Il cinema di Stephen King: il meglio e il peggio del Re


E ora, dopo aver visto il meglio della produzione, veniamo al lato oscuro dell'orrore.

L'occhio del male

Tratto da un romanzo firmato da King come Richard Bachman (storico pseudonimo del Re), L’occhio del Male (Thinner nell’edizione inglese), è un mediocre film che vede al centro della vicenda la maledizione che uno zingaro lancia ad un avvocato reo di aver ucciso la figlia a seguito di un incidente automobilistico. Ma l’avvocato in questione, interpretato da Robert John Burk, ha una rete di amicizie che lo aiutano a non finire in galera per la sua colpa. Ma niente può contro la maledizione dello zingaro che lo punirà nel modo più orribile, costringendolo a prendere la decisione più difficile della sua vita. Detta così la trama de L’occhio del male potrebbe anche non essere delle peggiori. Peccato che regista e interpreti non siano assolutamente all’altezza della situazione e, complice anche effetti speciali al limite del ridicolo, il prodotto finale è veramente di infima qualità, passando quasi del tutto inosservata. Per la cronaca: il film è appena atterrato su Amazon Prime, se avete qualche ora da buttare…

Il cinema di Stephen King: il meglio e il peggio del Re

I sonnambuli

Quello sceneggiato dallo stesso King è un film creato ad hoc per il cinema, basato su un suo scritto che non ha mai visto la luce. Una pellicola confusa e stiracchiata, dove una incestuosa coppia di vampiri (madre e figlio), arrivano in una tranquilla cittadina del Maine, costretti ad una vita nomade per non essere perseguitati per le loro attività notturne. La prassi vede il giovane vampiro, interpretato dal belloccio Brian Krause, cercare di ingraziarsi i favori della giovane ragazza di campagna di turno (Madchen Amick) per poi farne una facile preda da servire alla madre. I vampiri hanno un solo punto debole: odiano i gatti, e saranno proprio questi a mandare a monte i loro piani. In mezzo, effetti digitali davvero trascurabili, e una trama piatta e prevedibile. Si fa davvero fatica ad arrivare all’ultimo dei 90 minuti di pellicola. Unica nota positiva, i camei di tanti mostri sacri del cinema horror, da Landis a Barker e allo stesso King. Per il resto, evitatelo.

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Il Tagliaerbe

Film forse non terribile in sé, ma una trasposizione che prende solo il nome da un racconto di King, senza rispettarne il contenuto. Se nello scritto originale il Taglierbe era “semplicemente” un tizio che, ingaggiato per tosare un prato, ha la brillante idea di denudarsi e fare lui stesso da Tagliaerbe (vado a memoria, eh), nel film il concetto viene completamente stravolto. Una cosa che niente a che vedere con il libro (il film parla di Realtà Virtuale), e che costringe King a portare in tribunale la New Line affinchè il suo nome venga rimosso dai credits. Pierce Brosnan e Jeff Fahey sono i protagonisti di una pellicola guardabile, ma non sotto l’ottica kinghiana.

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La torre nera

Che tonfo. La saga più ambiziosa dello scrittore ridotta ad un agglomerato senza troppo senso di “soli” 90 minuti. Una produzione lunga e difficile, passata di mano in mano fino ad arrivare alla regia di Nikolaj Arcel. L’idea era quella di rappresentare L’ultimo Cavaliere e cercare di dare vita ad una vera e propria saga cinematografica o, alla peggio, un enorme Pilot per una possibile serie TV. Idris Elba e Matthew McConaughey sembravano essere la giusta per comunicare al grande pubblico la grandiosità del progetto ma il risultato finale è davvero molto lontano da quello sperato, sia in termini qualitativi che in quelli relativi al Box Office, facendo battere in ritirata anche Amazon che si era dimostrata interessata a portare la serie TV sulla propria piattaforma. 

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Brivido

Qui il fallimento è tutto del Re. Tratto da “Camion”, racconto breve contenuto nella raccolta “A volte ritornano”, Brivido vede un piccolo gruppo di persone asserragliate all’interno di un fast food per far fronte all’improvvisa ribellione delle macchine. Complice il passaggio di una cometa che ha evidenti ripercussioni su tutti i sistemi elettronici, le macchine prendono coscienza per ribellarsi al genere umano. Il diretto risultato del film, diretto dallo stesso Stephen King, è quello di essere involontariamente comico, facendo perdere quasi completamente il lato inquietante della vicenda, tra bancomat che danno dello “stronzo” allo stesso King improvvisato attore e flipper impazziti. E’ evidente che il linguaggio romanzato e quello cinematografico siano due cose completamente diverse e King (che tra l’altro ammise di essere in uno dei periodi in cui faceva uso di stupefacenti), ha dimostrato di non essere in grado di padroneggiarlo con la stessa maestria.

