La Tartaruga Rossa

Uno dei motivi per cui siamo propensi a goderci un film, o un videogioco se volete, è essenzialmente legato a doppia mandata al nostro desiderio di evadere la realtà. Che si tratti di un viaggio nello spazio profondo, oppure di un tuffo in qualsivoglia periodo storico imprecisato, il desiderio resta sempre lo stesso. L’evasione.

Il tema è stato più volte sfruttato in chiavi di lettura diverse, ognuna avente un proprio veicolo comunicativo utile a trasmettere un ventaglio di emozioni. Nel caso de La Tartaruga Rossa, la chiave di lettura diventa all’occorrenza una fusione di due universi concettuali ad un emisfero di distanza, dato che il primo è quello francese rappresentato da Michael Dudok de Wit, mentre il secondo prende riferimenti all’interno dello Studio Ghibli, precisamente nella figura di Isao Takahata.

Il rapporto tra i due è nato molti anni fa, all’incirca nel 2001, quando Dudok de Wit vinse diversi premi per il proprio cortometraggio Father and Daughter. Un’opera toccante, che colpì positivamente Takahata al punto da coinvolgerlo per la produzione di questo nuovo lungometraggio, uscito nelle sale italiane nei giorni 27, 28 e 29 marzo scorsi.

Filosofia attraverso le immagini

La trama, evitando di entrare nel dettaglio, narra la storia di un naufrago che si trova prigioniero su un’isola deserta. Tenta più volte di fuggire costruendosi delle imbarcazioni di fortuna, ma tutti i suoi sforzi vengono vanificati da una tartaruga rossa, che sembra costringerlo a rimanere sull’isola per delle motivazioni sconosciute. L’incontro con questo animale unico nel suo genere gli cambierà però la vita, in un modo che non ci teniamo a raccontarvi, perché va vissuto per tutti i 90 minuti spesi davanti a questo eccelso lungometraggio d’animazione.

Al posto però di veicolare il messaggio mediante l’uso del dialogo, il film fa leva completamente sulle immagini, dando in pasto allo spettatore una successione di sequenze completamente sorrette sul suono. Questo tipo di comunicazione non verbale all’inizio può lasciare un po' spaesati, ma con il passare dei minuti tutto sembra ottenere un proprio senso, non soltanto per l’uso di una colorazione eloquente, peraltro coadiuvata da disegni animati in digitale, quanto a mano con l’uso del carboncino.

Un film che vuole esprimere molto in maniera del tutto inusuale, sfruttando un vero e proprio caleidoscopio di emozioni che alludono, come metafora, alla vita di ognuno di noi. C’è un inizio ed una fine, mitigato da un trascorso che vede episodi violenti alternati ad altri intimamente amorosi, narrati con un’armonia incapace di annoiare.

Anche le fasi oniriche, sapientemente dirette specialmente sfruttando la colorazione del bianco e nero, comunicano messaggi importanti senza fare uso di una singola parola. Sono le note audio di Laurent Perez del Mar ad accompagnarci in questo viaggio, dove il ciclo naturale della vita viene narrato senza imbarazzo e senza la necessità, a volte necessaria, di voler alleggerire anche i momenti più tragici.

Tartarughe all’orizzonte

Una parola va spesa anche in merito al confezionamento della versione home video. Il pacchetto si presenta proprio a forma di tartaruga, regalandoci al suo interno un unico disco DVD9, contenente per intero il lungometraggio d’animazione, il cortometraggio Father and Daughter ed alcuni prodotti multimediali esclusivi, come l’intervista a De Wit effettuata dallo youtuber Dario Moccia e tanti, modesti, documentari su come l’idea è stata adattata alla filosofia orientale di Studio Ghibli.

Tutto materiale estremamente interessante, che riesce a completare l’opera vista nel lungometraggio.