Fringe: 15 anni fa debuttava la serie di J.J. Abrams con Anna Torv e Joshua Jackson

Dalla fonte d’ispirazione più insospettabile alle ragioni del successo: celebriamo il quindicesimo anniversario di Fringe

Fringe 15 anni fa debuttava la serie di JJ Abrams con Anna Torv e Joshua Jackson

Fringe nasceva da un’idea di J.J. Abrams. La trama era molto semplice, almeno sulla carta: due agenti dell’FBI, Mark Valley e Anna Torv, lavorano insieme a uno scienziato (Joshua Jackson) al fine di trovare spiegazioni scientifiche per gli eventi inspiegabili che hanno portato alla morte i passeggeri di un volo internazionale atterrato su suolo statunitense.

Un aereo. Solo cadaveri a bordo. Un mistero. Tre personaggi alla ricerca della verità.

Ma la verità è che la questione era molto più complessa di come appariva. E così lo è diventata anche la serie.

Fringe e l’inattesa ispirazione da E.R.

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Fringe debuttava negli USA 15 anni fa. Il 9 settembre del 2008 i principali siti specializzati americani erano praticamente tappezzati di banner di Fringe, la nuova serie di J.J. Abrams - con Alex Kurtzman e Roberto Orci - che gli appassionati del piccolo schermo avevano atteso con il fiato sospeso per molti motivi, fra cui anche il ritorno sul piccolo schermo dell’amatissimo Joshua Jackson, l’ex Pacey Witter di Dawson’s Creek.

In Italia avremmo dovuto attendere fino al marzo del 2010, ma l’attesa valeva la pena perché anche da noi, come nel resto del mondo, Fringe conquistò la platea televisiva. Diventando di fatto una serie cult di cui molti sentono la mancanza.

Fringe mescola tanti generi diversi, come sempre è successo alle serie di culto: qui ci sono drama, action, spy-story, detective drama e naturalmente una bella fetta di fantascienza.

Olivia Dunham (Anna Torv, Le sorelle McLeod) , agente speciale dell’FBI, inizia a collaborare con Peter Bishop (Jackson)  e con il padre di Peter, Walter (John Noble, Il signore degli anelli), un perfetto esempio moderno di “scienziato pazzo” che rimanda ai classici di horror e fantascienza. La collaborazione ha lo scopo di fare luce su alcuni casi apparentemente inspiegabili.

Basta questo per evidenziare il fortissimo legame con X-Files che, come aveva dichiarato lo stesso J.J. Abrams durante un’intervista a TV Guide il giorno prima del debutto americano di Fringe su FOX, è ovviamente stata una delle fonti d’ispirazione del nuovo show.

Sono un grande fan di X-Files, Ai confini della realtà e la versione originale di Kolchak: The Night Stalke, ma credo che il modello seguito da Fringe sia più vicino a quello di E.R.

Era arrivata così, inattesa, l’ammissione di essersi ispirato a una serie di grande successo e di grande qualità alla quale nessuno, vedendo Fringe, avrebbe mai pensato. Perché? Semplice: in E.R. ci sono una serie di personaggi e di storie che si evolvono, proseguendo e cambiando da un episodio all’altro, che devono al tempo stesso confrontarsi con i nuovi casi sottoposti ai protagonisti dai pazienti del Pronto Soccorso in ogni episodio. I casi di cui si occupano i protagonisti sono casi caratterizzati da urgenza e da un’alta carica drammatica, che fanno crescere i protagonisti mentre li distraggono dal loro personale processo evolutivo, modificandolo.

Fringe: 15 anni fa debuttava la serie di J.J. Abrams con Anna Torv e Joshua Jackson

In due parole, i medici di E.R. vengono influenzati nel loro modo di essere - nel privato, sempre - dal lavoro che svolgono. E non potrebbe essere altrimenti, se ci pensiamo: hanno la vita di molte persone nelle loro mani. Come possono non restarne influenzati?

J.J. Abrams vedeva la sua nuova serie un po’ così: personaggi che conducevano le loro esistenze (e le loro relazioni: uno sviluppo romantico fra Anna e Peter sembrava essere dietro l’angolo) mentre si confrontavano con una vita lavorativa “parallela” fatta di emergenze, rivelazioni sconvolgenti, ritmi frenetici… Tutti elementi che finiranno per avere  hanno un’inevitabile influenza sui comportamenti e le scelte dei protagonisti anche nella vita privata.

Inoltre, per Abrams era fondamentale l’aspetto scientifico della serie e delle storie in essa narrate, più che quello fantascientifico. Scienza più che fantascienza, per riassumere Così, nella stessa intervista, ha raccontato di aver voluto seguire l’accurato modello scientifico di E.R., da sempre uno dei punti di forza nella ricerca di verosimiglianza delle serie TV, per poi spingersi anche oltre:

Benché si possa definire science fiction, Fringe parla di molte cose che rientrano nel regno delle possibilità. Quando Star Trek debuttò con i suoi personaggi dotati di comunicatori, non rappresentava altro che un sogno. Ora, tutti noi abbiamo un piccolo comunicatore in tasca…

Non possiamo certo dargli torto: solo vent’anni fa, pensare di potersene andare in giro con un vero e proprio computer portatile per telefonare, visualizzare mappe, mandare e-mail e navigare sul web era un sogno tecnologico, oggi divenuto realtà. Ed è su questo che Abrams ha fondato le basi di Fringe: il regno del possibile. Lo stesso regno esasperato fino all’inverosimile nella serie più celebre di Abrams, Lost, che ha appassionato milioni di persone in tutto il mondo  con un fine in comune: conoscere la spiegazione dietro al mistero dell’isola.

