Perché abbiamo dovuto aspettare così tanto per Zootropolis 2? La produttrice del film e le voci italiane raccontano il lungo lavoro al film

Zootropolis 2 nasconde un lavoro immenso da parte degli studios d’animazione Disney: la produttrice del film e le voci italiane del doppiaggio hanno raccontato quanta energia e tempo è costato il film.

Perche abbiamo dovuto aspettare cosi tanto per Zootropolis 2? La produttrice del film e le voci italiane raccontano il lungo lavoro al film

Dato il successo ottenuto dal primo capitolo, viene da chiedersi perché ci sia voluto tanto per vedere in sala Zootropolis 2: sono trascorsi nove anni dall’esordio in sala di Judy e Nick, durante cui i fan della coppia si sono potuti consolare solo con una serie animata dedicata.

A fare luce sull’impegnativo dietro le quinte del suo sequel ci ha pensato la produttrice del film Yvett Merino, arrivata a Roma per presentare il film insieme a Michel Giraud, Max Angioni, Matteo Martari e alle altre voci del cast di doppiaggio italiano. Per non deludere le aspettative e confezionare un lungometraggio all’altezza del predecessore è stato necessario un plotone di animatori: oltre settecento professionisti impegnati per bene quattro anni, spesso su dettagli che il pubblico scorge appena, perché nascosti negli sfondi, nella folla di animali che popola la città e nelle architetture di Zootropolis.

Perché abbiamo dovuto aspettare così tanto per Zootropolis 2? La produttrice del film e le voci italiane raccontano il lungo lavoro al film

Yvett, da produttrice puoi spiegarci perché ci è voluto così tanto per realizzare Zootropolis 2?

Yvett Merino – È semplice: questi film richiedono circa quattro o cinque anni di lavorazione per raggiungere il livello che ci si aspetta da loro. Dopo il primo Zootropolis, i registi Byron Howard e Jared Bush hanno iniziato Encanto, che ha loro richiesto cinque anni di lavoro. Subito dopo si sono messi di nuovo all’opera su Zootropolis, che ha richiesto altri quattro per questo film. Ecco spiegato il divario.

Yvett, il tema della famiglia è centrale nel film. Come lo avete affrontato?

Yvett Merino – La famiglia è sempre una parte importantissima, sia quella in cui nasci sia quella che scegli, come succede per Judy e Nick. Volevamo concentrarci sul loro rapporto di colleghi e persone vicine a livello emotivo, sulla sua evoluzione. Questo film inizia immediatamente dopo il primo, quindi li vediamo incontrarsi di nuovo, conoscersi meglio, approfondire la loro relazione. Scoprono che non vedono il mondo allo stesso modo, e questo accade anche a noi: puoi allontanarti da qualcuno e poi riavvicinarti con un legame più forte.

Ilaria, è la seconda volta che dai la voce alla coniglietta del film. Chi è per te Judy Hopps, ora che l’hai vista crescere?

Ilaria Latini – Judy per me è una ragazza iperattiva, come spesso succede ai geni: una personalità forte, determinata. E poi è una donna, anche se è una coniglietta, quindi fisicamente “esile”: proprio per questo deve dimostrare la sua forza. Credo che questo suo complesso le dia una spinta enorme, insieme alla parte più operativa, per riuscire sempre in ciò che vuole.

Ritrovarla è stato come tornare a casa. E poi c’è stata un’atmosfera meravigliosa in sala: Lavinia, Federica, Alessio che organizzava il lavoro… si è creata una sintonia molto simile allo spirito di Zootropolis, con il rispetto dei ruoli e delle differenze di ognuno. Era come se fossimo tutti andati da una terapista… animale, in questo caso. Per il terzo film, magari, lavoreremo per doppiare con le orecchie, che è il mio sogno segreto.

Perché abbiamo dovuto aspettare così tanto per Zootropolis 2? La produttrice del film e le voci italiane raccontano il lungo lavoro al film

Cosa significa per te entrare nel personaggio di Judy?

Ilaria Latini – Per me è stato bellissimo. Entrare nel personaggio è stato sorprendentemente facile: abbiamo empatizzato immediatamente io e lei. La parte difficile è uscirne (ride). È successo già tanti anni fa e ora non so se ce la farò: è davvero difficile lasciare andare Judy Hopps.

