Timothée Chalamet: “Bob Dylan non mi ha voluto incontrare per A Complete Unknown e capisco perché”. La conferenza stampa
Il protagonista e il cast di A Complete Unknown spiegano perché Bob Dylan è ancora rilevante oggi ma come, al contempo, per gli artisti contemporanei sarà difficile replicarlo.

Nel primo tempo di A Complete Unknown il giovane Bob Dylan si sottrae alle difficoltà della sua nascente relazione con il personaggio di Sylvie (Elle Fanning) rimanendo a casa sua mentre lei affronta un viaggio di 12 settimane a Roma.Oggi, 17 gennaio 2025, il cast del film e l’interprete del giovane protagonista in odore di nomination all’Oscar proprio per il ruolo di Bob Dylan presentano questo film biografico musicale proprio nella capitale italiana.
Con un primo pensiero a cosa sta succedendo a Los Angeles da parte del regista: “Non voglio banalizzare la questione durante una conferenza stampa, ma da qui è impossibile capire che è successo. Io ho lasciato una cosa senza elettricità e sono tra i fortunatissimi che una casa ancora ce l’hanno. Non c’è nessuno che non conosca un amico o un parente rimasto senza casa, senza una comunità che esisteva poche ore prima. È terribile. È evidente che ci vorranno anni per ricostruire.”
Partecipano alla conferenza:
James Mangold - regista di A Complete Unknown
Timothee Chalamet - Bob Dylan
Edward Norton - Pete Seeger
Monica Barbaro - Joan Baez
Ci sono voluti cinque anni per mettere insieme questo film a causa di molte difficoltà produttive, causate anche dal COVID. Ora che puoi vederlo completato, qual è l’aspetto che ti rende più orgoglioso?
Timothée Chalamet - Ci sono voluti cinque anni e mezzo per preparare il tutto, sì, il che mi ha dato la possibilità di avere tanto tempo più del solito per curare la costruzione del personaggio. Tutti, a partire da James che è qui seduto al mio fianco, abbiamo approcciato questo set con la massima concentrazione. Per quanto mi riguarda ho dato davvero il 150%. Quei due mesi e mezzo di riprese li ho vissuti davvero nei panni di Bob Dylan, dedicandomi completamente a lui. Ho il resto della mia vita per essere me stesso. Sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto, davvero.
Da regista invece James, tu quando hai sentito di essere entrato davvero nel mondo di A Complete Uknown?
James Mangold - Nel film c’è una battuta pronunciata da Timothée che ho scritto io. Bob dice che le persone ricordano solo quello che vogliono del passato. Da decenni si parla molto di Dylan come un cantastorie e credo che il mio compito, da regista, sia proprio quello di mettere in dubbio affermazioni banali, ovvie che siamo solito fare rispetto al soggetto del film. Credo che nella vita mentiamo tutti, o quantomeno enfatizziamo i nostri successi e tendiamo a dimenticarci i fallimenti, o a ridurne l’impatto.
Come narratore io stesso dico che non esiste una verità assoluta su Dylan: abbiamo letto davvero ogni racconto, visto ogni documentario, ascoltato ogni testimonianza…si contraddicono tutti l’uno con l’altro. Persino nei documentari c’è una componente di finzione perché il soggetto sa di essere ripreso, anche dietro le quinte. Non esiste una verità assoluta, su Dylan e su ognuno di noi. Ovviamente abbiamo inserito un dato ordine cronologico, una certa verità fattuale, ma volevamo avere il tono cinematografico giusto, cercando di restituire che vibrazioni potessero avere queste persone che stavano scrivendo canzoni e facendo cose senza essere consapevoli dell’impatto culturale enorme che avrebbero avuto.
Interpretare Pete Seeger deve essere come fare un viaggio alla radici della cultura musicale americana: ti vediamo suonare il banjo e sembri parecchio bravo. Cos’altro ci puoi dire di questa esperienza?
Edward Norton - YouTube è stato la mia salvezza. È davvero sorprendente cosa puoi trovare su YouTube. Se avessimo fatto questo film 20 anni fa mi ci sarebbe voluto uno anno e più di lavoro per trovare tutto quel materiale. Un paio di clip e puoi trovare un video di Seeger che 50 anni suonava una canzone in un bar di Berlino.
Poi sai, James è un po’ uno psicoterapeuta. Ci ha detto di non rimanere troppo attaccati alla storia dei singoli, ma di capire che al centro c’è il rapporto umano di un giovane che incontra un uomo più maturo e i due si ammirano reciprocamente. Ci siamo sentiti liberi quando lui ci ha detto che ci potevamo lasciare un po’ andare.
Monica, so che hai anche incontrato Joan Baez durante la tua preparazione.
