Il game designer del mio nemico è mio amico: regole e categorie dei nostri avversari.

Analisi ragionata degli avversari più comuni nei videogames. Chi sono e perchè amano farsi maciullare da noi

Il game designer del mio nemico è mio amico regole e categorie dei nostri avversari

Vi è mai capitato, in un gioco, di trovarvi in una certa situazione e pensare “scommetto che adesso arriva questo nemico” e pochi istanti dopo vincere quella scommessa? A me è capitato di recente e l’ho notato perché stavo passando da un gioco all’altro in maniera abbastanza veloce. Così, durante una partita ad uno di questi, arrivato in un momento di gameplay dove le capacità motorie del mio avatar erano limitate e vedendo arrivare il nemico perfetto per sfruttare questo mio impedimento, mi sono reso conto che non solo me lo aspettavo ma che bene o male i nemici nei nostri giochi possono essere divisi in macrocategorie che poi vengono schierate in ogni titolo con un preciso disegno. Questo perché la creazione dei nemici segue delle regole di game design che permettono allo sviluppatore di tenere alta l’attenzione dei giocatori, mettendoli alla prova con delle sfide che sono come dei puzzle in movimento, dove uno dei pezzi è il giocatore stesso. Può sembrare un pensiero banale scoprire che i nemici sono pensati mettere alla prova il giocatore. Il più banale. Tanto banale che, alcuni sviluppatori, se lo dimenticano.

Il fatto è che un buon nemico non è un oggetto da abbattere con la matematica, superando le sue statistiche. Il buon nemico è il pezzo mancante del giocatore, la sua parte anti-materica complementare che, se non trattata nel modo giusto, cancella prima le sue strategie e poi il giocatore stesso. Allo stesso tempo è lo sprone al miglioramento e all’esplorazione di quello che il gameplay può offrire, fino a piegarlo e spezzarlo (nei casi più riusciti).

Per questi motivi, uno sviluppatore che vuole creare un degno avversario deve tenere in considerazione le abilità dell’avatar del giocatore, il fatto che il giocatore è un essere umano – per tanto imprevedibile, l’ambiente e, infine, la leggibilità delle meccaniche del singolo nemico che lo differenziano dagli altri.

Il game designer del mio nemico è mio amico: regole e categorie dei nostri avversari.

La necessaria non banalità del male

Come scritto nell’introduzione, un nemico non può essere semplicemente della carne da cannone più o meno resistente, dedita all’immolazione. Insomma: non può essere la classica spugna da piombo (dall’inglese lead sponge, vale a dire l’avversario che viene sconfitto semplicemente imbottendolo di colpi e il cui variare della difficoltà dipende solo dalla sua resistenza). Un gioco con nemici di questo tipo è un gioco che presto diventa noioso.

I nemici devono essere piccoli enigmi che, una volta decifrati, chiedono l’applicazione di una strategia differente a seconda dell’enigma. Allo stesso tempo, devono anche essere l’elemento che costringe il giocatore fuori dalla sua zona di comfort, meglio ancora se tale stimolo viene inserito per rendere imprevedibile un passaggio solitamente considerato sicuro. Un esempio molto comune: in un gioco dove il giocatore ha poteri magici, ci sarà sicuramente un nemico immune alla magia e/o uno capace di inibire temporaneamente tali poteri.

Allo stesso tempo, però, un cast di nemici variegato richiede che siano tutti leggibili in modo più o meno esplicito, così che il giocatore abbia la possibilità di ottenere le informazioni necessarie per sconfiggerli. L’applicazione di questa regola dipende dallo sviluppatore. C’è chi predilige la via più diretta, e probabilmente meno stimolante per il giocatore, con un tutorial esplicito nel momento in cui il nuovo nemico entra in gioco (si veda ad esempio Doom Eternal, che spiega come affrontare i diversi demoni con una finestra pop-up la prima volta che li si incontra), e chi invece opta per la semiotica come strumento di elaborazione e informazione. Questa seconda strada è sicuramente la più impegnativa in termini di sviluppo e richiede che il giocatore sia propenso ad imparare sbagliando, ma a conti fatti è anche quella che da più soddisfazione nel suo essere diegetica e quindi coerente con tutta la struttura narrativa e immersiva. Ad esempio, in un gioco di ruolo fantasy, nel momento in cui il giocatore vede che la sua freccia rimbalza sulla pelle del mostro che lo sta caricando capisce anche che gli attacchi a distanza non sono utili contro quel nemico e deve spostare la sua strategia sul combattimento magico o ravvicinato.

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Infine l’ambiente può essere visto come il jolly. A seconda dello sviluppatore può essere un ulteriore ostacolo, parte della difficoltà data dal nemico stesso, o un elemento che il giocatore può utilizzare a suo vantaggio. Questo perché lo scenario è spesso la casa del nemico, in quanto è lui l’elemento stabile e il giocatore quello mobile. Prendiamo nuovamente come esempio il gioco di ruolo, andiamo sul cyberpunk questa volta. La fabbrica abbandonata è il posto perfetto dove mettere dei droidi impazziti. Il giocatore che si avventura in tale ambiente è a casa loro e per tanto è lecito aspettarsi che il posto offra un vantaggio ai droidi (per esempio: i diversi pezzi di ricambio sparsi nella confusione possono essere utilizzati del robot colpito per sostituire la parte danneggiata e tornare efficiente in combattimento). Allo stesso tempo, però, rimanendo sul discorso della leggibilità di prima: quando il giocatore è entrato in quella fabbrica si aspettava quel nemico, con quella abilità particolare e per tanto ha piazzato preventivamente delle mine sulle parti di ricambio, così che il robot quanto va a prenderle salta in aria.