Il regno del possibile, però, in Fringe non è stato esasperato come in Lost. È stato invece articolato con cura, costruito fra generi diversi ispirati a fonti diverse, ma sempre ben riconoscibili.

Le ragioni del successo di Fringe

Fringe: 15 anni fa debuttava la serie di J.J. Abrams con Anna Torv e Joshua Jackson

Oltre al già citato mix di generi, sempre fondamentale perché in grado di attrarre un gran numero di spettatori (fan dei diversi generi inseriti nel mix), Fringe ebbe successo grazie a diversi fattori.

Innanzitutto il cast. Con l’alchimia perfetta fra Jackson e Torv, ma senza dimenticare l’influenza del grande John Noble, attore carismatico in grado di tenere le persone incollate alla TV anche solo per scoprire in che modo si esprimerà in ogni nuova situazione.

Per ascoltare le sue parole, la sua follia mescolata a saggezza, il suo sogno sfrenato in cui la scienza - la sua scienza - avrebbe potuto cambiare il mondo davvero, e per sempre.

Il pubblico di Fringe si ritrovava di fronte a un racconto appassionante, ricco di colpi di scena e di misteri la cui soluzione, proprio come in Lost o in X-Files, era spasmodicamente attesa dal pubblico.

La trama, il cast, gli effetti speciali curati - non sempre in TV si disponeva dei mezzi necessari, Fringe li aveva - la narrazione autoconclusiva che si affiancava alla cosiddetta trama orizzontale, episodio dopo episodio, avvicinandoci sempre più alla scoperta di un mondo nascosto alla vista di tutti.

Anche la colonna sonora curata da Michael Giacchino, già autore delle musiche di Lost, contribuisce in modo determinante a quella ricetta in cui ogni ingrediente ha un ruolo preciso per la riuscita della serie.

Infine, fra le ragioni del successo di Fringe, non si può non nominare uno degli elementi più importanti nella serie: la cifra post-moderna. La serie, nei suoi 100 episodi tondi tondi, divisi in 5 stagioni, rende omaggio a un’infinità di film e di serie precedenti, che sfidano gli spettatori a riconoscere le citazioni e ad apprezzare le citazioni dirette.

Dall’evidente richiamo a X-Files alle citazioni da Lost, dagli omaggi ai classici di fantascienza come Ai confini della realtà e L’uomo che cadde sulla Terra ai riferimenti a Dark City e alla storia per definizione quando si parla di serie TV: quella de I segreti di Twin Peaks, il capolavoro di David Lynch che gli autori di Fringe avevano anche citato direttamente come fonte d’ispirazione insieme a X-Files e E.R.

Fringe: 15 anni fa debuttava la serie di J.J. Abrams con Anna Torv e Joshua Jackson

Fringe ha creato un mondo possibile che si occupa dell’impossibile, e un mondo impossibile che viene trattato come possibile dai protagonisti. Protagonisti che ci regalano tantissimi dialoghi memorabili, in particolare dalla viva voce del dottor Walter Bishop, tanto imprevedibile quanto ricco di sorprese.

Fringe ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del piccolo schermo, ricordando ai grandi network che se una serie può contare su attori di talento e qualità della scrittura, per il pubblico diventa un punto di riferimento.

Tanto da seguirla anche al di fuori dello schermo. I tre personaggi principali diventarono le star più ricercate del momento, tutti volevano intervistare gli attori che li interpretavano, e tutti gli attori volevano un ruolo nella serie.

Così, Fringe vanta una lista di guest star importante Erik Palladino, Martha Plimpton, William Sadler, Brad Dourif, Tim Guinee, John Savage, Theresa Russell, Betty Gilpin… Magari i loro nomi non vi dicono molto, ma vi garantisco che sono tutti volti noti di cinema e TV. Se li vedeste, li riconoscereste come volti familiari.

E poi, naturalmente, c’è stato il “caso” Kirk Acevedo. L’attore che tutti abbiamo amato in quel capolavoro firmato Tom Fontana che è OZ, ha recitato in ben 34 episodi nei panni dell’agente Charlie Francis. Ma dopo la seconda stagione, al rinnovo di FOX per un terzo ciclo di episodi (in cui comunque compariva sporadicamente), il suo personaggio venne fatto fuori per una questione di contrasti con la produzione. Il post di Facebook diffuso nel lontano 2011 dall’attore sul suo profilo ufficiale, in cui annunciava incredulo il proprio licenziamento, fece il giro del mondo. Non era molto comune che gli attori parlassero di questioni contrattuali sui social network, all’epoca. Su quelli che esistevano, almeno.

Naturalmente, ci sono sempre due campane in ogni storia. E la campana ufficiale parlava di un contrasto fra autori e attore nella visione dello sviluppo della storia, che considerava concluso l’arco narrativo del personaggio. Un altro dei misteri di Fringe su cui nessuno, ad oggi, è riuscito davvero a far luce…