Sandokan, ovvero quando la RAI conquistò il mondo
In occasione dell'arrivo su Rai1 del nuovo adattamento dei romanzi di Salgari, riscopriamo la storica serie degli anni Settanta con protagonista Kabir Bedi, disponibile su RaiPlay.

Soltanto ieri sera il pubblico di Rai1 ha potuto assistere per la prima volta alle imprese del sex-symbol Can Yaman nei panni della leggendaria Tigre della Malesia. Un'operazione che inevitabilmente si trova già a fare i conti con l'ombra ingombrante dello sceneggiato del 1976, diretto da Sergio Sollima e interpretato da un allora sconosciuto attore indiano di nome Kabir Bedi.
In questo articolo, evitando confronti di sorta che lasciano un po' il tempo che trovano, scopriamo cosa rese effettivamente quella produzione così speciale da rimanere profondamente impressa nell'immaginario comune di intere generazioni, non solo in Italia ma anche negli altri ottantacinque Paesi del mondo dove venne distribuita.
Diamo una spruzzata di trama per chi dovesse ripassare l'adattamento dei romanzi di Emilio Salgari o per quelle nuove generazioni che, complice anche la nuova versione, volessero recuperare queste sei puntate che hanno fatto la storia della televisione italiana.

Sandokan: un eroe per tutte le stagioni
Conosciamo il protagonista Sandokan mentre si rifugia sull'isola di Mompracem, regno dei pirati che egli stesso comanda insieme all'inseparabile amico portoghese Yanez de Gomera. L'affascinante principe malese ha perso il suo regno a causa dell'invasione britannica e ora dedica la sua esistenza a combattere le forze coloniali, guidate dallo spietato James Brooke, il cosiddetto Rajah bianco del Sarawak. La vita del nostro eroe prende una piega inaspettata quando, rimasto ferito durante uno scontro navale, viene ritrovato sulla riva e soccorso dalla famiglia di Lord Guillonk, incontrando la nipote di questi, la giovane e bellissima Marianna, soprannominata "la Perla di Labuan". Tra i due nasce un amore tormentato, ostacolato dalla complessa situazione geopolitica e dalle ombre di una guerra che rischia di sconvolgere per sempre quelle lande esotiche.

Girare Sandokan fu una sfida titanica, per la quasi località in location autentiche, con attori indigeni e puntando su un realismo assoluto: condizioni tutt'altro che scontate per l'epoca, quando i kolossal in costume raramente si avventuravano oltre i confini degli studi di posa romani, soprattutto se pensati per il piccolo schermo. La produzione richiese circa quattro anni di lavorazione, con le riprese che si svolsero tra la Malesia (in particolare nello stato di Terengganu e sull'isola di Kapas), il sud dell'India (tra cui il maestoso Palazzo di Padmanabhapuram) e lo Sri Lanka.
E per mantenersi fedeli alla vicenda e all'ambientazione, serviva un attore che incarnasse al meglio lo spirito fieramente combattivo del personaggio, oltre che la sua etnicità. Durante un viaggio a Bombay i produttori si imbatterono in Kabir Bedi, nato a Lahore nel 1946 e già attivo nel cinema di Bollywood, che si era inizialmente presentato ai provini per interpretare un altro personaggio ma risultò talmente convincente che gli venne proposto il ruolo da protagonista. La sua presenza scenica, alto e fisicamente imponente, si rivelò determinante per il successo della serie, anche per via dell'innegabile appeal che esercitava sul pubblico femminile. Punta di diamante in un cast che comprendeva attori di talento del calibro di Philippe Leroy nel ruolo del braccio destro Yanez, Adolfo Celi nelle vesti della subdola nemesi Brooke e Carole André quale biondissimo interesse romantico.
Un'avventura senza eguali
Le sei puntate della durata di circa un'ora l'una sono caratterizzate da una profonda consapevolezza politica, con la lotta tra la presunta civilizzazione europea e quel popolo di "selvaggi" che vive in simbiosi con la natura. I primi intenti a conquistare terre per interessi e denaro, i secondi a proteggere i luoghi dove sono nati e dove hanno vissuto i loro avi da tempo immemore. Sandokan è così una storia di ribellione contro le ingiustizie, contro quel colonialismo che tutto consuma, e perciò assai significativa è la presenza di Lady Marianna, donna tra due mondi che rappresenta un simbolo di potenziale riconciliazione.

Soprattutto l'ambiguità morale, con una marcata scala di grigi insolita per un prodotto destinato principalmente a un pubblico giovane, conferisce allo sceneggiato una stratificazione tematica che lo eleva al di sopra del semplice intrattenimento avventuroso.
Dal punto di vista tecnico, Sandokan può contare sulla magnifica fotografia firmata da Marcello Masciocchi, che trasforma le foreste pluviali, le spiagge tropicali e i palazzi coloniali in autentiche cartoline esotiche, creando splendidi palcoscenici per le numerose scene madri che caratterizzano i vari episodi. Anche a distanza di quasi cinquant'anni, alcune sequenze d'azione - le battaglie navali o l'iconico scontro con la tigre tra i tanti - mantengono un'aura quasi ipnotica e ancora in grado di emozionare.

Un'anima epica ulteriormente innalzata dall'orecchiabile colonna sonora, destinata a sopravvivere eternamente tra citazioni e omaggi, che fu composta ed eseguita da Guido e Maurizio De Angelis sotto il loro alias più famoso, ovvero gli Oliver Onions. Il tema principale, con il suo inconfondibile ritornello "Sandokan, Sandokan" e il suo sapore esotico che mescola sitar e ritmi anni Settanta, divenne un vero e proprio tormentone, in grado di rendere ulteriormente popolare un adattamento di assoluta grandezza, che tuttora non ha perso nulla del suo smalto, (ri)vedere per credere.