Alessandro, come ritrovi Nick Wilde in questo secondo film?

Alessandro Quarta – Nick è un allegro guascone: se può approfittarne, lo fa. Però in fondo ha un grande cuore. Alla fine i suoi principi più opportunistici lasciano spazio ai valori autentici, quelli veri, quelli con la v maiuscola.

Per noi doppiatori il gioco è sempre stare sul confine tra l’entrare e l’uscire dal personaggio: essere con loro e al tempo stesso guardarli da fuori. Per me è stato come ritrovare un vecchio amico, qualcuno di caro. Mi sono divertito tantissimo, come nel primo film ma ancora di più, e spero nel terzo di divertirmi ancora di più.

Nick Wilde è un personaggio fantastico, mi piace moltissimo. E ieri, vedendo il film tutti insieme, si è creata subito una complicità incredibile tra noi: è lo stesso spirito con cui si fa un film del genere. Il messaggio funziona davvero quando anche chi ci lavora dentro diventa parte di quel significato profondo.

Max, cosa ti ha colpito di Gary De’Snake?

Max Angioni – Mi ha colpito il fatto che viva un pregiudizio enorme: per tutti a Zootropolis i serpenti sono sinonimo del male assoluto. Lui invece si prende sulle spalle un ruolo positivo, dolce, però davvero rivoluzionario nel voler cambiare questa percezione. Io sono cresciuto con la paura dei serpenti, tra l’altro. Invece Gary è il primo serpente “iperbuono” che i ha fatto cambiare idea. Si batte per Zootropolis ma anche per cambiare la percezione dei serpenti nel mondo, in generale. Insomma, è un personaggio che sembra negativo all’apparenza, ma dentro è pieno di positività: questo mi ha affascinato.

Qual è stata la sfida più difficile da doppiatore?

La parte più difficile, per me, paradossalmente sono state le battute “normali”, quelle in cui Gary spiega cosa succede. I versi, le esplosioni, i “boom!” mi venivano naturali: li faccio da quando ho cinque anni, sono figlio unico e giocavo da solo facendo le vocine ai pupazzi. Mettere tutto questo dentro un personaggio è stato un passo in più.

Michela, quanto è stato impegnativo dare voce a Nibbles Maplestick?

Michela Giraud – Quando mi hanno chiamata per un personaggio Disney pensavo che avrei doppiato la Gazelle di Shakira, perché la somiglianza tra noi è evidente e innegabile (ride). Poi ho visto Nibbles con quei dentoni fantastici e ho pensato: “Sono io a cinque anni”. Mi somiglia, ero davvero così da piccola. Ho mandato la foto ai miei amici e tutti mi hanno detto che le somiglio davvero.

Dal punto di vista fisico doppiare è stato faticosissimo: ne uscivo distrutta, come una sessione di CrossFit. Tra l’altro la sua interprete americana, Fortune Feimster, è una comica con una voce potentissima e starle dietro richiede davvero molta energia. Abbiamo lavorato tantissimo grazie a Massimiliano Manfredi. Voglio ricordare tutto il team che mi è stato di supporto: Federica Funaro, Alessio Panimolle, Sara Sorrentino, Lorenzo Cialantini.

Perché abbiamo dovuto aspettare così tanto per Zootropolis 2? La produttrice del film e le voci italiane raccontano il lungo lavoro al film

Tu hai un accento marcatamente romano…come hai fatto ad attenuarlo?

Michela Giraud – Per me la sfida più grande è stata tenere a bada la romanità. Io vengo dalla stand-up, uso il corpo, l’accento, l’energia, e all’inizio in sala uscivano fuori tutti i “cecìo”, “famiglia”, “mi fijio”, “te porto a cena al Troppìo”… piano piano, con molta delicatezza, mi hanno fatto capire che andava pulito tutto.

Per affrontare questo lavoro ho preso lezioni di voce e ogni mattina leggevo in dizione, con la bottiglietta e il tubo di gomma: arrivavo in sala tipo Carmelo Bene. Entravo piena di paure (perderò la voce, dirò cose terribili) ma questi piccoli rituali mi hanno aiutata.

