grande capacità di capire e replicare il miglior cinema d’avventura e intrattenimento di Steven Spielberg, una fede incrollabile nell’utilizzo degli effetti speciali e nella loro presentazione come quid unico e specialissimo che porterà le persone in sala, la presenza di un reietto ingiustamente deriso da altri che invece manifesta una profonda capacità di vedere la realtà così com’è, oltre le convenzioni vigenti.

Moonfall, recensione: Roland Emmerich non sa più cosa ci piace

In Moonfall ritroviamo tutti questi elementi, a partire da una storia catastrofista che vede un giovane uomo sovrappeso, single e nerd di nome KC (John Bradley) come unico in grado di capire che la Luna è una “megastruttura” cava e di fattura aliena. L’ex astronauta Brian Harper (Patrick Wilson) si ritroverà a fare squadra con lui, dopo aver visto un misterioso sciame in una missione spaziale ed essere stato radiato dalla NASA per il racconto di quanto visto nello spazio.

Le spiegazioni “scientifiche” di Moonfall possono sembrare chiacchiericcio hollywoodiano di un cineasta da sempre amante dell’esagerazione e del cospirazionismo, mentre in realtà sono ispirate così come il film a un libro scritto da Alan Butler e Christopher Knight (da qui spiegate le iniziali del protagonista). Lo scrittore è un famoso cospirazionista che, tra le sue varie teorie alternative, sostiene che la Luna sia appunto una mega struttura cava, creata da una civiltà avanzata che ha di fatto programmato la nascita del nostro Pianeta.

La trama di Moonfall

Come da titolo, la Luna comincia ad avvicinarsi pericolosamente alla Terra, scatenando il panico. Così l’ex astronauta e ora capo della NASA Jocinda Fowler (Halle Berry) si scusa con Brian e comincia a elaborare insieme a lui e a KC un folle piano per rimettere la Luna nella giusta orbita ed evitare l’estinzione del genere umano. Seguono, come da copione, le avventure dei rispettivi figli impegnati a mettersi in salvo, la distruzione in CGI delle metropoli statunitensi (in primis New York) e un segmento che somiglia un po’ a Gravity di Alfonso Cuarón e un po’ al romanzo classico SFF Incontro con Rama di Arthur C. Clarke.

Emmerich fa il suo insomma, così pure il cast, ma si trovano davanti un mondo e un pubblico radicalmente cambiati. L’errore di Moonfall è non capire il presente, non rispondere più all’esigenza di persone che già vedono nella realtà accadere spaventosi eventi climatici e nel cinema cercano l’impossibile fusione tra nostalgia e presente, un universo di personaggi carismatici e rassicuranti che li intrattengano senza mai farli sentire in pericolo. È tramontato ormai da tempo il periodo in cui gli effetti speciali erano, appunto, speciali. Oggi serve un realismo (nella fantascienza, nei cinecomics, nelle serie storiche) che non è mai stato nelle corde di Emmerich, o la volontà di creare una narrazione e una dimensione visiva il più possibile complessa e realistica per affascinare il pubblico. Le persone cercano la complessità (spesso convoluta) di Christopher Nolan in Interstellar o al contrario l’essenzialità credibile di un Denis Villeneuve, che rende austero e realistico un mondo fittizio come quello di Dune.

Moonfall, recensione: Roland Emmerich non sa più cosa ci piace

Il film del 2021 a cui somiglia di più Moonfall è Don’t Look Up, il che non è un grande complimento per Adam McKay, che comunque ha strappato multiple nomination agli Oscar con la sua pellicola Netflix. La trama è la stessa: una grossa massa si sta per schiantare sulla Terra, gli Stati Uniti tentano di fare qualcosa, ma ai vertici della nazione ci sono per lo più incapaci contro cui lottano scienziati irrisi e non creduti. A differenza di Emmerich però, McKay è un fine conoscitore della sensibilità attuale, sa che il pubblico vuole indignarsi, vuole sentirsi intelligente mentre fa parte di un gruppo definito in opposizione a un altro, vuole vedere la realtà priva di sfumature, ridotta a una semplificazione tale che prendere posizione da una parte o dall’altra è inevitabile e facile.

Moonfall, recensione: Roland Emmerich non sa più cosa ci piace
1

Voto

Redazione

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Moonfall, recensione: Roland Emmerich non sa più cosa ci piace

Emmerich sa come realizzare un disaster movie, ma ha perso completamente il contatto con i desideri e la sensibilità del pubblico. Moonfall sembra un film arrivato irrimediabilmente troppo tardi, o forse ancora troppo presto. La speranza è, tra 20 anni, di non guardarci indietro e dover ammettere che dovremmo rimpiangere persino film come questo.