Ricapitolando, quindi, la creazione di un nemico, di un buon nemico, richiede una serie di regole da seguire per tenere alta l’attenzione del giocatore e il tasso di sfida. Un buon nemico è differente dagli altri nemici, dotato di caratteristiche che lo rendono difficile da affrontare senza gli strumenti adatti, ma allo stesso tempo leggibile affinché sia possibile costruire una strategia per affrontarlo. Infine, se si vuole puntare al massimo, dev’essere anche inserito nell’ambiente così che la scena stessa diventi parte dello scontro e, in senso più generale, del piccolo puzzle che si presenta davanti al giocatore nel momento in cui inizia lo scontro.

Per questo motivo è molto più facile che uno sviluppatore si dedichi ad ambientazioni fantastiche, che offrono maggiore flessibilità nella creazione dei nemici. I videogiochi ambientati in contesti più reali aggiungono uno ulteriore tasso di sfida, allo sviluppatore, che se fallisce nell’affrontarla consegna al giocatore un’esperienza invece priva di stimoli.

Il game designer del mio nemico è mio amico: regole e categorie dei nostri avversari.

I rami della famiglia

Detto questo, nonostante la complessità dei giochi di oggi e l’enorme offerta in termini di generi e qualità renda difficile definire degli archetipi dei nemici, è comunque possibile creare una sorta divisione in famiglie maggiori, dalle quali poi discendono i casi più specifici. Tale divisione risulterebbe più o meno così:

  • -          Carne da cannone: è il nemico base, quello che molto raramente rappresenta una minaccia e che viene messo di fronte al giocatore per farlo sentire più forte e “protagonista”. Questo nemico solitamente è un ostacolo efficace solo ai livelli di difficoltà più alti o nelle situazioni in cui la somma delle parti crea un effettivo pericolo per il giocatore. Esempio: i Grunt di Halo, che da soli sono il nulla, ma insieme, specie se il giocatore ha ancora gli scudi azzerati da un altro scontro, possono infilare il colpo di grazia.
  • -          Soldato: il nemico che è al pari del giocatore se il giocatore fosse guidato da una IA. Rappresenta il tasso di sfida standard. Solitamente privo di abilità particolari, ha solo una resistenza più in linea con l’entità dello scontro e un maggiore aiuto dalla IA. Esempio: il necromorfo di Dead Space, l’Elite di Halo, il Cavaliere Infernale di Doom.
  • -          Elite: è un nemico specializzato, solitamente dotato di abilità o caratteristiche che richiedono al giocatore l’applicazione di una strategia precisa o l’utilizzo di un’abilità specifica. Gli Elite di livello più alto vengono a volte inseriti per la prima volta nel gioco come mini boss singoli, così che il giocatore possa vedere i suoi pattern di attacco e scoprire i suoi punti deboli. Poi, nelle fasi più avanzate del gioco questi nemici vengono inseriti nella mischia insieme agli altri per alzare il tasso di difficoltà. Esempio: i Baroni Infernali e i Predoni di Doom Eternal, gli Hunter di Halo, i Mutanti di Fallout.
  • -          Supporto: sono avversari raramente dannosi in modo diretto, ma che hanno abilità e capacità che aiutano gli altri nemici o ostacolano in modo diretto il giocatore inibendo alcune sue possibili strategie. Esempio: i Clicker di The Last Of Us.
  • -          Disturbo: nemici con ancora meno resistenza di quelli basilari. Frequentemente privi di qualsiasi strategia e spesso e volentieri di stampo esplosivo o simile. I nemici di disturbo servono solo per, appunto, disturbare e aumentare la confusione in battaglia. Esempio: i Paramiti di Destiny, le spore Flood di Halo, i Cistoidi di Prey.

Il game designer del mio nemico è mio amico: regole e categorie dei nostri avversari.

Poi, chiaramente ci sono i Boss, che meriterebbero un discorso a parte e che possono essere al centro di sezioni di gameplay così ispirate da entrare nella storia dei videogiochi, se non addirittura permettere la creazione di giochi basati solamente su boss fights. Ma, appunto, sono soggetti da soli per altrettanti paragrafi.

Infine, una piccola riflessione: il problema più grande per un nemico, e quindi per un gioco, è proprio quello di essere poco leggibile, dando l’impressione di barare. Quando ci infuriamo di fronte alle sconfitte nei giochi, i motivi possono essere due: o abbiamo sbagliato e non vogliamo ammetterlo, o il nemico sembra invincibile. Se sembra invincibile può essere che tale sensazione nasca proprio dall’incapacità di scorgere una strategia efficace per affrontarlo. In questo caso il gioco non sta barando nel senso stretto del termine, ma sicuramente sta sfruttando una zona d’ombra nata dal fatto che il gioco sa perfettamente quali sono gli strumenti in mano al giocatore, ma non viceversa. In questo caso è un errore di game design e poco ci si può fare.