La parte più difficile è stata il momento dell’abbraccio, quando dovevo essere tenera. Io mi sono allenata per anni a essere un personaggio aggressivo, quindi quando Massimiliano mi chiedeva: “Qui devi essere dolce, hai mai voluto bene a qualcuno?”, io andavo in blocco. Usare solo la voce, senza il corpo, è come essere nudi. Però, con Massimiliano, Lavinia e tutti gli altri, è diventato più semplice. A volte mi toglievano l’audio inglese e io recitavo “a vuoto”, seguendo solo il ritmo: così sono riuscita a sbloccarmi.

Alla fine è stata un’esperienza stupenda: ho scoperto di poter affrontare una mia grande paura, quella di usare solo la voce. È come avere acquisito una superpotenza. Mi piacerebbe studiare ancora e ripetere un’esperienza del genere.

Cosa ti piace del tuo personaggio?

**Michela Giraud –**Amo Nibbles perché è un ponte comunicativo: vuole essere se stessa e basta, senza preoccuparsi del giudizio degli altri. Usa l’ironia per collegare i personaggi e a un certo punto “mette una toppa” quando Nick e Judy si allontanano. Fa capire che basta parlarsi per aggiustare le cose. È un personaggio chiave che amalgama tutto e ricorda ai protagonisti e a noi che volersi bene conta più di ogni incomprensione.

Matteo, com’è stata l’esperienza di dare voce al sindaco Brian Winddancer?

Matteo Martari – Per me è stato un sogno che diventa realtà. Non solo lavorare con Disney, ma proprio diventare un cavallo. È sempre stato un mio piccolo sogno nel cassetto, e qui l’ho realizzato, quindi grazie per questa opportunità.

È stato un lavoro incredibile. Siamo stati accompagnati passo passo, perché bisogna prendere le misure con il registro del doppiaggio, che è diverso dal recitare in scena ed è estremamente affascinante. Mi unisco ai ringraziamenti di Michela verso tutte le persone che hanno lavorato dietro le quinte. Per me è stata un’esperienza straordinaria.

La cosa più difficile per me è stata il sync. Ti dicono: “Devi andare in sync”, e tu capisci che devi dire le battute esattamente nel tempo in cui le dice il personaggio, con il tuo modo, mentre sotto senti ancora la voce inglese. Devi leggere velocissimo, capire cosa stai dicendo, interpretare nel modo giusto e restare perfettamente a tempo. È stato impegnativo, ma anche molto affascinante.

Yvett, il film racconta una minoranza perseguitata e marginalizzata. Quanto vi ha influenzato il clima politico e sociale contemporaneo?

Yvett Merino – Il primo film parlava già di discriminazione e pregiudizio, quindi volevamo continuare la storia di Judy e Nick su quella linea. Oggi il tema è molto attuale, ma in realtà lo era anche vent’anni fa, e probabilmente lo sarà anche tra altri vent’anni. Purtroppo sono questioni che la società si trova ad affrontare ciclicamente.

La nostra speranza è che questo film aiuti le persone a parlare delle differenze, di come vediamo il mondo in modo diverso, e di come, provando davvero a capirci, si possa trovare un terreno comune e avvicinarsi invece di allontanarsi.

Michela GiraudÈ una cosa importantissima. Durante il doppiaggio ci siamo resi conto di stare partecipando a qualcosa di enorme: il primo Zootropolis ha avuto un’eco incredibile e questo sequel non è da meno. È fondamentale che un film del genere — un film d’animazione, ma molto trasversale, che piace quasi più agli adulti che ai bambini — contenga messaggi così forti.

I temi sono drammaticamente attuali. Si parla di marginalizzazione, di odio verso l’altro, ma anche di psicoterapia, di relazioni, di rapporti di coppia, di amicizia. Sembra quasi che, per parlare davvero di temi “da adulti”, si debbano far parlare gli animali. E funziona: il film è comico, divertente, poi a un certo punto ti arriva una scena che ti fa riflettere. È tremendo e potentissimo, e il fatto che sia Disney a farsi carico di questo messaggio, in questo modo, è fondamentale.

Il film è, a tutti gli effetti, un buddy cop movie. Vi siete ispirati ai grandi titoli del genere?