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The Cell

Già il romanzo non era il massimo (ammettiamolo, dai), il film non poteva essere altrimenti e non sono bastate due star come John Cusack e Samuel Jackson a risollevare le sorti di un film nato male e finito peggio. Un peccato, perché lo spunto iniziale non è dei più stupidi e utilizza i normali smartphone come veicolo per un virus informatico che “zombizza” gli sfortunati possessori dei telefoni incriminati. Solo una piccola parte della popolazione sopravvive a questo olocausti tecnologico che cercheranno di far fronte ad una situazione diventata ovviamente ostile. Ma è proprio qui che il film zoppica e cade malamente, perché ad un incipit tutto sommato interessante fa seguito una progressione banale e scontata che non offre nessuno spunto di genialità rispetto ai dettami del cinema di genere.

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Unico indizio La Luna Piena

Il libro in questione venne scritto da King durante una vacanza (quasi interamente in aereo, per la verità) ed era stata originariamente pensata come una favola per il figlio più piccolo. Ovviamente nell’accezione del termine secondo l’ottica kinghiana, precisiamo. E’ la storia di un giovane ragazzino costretto alla sedia a rotelle che deve far fronte, assieme al resto della sua famiglia, ad una serie di misteriose sparizioni attribuibili ad un lupo mannaro. E se già di per sé la situazione è di quelle toste, le cose si complicano quando i bambini scoprono chi, realmente, si cela dietro il la figura del licantropo. Peccato, però, che alla regia non ci sia John Landis, ma l’esordiente Daniel Attias (che poi, infatti, finisce per lavorare unicamente sulle serie TV) e il risultato finale è proprio quello di un film senza mordente e piatto in termini di emozioni, mettendo in secondo piano gli effetti speciali capitanati da Carlo Rambaldi.

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The Mangler

Per la serie “Di macchine possedute abbiamo già Christine”, ecco arrivare addirittura una pressa industriale che sceglie attentamente le sue vittime per trangugiarle per intero, o a tocchetti. Il grande Tobe Hooper qui prende un abbaglio e mette la firma su un prodotto scadente in tutti i settori, sceneggiatura, storia, effetti e che si appoggia troppo al protagonista, in quel momento universalmente riconosciuto come vera incarnazione dello spirito horror più assoluto: Robert Englund. Peccato che il suo William Gartley non si avvicini nemmeno a Freddy Krueger e i limiti della pellicola emergono dopo qualche minuto, trascinandosi stancamente fino alla fine. Shame on you, Tobe

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Desperation

Film per la TV sceneggiato dallo stesso King e tratto dall’omonimo romanzo pubblicato contestualmente a “I Vendicatori”, scritto con lo pseudonimo di Richard Bachman. I due romanzi condividevano situazioni e personaggi anche se, ovviamente, con storie differenti. Due turisti capitano casualmente a Desperation e vengono tratti in arresto dallo Sceriffo Entragian che, dopo un iniziale colloquio del tutto informale, inizia a dare i primi segni di squilibrio e follia. Lo sceriffo, interpretato da Ron Perlman, è sotto il malefico influsso di una presenza demoniaca liberata durante uno scavo nella miniera del paese. Perlman sembra essere la versione horror di un Pozzetto che continua a ripetere “Taaaak” e il film naufraga in tutta una serie di situazioni al limite del ridicolo, sposando alla perfezione il concetto che lo stesso King ha descritto in uno dei suoi romanzi dove dichiarava che Horror e comico sono due dei generi letterari più complessi. Se messi in mani inesperte possono essere facilmente confusi. Ipse Dixit.

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Il gioco di Gerald

Altro film per la TV, dove viene preso in esame uno dei libri meno ispirati di King. Anche in questo caso il set è claustrofobico, perché il tutto avviene all’interno di una camera da letto. Un gioco erotico tra Jessie (Carla Gugino) e Gerald (Bruce Greenwood) finisce in tragedia. Gerald muore per un attacco cardiaco, lasciando la moglie ammanettata al letto. La coppia si trova in una casa isolata e nessuno può sentire le grida d’aiuto della donna, lasciata al suo destino. Da qui in poi i pensieri di Jessie vagherà all’interno della sua psiche, costringendola a scovare, all’interno della sua problematica infanzia, una possibile soluzione al problema, che la costringerà però a dover fare un importante sacrificio. Il tutto mentre il cadavere del marito viene fatto oggetto delle attenzioni degli animali della zona, attirati dagli odori della decomposizione e da una misteriosa figura che sembra fare periodicamente visita alla donna, che riesce però soltanto a scorgere la sua ombra. Un film (e un romanzo), molto lento e senza particolari spunti di genio, se non per una connessione telepatica che in un particolare momento del romanzo, mette in comunicazione Jessie con Dolores Claiborne (altro romanzo di King). Delude soprattutto il finale, davvero molto insipido.

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