Monica Barbaro - Edward ha ragione, come attori abbiamo sempre la pressione di essere il più fedeli possibile alla fonte e io faticavo un po’ a non pensare ai fan di Joan che avrebbero voluto una copia perfetta. La risposta che cercavo l’ho trovata in una sua recente intervista in cui diceva che quando si punta troppo alla perfezione, si lavora a scapito del risultato artistico. Se vale per la musica, a maggior ragione per la recitazione, no? Joan non sarebbe mai stata così accurata da privarsi della propria personalità. Ci sono tanti documentari su queste persone, Joan è ancora viva e può parlare per sé. Questo è un racconto e mi sono fidata completamente delle indicazioni di James. Abbiamo fatto tanta preparazione, ovviamente, ma abbiamo anche imparato a metterla da parte, quanto necessario.
Alle volte Jim in questo senso è un po’ duro “Smettila cazzo di raccontarmi cosa è successo, non sto facendo una pagina di Wikipedia, sto facendo un film!”. È stato molto utile per tirarmi fuori dalle mie insicurezze.
James Mangold - Ovviamente volevo somigliassero ai loro personaggi ma c’è un lavoro sull’esteriorità. L’interprete lavora sull’aspetto esteriore, il modo di muoversi e atteggiarsi, su come cammina e cosa indossa, la voce ovviamente, ma poi c’è interiorità. Il pericolo che ho sentito che è l’aspetto esteriore diventasse così centrale, così ossessivo da ridurre al minimo il lavoro sull’interiorità.
A Complete Unknown è un film che parla di un giovane ragazzo che parla di grandi ideali. Sei tu stesso molto giovane. Pensi che questo personaggio possa ispirare la tua generazione?
Timothée Chalamet - Sinceramente non lo so. Bob Dylan ha sicuramente un grande impatto culturale anche oggi, a decenni di distanza di quando interpretò per la prima volta le sue canzoni: questo a testamento dell’importanza delle sue composizioni. Eppure non posso che chiedermi, considerando il cinismo della nostra epoca, come verrebbe accolto un cantautore, un’artista che si presentasse sulla scena con un messaggio politico così esplicito. Magari qualcuno lo fa, ma credo che da parte di molti verrebbe accolto in maniera respingente, con scetticismo*.*
Monica Barbaro - Credo che alcune delle canzoni di Bob Dylan si riferiscano a un momento storico molto specifico, ma come mi ha fatto notare James all’inizio della lavorazione, una grande fetta del suo corpus è più ambiguo, vago, si concentra sull’ipocrisia umana. Per questo “Blowing in the Wind” è un commentario sociale che risuona ancora oggi esattamente per questo motivo. La sua voce è durata per decadi perché parla di cose importanti. Credo avverrà lo stesso con artisti contemporanei come Kendrick Lamar.
Quindi in un certo senso vi rivedete in questo approccio guardingo alla fama di Dylan?
Timothée Chalamet - A me piace fare il lavoro di promozione dei miei film, ma ha un impatto sul modo in cui ti vedi. Credo sia per questo che Bob Dylan non mi abbia voluto incontrare, per lui era importante la sua arte.
James Mangold - Dylan ci ha aiutato lo stretto necessario, ma non ha mai voluto vedere il risultato finale del nostro lavoro e io rispetto questa sua scelta. Non è che non parlando con i giornalisti dei propri progetti uno voglia necessariamente tenerli segreti, è che quando si parla d’arte spesso si parla di processi che hanno del magico, che si rovinano facilmente. Mantenere la propria stella polare artistica può diventare difficile quando alle volte anche una singola domanda ben intenzionata di un giornalista ti rimane bloccata in quello che c’è tra le due orecchie. Quando fai il film successivo, quando fai il tour promozionale l’anno dopo, continui a pensare a quella singola domanda. Mantenere la mente pulita e funzionante a fronte di questo possibile…inquinamento è davvero una sfida. Forse Bob l’aveva capito prima di tutti gli altri.
Io credo che viviamo in un periodo di anestesia e la musica, i film…tutto viene creato per far passare il tempo, senza disturbarci, incontrando esattamente le nostre aspettative. All’epoca il pubblico voleva essere sorpreso, oggi il pubblico ti chiede di anestetizzarlo. Oggi è difficile realizzare qualcosa che piaccia al pubblico sfidandolo, senza anestetizzarlo.
Monica Barbero - Come lui a volte mi sento inscatolata in uno stereotipo. Ti faccio un esempio. Dopo aver fatto Top Gun: Maverick avevo sulla scrivania solo ruoli di stampo militare, mi sono arrivati 5 o 6 copioni di questo tipo. Ora ho fatto questo film e mi arrivano solo proposte per musical. Per questo adoro James: lui ha una carriera che parla da sola di come sappia reinventarsi, viaggiare tra i generi, fare cose molto diverse tra loro, pensando fuori dagli schemi.
Neil Young ha scritto della parole bellissime sul film nel suo blog. C’è qualche altro endorsement alla tua interpretazione che ti ha colpito?
Timothée Chalamet - Mhh, no, ma sto ancora aspettando che si esprima Francesco Totti in merito (ride). Diciamo che gli apprezzamenti che mi hanno più toccato sono quelli del pubblico di Dylan che se lo ricorda negli anni ‘60 e che mi hanno detto di essersi emozionati rivedendolo attraverso la mia interpretazione.