Yvett Merino – Abbiamo visto e amato tanti film di coppie di poliziotti, i classici buddy cop. Una cosa che abbiamo notato è che spesso non hanno molti sequel: alla fine del film i due protagonisti hanno risolto il conflitto, stanno bene insieme, e la tensione si allenta. Con Judy e Nick, invece, volevamo proprio concentrarci sulla loro relazione: nel primo film si conoscono da due giorni, qui la storia continua e li seguiamo mentre affrontano nuove sfide insieme.

Per le ambientazioni, in particolare il quartiere dei roditori e degli “scartati”, vi siete ispirati a luoghi reali?

Yvett Merino – In realtà non ci siamo ispirati a location precise. Ci siamo chiesti piuttosto come sarebbe la città dal punto di vista degli animali. Il nostro team di design, guidato da Cory Loftis, ha lavorato partendo dalla domanda: “Come vivono davvero questi animali?”

Abbiamo pensato a come potrebbero muoversi animali semi-acquatici che vivono sia sopra sia sotto l’acqua, e abbiamo costruito i loro mondi di conseguenza. Non è stata tanto una ricerca di luoghi reali, quanto un lavoro su come potrebbero vivere in una città pensata da loro e per loro. Nel film la psicoterapia ha un ruolo sorprendentemente centrale, con la dottoressa Fizzby. Perché questa scelta?

Yvett Merino – Credo che abbiamo tutti bisogno di terapia. Per Judy e Nick era il momento giusto per interrogarsi davvero sulla loro relazione. Se si ascoltano con attenzione le sedute con la dottoressa Fizzby, e ciò che lei fa emergere di ognuno dei due, si capisce che sta anticipando i nodi che vedremo svilupparsi nel corso del film. Per noi, da autori, parlare ogni giorno di questi conflitti in una storia è stato un po’ terapeutico a nostra volta.

Tema intelligenza artificiale: che ruolo ha in un film come questo e, più in generale, nell’universo Disney?

Yvett Merino – Questo film è stato realizzato da circa 700 esseri umani, che hanno curato ogni singolo fotogramma. Una delle gioie del mio lavoro è vedere un’idea nascere da una discussione in sala sceneggiatori, diventare uno schizzo su carta, poi un ambiente costruito, poi un personaggio animato, fino a una scena che vive sullo schermo.

In un’epoca in cui la soglia di attenzione sembra ridursi sempre di più, quanto è complesso realizzare un film così lungo, denso e capace di tenere il pubblico incollato allo schermo?

Yvett Merino – È molto difficile. C’è tantissimo lavoro dietro. Tutti noi amiamo il cinema, e sapevamo che, tornando nel mondo di Judy e Nick avremmo dovuto essere almeno all’altezza del primo film, se non andare oltre. Questo è il film più ambizioso che abbiamo mai realizzato ai Walt Disney Animation Studios: ha richiesto il contributo di praticamente ogni persona in studio.

Quanti easter egg ci sono nel film? Li avete mai contati?

Yvett Merino – Non lo sappiamo! Ci sono alcuni grandi easter egg voluti dai registi e molti altri inseriti dagli artisti durante la lavorazione, in modo indipendente. Piccoli occhiolini di cui non siamo nemmeno consapevoli Ogni volta che rivediamo il film scopriamo qualcosa di nuovo. Lasciamo agli artisti la libertà di divertirsi e mettere il loro tocco personale. È impossibile contarli davvero: alcuni non li ho ancora scoperti nemmeno io. Conta poi che c’è un team di lavoro che si occupa delle folle, dei personaggi sullo sfondo, creando delle vere microstorie che si svolgono alle spalle di Judy e Nick. Loro per quattro anni si sono dedicati a questo: per questo è davvero impossibile contare gli easter egg di Zootropolis 2.

Ultima domanda: quale personaggio di Zootropolis/Zootopia servirebbe di più nel nostro mondo reale?

Yvett Merino – Sono sempre stata una grande fan di Judy Hopps. È l’unica che ha un sogno e lo insegue a qualunque costo. Ma quello che amo di più di lei è che è imperfetta: sbaglia, si interroga, mette in discussione se stessa. Mi ci sono sempre identificata molto.

Se parliamo dei personaggi di cui avremmo più bisogno nel mondo reale, direi un po’ di Gary, molta dottoressa Fizzby (ne avremmo tutti un gran bisogno) e anche tanta Nibbles Maplestick: di quella sicurezza, di quella capacità di essere se stessi senza paura.

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