Luca Guadagnino racconta Bones and All: sognavo da anni di raccontare il Midwest americano, ma non ero ancora pronto

Bones and All farà parlare di sé per le sue scene shock: i protagonisti Lee e Maren sono infatti due giovani cannibali e il film mostra in più di un passaggio la loro necessità di nutrirsi di carne umana.

Bones and All farà parlare di sé per le sue scene shock: i protagonisti Lee e Maren sono infatti due giovani cannibali e il film mostra in più di un passaggio la loro necessità di nutrirsi di carne umana.

Horror dunque, come il remake di Suspiria, ma anche intenso e drammatico: Bones and All segna un nuovo traguardo nella carriera del regista italiano meno amato in patria ma più internazionale, amatissimo e molto popolare all’estero. Quello in cui la sua visione della vita e dell’amore si scontra con la desolazione e la solitudine di un paesaggio del Midwest americano dove è difficile immaginare di poter sfuggire al proprio destino di emarginazione. I protagonisti di Bones and All, più che mostri, sono anime solitarie alla ricerca di qualcuno che possa davvero capire e abbracciare le proprie irrefrenabili pulsioni, che li isolano rispetto alle “persone comuni”.

Ecco cosa hanno raccontato in merito al film e alla sua lavorazione il regista Luca Guadagnino e i due protagonisti Taylor Russell e Timothée Chalamet

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Luca, è il tuo primo film americano. Perché questo e perché lì?

Luca Guadagnino - Sin da ragazzino ho sognato di raccontare il paesaggio americano. Ho rinviato a lungo questo il momento, sentivo che era necessaria una maggiora complessità per raccontare una nazione così vasta e complessa. Dave (lo sceneggiatore David Kajganich, NdR), che ha scritto questo straordinario copione, me l’ha fatto leggere, ma non pensava precisamente a me. Siamo davvero molto amici e sono lusingato che lo abbia condiviso con me.

Quando ho letto la storia di questi drifter, che cercano un modo di essere possibile nell’impossibile, mi sono sentito molto attratto. In maniera molto naturale, il progetto è diventato quello che vedete oggi.

Questo è il tuo settimo film: dove sei arrivato con la tua carriera?

LG - Se sapessi davvero chi sono sarei forse annoiato da me stesso. La mia ambizione cinematografica da sempre è avere il controllo assoluto del lavoro che faccio e al contempo poter lavorare con quelli che sono amici e parti della mia famiglia da tanti anni. Sono soddisfatto di aver raggiunto questo privilegio, sono soddisfatto del punto della carriera in cui sono arrivato. Per me è il raggio di luce che illumina le zone oscure della vita. Essendo un Leone, nato ad agosto, sono un tipo abbastanza solare di mio (ride).

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Come è stato lavorare col collega David Gordon Green e richiamare Michael Stuhlbarg, che ha interpretato il padre di Chiamami col tuo nome?

LG - Michael l’ho chiamato perché volevo fargli fare il padre pervertito dopo avergli chiesto di fare per me il padre perfetto. Invece David (Gordon Green, regista e produttore degli ultimi Halloween) è un grande amico, ci siamo conosciuti durante il Torino Film Festival, dove facevamo i giurati. Volevo già metterlo in un ruolo in Suspiria, ma non c’è stato modo. Stavolta l’ho chiamato ed è venuto, ha anche composto la canzone che suona alla chitarra.

Come è stato girato questo road movie? Siete stati davvero nel Midwest?

LG - Sì. Ci siamo accampati a Cincinnati ma ci siamo mossi molto, volevo che vivessimo un’esperienza che fosse vicina al modo di vivere dei protagonisti. Lo scenografo Elliott Hostetter ha trovato questa America dentro l’America, città dopo città, è stato straordinario come lavoro: non abbiamo creato quasi nulla di proposito, abbiamo usato luoghi, case, oggetti che erano già lì nel Midwest.

Ci puoi parlare un po’ di questa particolarissima colonna sonora?

LG - Questa colonna sonora è la mia prima collaborazione con queste leggende della musica al cinema, il duo Trent Reznor e Atticus Ross. Quando mi sono avvicinato a loro e abbiamo cercato una colonna sonora per un viaggio on the road. La mia richiesta è stata di avere delle note di chitarra romantiche, di comporre brani che trasmettessero sensazione musicale che ce i protagonisti ce la potessero fare.

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Questo film parla molto di comunità, della ricerca di una tribù di persone che ci capiscano. Quando le avete trovate?

Taylor Russell - Credo di stare ancora cercando, ho qualche persona speciale nella mia vita ma sto ancora cercando. È questo il bello di essere sulla Terra.

Timothée Chalamet - Per me è stato difficile trovare la mia tribù con genitori con background così diverso è difficile trovare un posto dove sentire di appartenere. Io la mia tribù l’ho trovata in Europa, in tanti posti diversi, da Washington a Gerusalemme. Ho perso mia nonna quest’anno e mi sono sentito di appartenere a Kiss me Kate, un musical a cui aveva partecipato. Girare questo film è stata un’esperienza formativa, che ha per protagonisti due personaggi isolati in cerca d’identità. Quest’esperienza mi ha fatto capire meglio chi vive in contesti isolati, disagiati, poveri, emarginati.

Dopo il salvatore del mondo in Dune, fai un ruolo molto differente. Cosa ti ha fatto pensare che non dovessi perdere un ruolo tanto diverso dal solito?

TC - Questa è una storia ambientata tra i diseredati del Midwest americano degli anni ‘80. Luca ci ha parlato tanto di questo progetto e ha anche ascoltato i suggerimenti miei e di Taylor. È un film con un cast di attori straordinari e tutti fanno un grande lavoro.

Nel film dite che l’amore è quello che ci salva e ci libera. Sei d’accordo?

TC - Questa è una domanda molto personale, bellissima ma un po’ personale. Penso di essere ancora tanto giovane per provare un amore così profondo come quello che descrive il film. Sicuramente amo i miei genitori e ho tanti amici, tra cui annovero anche Luca e Taylor. In particolare su questo set Luca è stato come un padre per me, mi ha guidato nella mia prima produzione, mi ha aiutato a lavorare anche alla sceneggiatura.

Credo che tutti durante la pandemia abbiamo provato un isolamento sociale profondo, eppure abbiamo capito quanto siano importanti i contatti sociali. Credo questo sia un film abbia uno sguardo iniziale molto deluso sulla vita.

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